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Merano, il rifiuto del tricolore è un precedente pericoloso

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Insediandosi come prima cittadina, la neo-eletta Katharina Zeller si è tolta platealmente la fascia. Un gesto minimizzato come istintivo, dimenticando il rispetto dovuto alle istituzioni, che non sono il palcoscenico delle emozioni personali, specie da parte di chi le rappresenta.

Politica 21_05_2025

Il gesto compiuto dalla neoeletta sindaca di Merano, Katharina Zeller, durante la cerimonia di insediamento – ovvero il rifiuto della fascia tricolore – non è una semplice svista protocollare, né una gaffe istituzionale da archiviare con una dichiarazione di scuse. Si tratta di un episodio grave, che merita di essere valutato con la massima serietà e condannato con fermezza, non solo per il significato simbolico che racchiude, ma per ciò che rappresenta nel contesto politico e istituzionale di un Paese come l’Italia, fondato su simboli, regole e doveri che trascendono le sensibilità personali e le consuetudini locali. Senza contare che potrebbe trattarsi di un precedente pericoloso, in grado di legittimare in futuro gesti ugualmente irriguardosi nei confronti delle istituzioni rappresentative.

I fatti, ormai noti e ampiamente diffusi anche attraverso riprese video, sono chiari: nel momento in cui il sindaco uscente Dario Dal Medico le ha consegnato la fascia tricolore, simbolo della rappresentanza istituzionale della Repubblica Italiana, Zeller ha manifestato disagio e fastidio, accompagnando quel gesto con parole di scherno come “Sei sicuro che proprio devo?” e subito dopo “Mettiamola via, dai”, mentre si sfilava il simbolo nazionale e lo appoggiava sul tavolo. Un gesto plateale, vissuto da milioni di italiani come un atto di rifiuto, se non di vero e proprio disprezzo, verso uno dei simboli più alti dell’unità nazionale. A nulla vale, in questo contesto, la successiva giustificazione della sindaca, che ha parlato di gesto istintivo, emozione del momento, interpretazione errata del protocollo, o addirittura di una provocazione da parte del suo predecessore.

Le istituzioni non sono il palcoscenico delle emozioni personali, e l’assunzione di una carica pubblica – soprattutto quando si tratta della guida politica e civile di una città – impone disciplina, rispetto e consapevolezza. Le reazioni degli attori istituzionali non si sono fatte attendere. L’assessore provinciale Christian Bianchi (Forza Italia) ha parlato di un “grave atto nei confronti di tutti gli italiani di Merano”, sottolineando quanto quel gesto abbia pesato soprattutto su quella parte della popolazione italiana che aveva riposto fiducia nella figura di Zeller. Il presidente provinciale di Fratelli d’Italia, Marco Galateo, ha rincarato la dose, parlando di “chiara e inequivocabile manifestazione di disprezzo verso le istituzioni della Repubblica Italiana e verso la comunità di lingua italiana”. Anche il Partito Democratico, che aveva sostenuto Zeller al ballottaggio dopo l’uscita della propria candidata, si è trovato in imbarazzo per l’episodio, che ha aperto una crepa all’interno della coalizione di centrosinistra che aveva favorito l’elezione dell’attuale sindaca.

Più moderata ma comunque critica la posizione dell’ex sindaco di Bolzano, il senatore Luigi Spagnolli, che ha definito il gesto un errore grave, pur escludendo l’intenzionalità del vilipendio, e ha richiamato l’importanza della fascia tricolore come simbolo imprescindibile della funzione di sindaco in qualità di rappresentante dello Stato. Le spiegazioni fornite da Zeller, che ha parlato di provocazione subita da un “uomo maturo esperto” nei confronti di una “giovane donna” appena insediata, risultano poco credibili e, per molti aspetti, fuorvianti. Trasformare un atto di rilevanza istituzionale in un episodio caricaturale di “lotta di genere” o di provocazione personale significa travisare la natura stessa del ruolo pubblico. La carica di sindaco non è un’arena per regolare conti personali o per rispondere a provocazioni percepite: è una responsabilità che si esercita nel rispetto di tutti i cittadini, delle istituzioni e dei simboli che le rappresentano.

L’Alto Adige è una terra dalla storia complessa, in cui convivono gruppi linguistici diversi – tedeschi, italiani e ladini – in un equilibrio faticosamente costruito attraverso decenni di autonomia amministrativa, dialogo istituzionale e riconoscimento reciproco. In un tale contesto, ogni gesto pubblico assume un peso specifico enorme. L’argomento secondo cui, per consuetudine locale, il simbolo della carica di sindaco sarebbe il medaglione con lo stemma comunale, e non la fascia tricolore, non regge di fronte alla normativa statale e al comune senso del dovere civico. Il Consiglio regionale del Trentino Alto Adige ha sì approvato una mozione che equipara i due simboli, ma la fascia tricolore rimane l’emblema della rappresentanza ufficiale della Repubblica e va utilizzata in tutte le occasioni pubbliche in cui il sindaco esercita funzioni di rappresentanza statale. Che proprio nel momento solenne dell’insediamento si decida di sfilarsela con un gesto plateale, e con battute a mezza voce, è inaccettabile. Il tentativo di Zeller di minimizzare, parlando di emotività, di malinteso, di tradizione locale e persino di “sfida personale”, non può bastare. I simboli hanno un valore concreto, reale, che non può essere ridotto a folklore o interpretato a piacimento. Il tricolore non è un accessorio da indossare o rifiutare in base all’umore o al contesto. È il simbolo che tiene insieme l’identità di una nazione, e a maggior ragione in un territorio a forte componente autonomista e trilingue, dovrebbe essere valorizzato come ponte, non disprezzato come ostacolo. Non si tratta qui di trasformare un episodio in un casus belli ideologico o di soffiare sul fuoco di un nazionalismo di ritorno. Si tratta di ristabilire dei confini netti tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è nella condotta pubblica di chi rappresenta le istituzioni.

La sindaca Zeller, nonostante le sue dichiarazioni di pentimento e il tentativo di spiegare il gesto come una reazione umana, ha mostrato un atteggiamento che denota impreparazione istituzionale, mancanza di rispetto per il ruolo ricoperto e una leggerezza che non può essere giustificata né politicamente né eticamente. Non basta chiedere scusa. Un’istituzione non si tutela a parole, ma con i fatti, e in certi casi l’unico gesto coerente e rispettoso verso le istituzioni è farsi da parte. Le dimissioni non sarebbero una punizione eccessiva, ma l’unica forma possibile di ristabilimento della credibilità. In un momento in cui la coesione nazionale è continuamente sfidata da spinte divisive, ogni rappresentante pubblico ha il dovere di custodire e onorare i simboli dell’unità, non di utilizzarli come oggetto di contesa. La dignità di un Paese passa anche da episodi come questi. E quando la politica smette di riconoscere il peso dei simboli, cessa di essere guida e si trasforma in un teatro decadente.