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Meloni sotto attacco per un libro che osa cercare il Vero

Perché il libro della Meloni è tanto bersagliato dalla Sinistra? Non c'entra la sua posizione in classifica. Ma la disarmante schiettezza della leader FdI, che, pur partendo da un cammino imperfetto in cui ammette le proprie contraddizioni, osa cercare il vero su vita, famiglia e fede. E smaschera la finta libertà del nostro tempo.

Cultura 31_05_2021

In Feltrinelli l’hanno esposto con la copertina a testa in giù. Ed è già molto, perché altre librerie “libere” hanno fatto sfoggio di non venderlo nemmeno. Altri accademici democratici hanno ironizzato a Piazzale Loreto su di lei. Che cosa ha di così scandaloso il libro di Giorgia Meloni “Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee”, uscito da meno di un mese per Rizzoli e già al primo posto? Si dirà che con i sondaggi in poppa, che la danno addirittura sopra al Pd, la leader FdI va arginata con tutti i mezzi, ma perché accanirsi con un libro che racconta la sua vita e il suo pensiero? Non è nemmeno la prima ad aver dato alle stampe un libro biografico in un momento particolarmente florido della propria esperienza politica. Non sarà forse che il problema è quello che c’è dentro quel libro a non andare bene e non solo la sua posizione in classifica?

La Bussola lo ha letto per cercare dentro le pieghe delle pagine qualche cosa di fascista e di cameratesco, ma non lo ha trovato. Neppure nostalgie di bracci alzati e il vittimismo di chi è sempre stato ai margini della scena politica. Allora, perché questi attacchi? Forse proprio per questo, per l’assenza di quel cliché obbligato da destra “fognaria” che a Sinistra tanto piace e fa tanto compatimento. Perché la Meloni con questo libro si mette a nudo e smaschera con la sua vita tutti i sofisticati luoghi comuni del culturame che, disprezzando il nemico politico, lo deve dipingere sempre in un modo impresentabile per poterlo accettare.

Invece Io sono Giorgia, che fin dal titolo fa il verso ai suoi detrattori più ostinati (il titolo prende il nome dal celebre remix di un suo comizio in cui se la prendeva con Genitore 1 e Genitore 2 e che senza volerlo è diventato cult) parla di sé e nel parlare di sé parla della sua politica.

Plutarco nelle Storie parallele, era convinto che la personalità di un individuo si manifestasse in ogni sua azione, piccola o grande che fosse e pertanto non bisognava raccontare nelle sue biografie soltanto le grandi imprese della storia. La Meloni, Plutarco arriva anche a citarlo ad un certo punto, a proposito dell’utilità dei nemici, ma ciò che non si accetta di questa operazione editoriale è che parli di tutti i temi che stanno sul gozzo al pensiero unico con una originalità di vissuto che li inchioda. Un’opinione si può contestare e combattere, ma chi può contrastare una vita?

La Meloni è contraria all’aborto, ma quando all’inizio del libro racconta della madre che aveva pensato di abortirla, l’uomo di Sinistra schiuma di rabbia, perché di fronte a un vissuto del genere non puoi alzare il ditino per sentenziare. Per la verità qualcuno ci ha provato (Selvaggia Lucarelli), ma senza fortuna. Dice che «devo tutto a mia madre perché io non sarei nemmeno dovuta nascere» e inquadra drammaticamente il combattimento della madre che «si faceva Corte suprema». Sono temi che poi trovano una loro ricaduta politica nel sostenere che «mettere al centro la persona vuol dire riconoscere prima di tutto la sacralità della vita» che è un «principio non negoziabile». Però, e qui sta il rischio dell’incoerenza di certe posizioni, non si spinge fino in fondo a intraprendere una battaglia per l’abrogazione della 194, trincerandosi dietro la scusa degli aborti clandestini. Forse dovrebbe andare fino in fondo, in tutti i sensi, a cercare il cuore di quella verità che ha intravisto anche nel suo vissuto. Ma finché ci sono interrogativi, anche questo è un essere in cammino.

Lo stesso cammino si può vedere con la sua difesa della famiglia naturale fondata sul matrimonio, nonostante mostri senza tentennamenti la sua storia di bambina non amata da un padre che l’ha abbandonata e di donna non sposata. Un padre con il cui fantasma ha dovuto fare i conti quando ha capito che «noi accettiamo l’amore che pensiamo di meritare». Ma questo non è stato una scusa per ripiegarsi e per non riconoscere che il bene sta in una famiglia e in una maternità «come valore da proteggere e custodire e non un limite o un problema». Lei questo lo sa, perché la «maternità non era mai stata uno dei grandi obiettivi della mia vita», salvo poi dover ammettere che «mi sento in colpa per aver preferito contentarmi su cose di importanza secondaria e non avere ora più tempo per compiere di nuovo la missione più straordinaria che la vita possa regalare». Sul matrimonio dice che «se lo facessi, mi sposerei in chiesa, perché ha senso se lo fai al cospetto di Dio. Ma io, per ora, ho deciso di non farlo». Facile accusarla di ipocrisia, ma in quel “per ora” c’è la spia di un cammino dentro il quale non si può entrare con volgari speculazioni.  

La capacità di personalizzare i temi in agenda investe anche il bullismo per parlare senza vittimismi del Ddl Zan. «Anche io sono stata vittima di bullismo (simpatici i suoi racconti in spiaggia da ragazzina con fisico non proprio da modella ndr.), è stato durissimo mentre lo subivo, ma mi ha dato la determinazione necessaria per uscire dalla mia condizione di facile bersaglio».

Emerge lo spaccato di una personalità eclettica, che non nasconde i suoi errori e che vive la libertà come emancipazione dal conformismo dello spirito del tempo. Una libertà che le consente di citare il Paese delle favole dei Nomadi e Bertold Brecht, ma anche Roger Scruton e la canzone di Pierfrancesco Pingitore sui ragazzi dei Buda che lottarono contro il comunismo ungherese. Una libertà di dare voce anche a quelle vittime dimenticate come sono stati Thomas e Kate Evans, i genitori del piccolo Alfie, che solo la Meloni tra i leader politici ha voluto incontrare.

Con un’impalcatura valoriale così formata, che fede ha la Meloni? La riposta è lei stessa a darla: «Una fede imperfetta, dubbiosa, dolorosa». Ma in questo quadro non smette di credere in Dio e di interrogarsi sul disegno che ha su di lei oltre a battersi contro la persecuzione più feroce in atto nel mondo: «Quella nei confronti dei cristiani». Si sente debitrice di San Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto XVI e ammette con sincerità di «non comprendere sempre Papa Francesco». Anche qui, c’è un cammino. C’è una verità che è costantemente ricercata e che teme di non riuscire ad afferrare, ci sono contraddizioni che rincorrono i punti fermi. Ecco perché questo libro dà fastidio: perché osa mostrare con disarmante schiettezza e senza dogmi, e per questo risulta inattaccabile, l’imperfezione di un cammino profondo alla ricerca della verità.