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EDITORIALE

Meeting, Corriere e l'equivoco del dialogo

Il Corriere spiega che il Meeting segna la nascita di una nuova CL, tutta dialogo dopo la stagione di ricerca del nemico. Una menzogna, lo dice la stessa storia del Meeting...
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Editoriali 21_08_2016
Meeting Rimini

Tra i tanti commenti all’esordio del Meeting di Comunione e Liberazione (Cl), molto spesso interessati soltanto al posizionamento politico, merita un’attenzione particolare il paginone – con richiamo in prima pagina – dedicato dal Corriere della Sera con un articolo a firma di Dario Di Vico: sia per la tesi sostenuta sia perché il Corriere da un po’ di tempo segue con puntualità e precisione l’evoluzione di Cl, con cui peraltro ha instaurato anche una partnership commerciale-editoriale. 

Dunque, per Di Vico il Meeting sancisce la «nascita» di una nuova Cl, tutta figlia della guida di don Julian Carron che «sta pilotando con sicurezza un profondo cambiamento di pelle di Comunione e Liberazione». In cosa consiste questo nuovo movimento? In «una Cl tutt’altro che sovraesposta, meno portata all’ostentazione e che, soprattutto, per supportare le sue ragioni non ha bisogno di trovare a tutti i costi un avversario». E ancora: «Predilige mettere l’accento su tutto ciò che può unire. Ponti, cuciture e dialogo sono le parole del momento al posto di conflitti, contrapposizioni e alternative». 

Che ci sia ormai una spiccata tendenza ad evitare con cura qualsiasi spunto polemico nei confronti dei princìpi sacri della modernità, è ormai ovvio da qualche anno. Basti ricordare le polemiche l’anno scorso intorno allo stand dei Domenicani per gli incontri anti-gender (e i Domenicani quest’anno sono stati gentilmente messi alla porta), ma anche le controversie di quest’anno: il tema eutanasia, così attuale in Italia, accuratamente evitato (anche se sarebbe ovvio parlarne in tema di “Tu sei un bene per me”); le difficoltà e i mal di pancia sorti attorno alla mostra sulla persecuzione dei cristiani curata da Aiuto alla Chiesa che Soffre (troppo scomoda in tempi di dialogo con l’islam); la freschissima controversia di ieri su una statua della Madonna (di cui riferiamo a parte).

Ciò non toglie che nei padiglioni della fiera di Rimini sia ancora possibile partecipare a incontri di grande spessore, con personaggi totalmente al di fuori della logica del politicamente corretto, così come è possibile godere di mostre intelligenti e perfino commoventi, come quella già citata sulla persecuzione dei cristiani o quella su madre Teresa di Calcutta o ancora sul restauro della Basilica della Natività a Betlemme (tutte cose di cui parleremo nei prossimi giorni).

Ma più delle effimere polemiche su alcuni aspetti, quel che interessa qui è fermarsi sulla questione di fondo, ovvero la chiave di lettura che Di Vico dà della trasformazione del Meeting e di Cl, perché tocca una questione che va ben oltre Cl, anzi riguarda tutta la Chiesa. In pratica si afferma che finalmente Cl si è “convertita” al dialogo dopo una vita passata a generare conflitti. Oggi finalmente incontra gli altri – il “tu” – anche a costo di perdere qualche pezzo di identità, mentre prima era «troppo piena di sé e della propria capacità di calamitare il consenso». Oggi dialoganti, ieri fanatici; oggi San Francesco, ieri Crociati (con una contrapposizione oggi di moda, ma in realtà fantasiosa); oggi buoni, ieri cattivi. Questa tesi non è originale, anzi è una narrazione che sta diventando piuttosto popolare e ha certo motivi di fascino. Peccato però che sia una menzogna, che si gioca attorno all’equivoco sul concetto di dialogo, un equivoco che appunto riguarda tutta la Chiesa.

A dimostrarlo è proprio la storia del Meeting, nato 36 anni fa proprio come Meeting per l’amicizia fra i popoli (e già il nome dovrebbe dire qualcosa). Non per generare conflitti o cercare ostinatamente un nemico, ma per incontrare ogni esperienza umana a partire dal proprio incontro con Cristo, con la coscienza che la fede è un avvenimento totalizzante, che riguarda ogni aspetto della vita e che è ciò che il cuore di ogni uomo, di ogni epoca e di ogni cultura, attende.

È così che il Meeting ha portato fin da subito a Rimini personaggi di ogni credo – protestanti, ortodossi, buddhisti, ebrei, musulmani, atei -, di ogni cultura – dall’Africa all’Asia all’America latina -, di ogni campo dell’attività umana – scienziati, artisti, economisti, politici - costringendo tutti a misurarsi sulle cose più vere che riguardano il destino di ogni uomo. Al Meeting sono nate amicizie vere e durature fra uomini e donne molto diversi fra loro, si sono creati spazi di dialogo impensabili in qualsiasi altro luogo, perché al Meeting si era accolti per quel che si era. L’incontro con Cristo aveva generato una passione per l’umano che desiderava incontrare tutto e tutti perché l’incontro è il metodo per maturare nella coscienza di sé. È così che sono state educate generazioni di ciellini. 

E i conflitti, i nemici? Certo, una posizione così, che scommette sulla libertà dell’uomo, che pretende di giudicare tutto a partire dall’incontro con Cristo si trova subito il potere contro. Chi ha la semplicità e il coraggio di affermare ciò che dà consistenza alla propria vita, destabilizza l’ambiente circostante, destabilizza il potere che non ama la libertà dell’uomo vero. E provoca una reazione. Chi oggi pontifica sugli errori dei ciellini – che ovviamente ci sono stati, come per ogni uomo – e parla di disegni di egemonia, di ideologizzazione della fede, di ricerca del nemico, dovrebbe ricordare le migliaia di aggressioni fisiche subite per decenni dai ciellini in tutta Italia e di calunnie e deformazioni mediatiche che proseguono tuttora. Solo per il desiderio di affermare in ogni ambiente un giudizio che parte dalla fede. Chi ha avuto la grazia di incontrare e seguire don Luigi Giussani ha imparato a non scandalizzarsi per l’errore ma a provare dolore per ogni istante non vissuto nella tensione a Cristo.

È ovvio che questa sia una concezione di dialogo molto diversa da quella oggi tanto in voga, che invece pretende di incontrarsi con gli altri cercando impossibili punti di contatto tra diverse ideologie. Non è un dialogo vero, tra uomini liberi, ma ricerca di un compromesso. Infatti si tratta di un dialogo che, per trovare la quadratura del cerchio, deve violentare la storia e censurare ciò che non rientra negli schemi. È così che si arriva a descrivere in modo idilliaco gli anni della Repubblica, tralasciando alcuni dettagli come la guerra civile con cui è iniziata, costata la vita a migliaia di cattolici uccisi dai comunisti (per informazioni leggere “Chiesa martire nel triangolo della morte”, di Andrea Zambrano), o gli anni del terrorismo rosso, “compagni che sbagliano” che hanno goduto per tanto tempo della copertura di coloro che oggi arrivano al Meeting con la pretesa di spiegarci la storia. È così che in nome del dialogo con l’islam si arriva a scrivere vere e proprie castronerie come il fatto che crediamo nello stesso Dio, come se onnipotenza e misericordia avessero lo stesso significato per cattolici e musulmani o come se non ci giudicassero politeisti perché crediamo nella Trinità. 

Questo è il dialogo che piace al potere, un dialogo che cancella le differenze ma non costruisce l’unità: semplicemente elimina l’unica novità nella storia, l’unico fatto in grado di rivelare l’uomo all’uomo e rispondere al bisogno di senso che ognuno di noi ha. Questa modalità di dialogo serve solo a cancellare Gesù Cristo.