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IL REPORT SULL'EX CARDINALE

Mc Carrick, la rete Democrat e quell'amicizia con Biden

Dalle 400 pagine del report sull'ex cardinale Mc Carrick emerge la fitta rete di complicità e di rapporti per accreditarsi ancora con la Santa Sede come interlocuotre affidabile per i Democrat. E l'elezione di Obama alla Casa Bianca gli offrì il destro giusto. Sempre dalla parte dei politici abortisti, considerava Biden un «mio amico». E nei rapporti Cuba-Usa, agiva per conto dell'amministrazione Obama. 

Ecclesia 13_11_2020

Il Rapporto McCarrick è destinato a far parlare ancora a lungo, considerata la mole di documenti e testimonianze che sembrano inchiodare alle loro responsabilità alcune delle figure preminenti della Chiesa americana e della Curia romana dell'ultimo quarto di secolo. Nelle oltre 400 pagine del dossier non si può fare a meno di notare come, in più occasioni, l'ex cardinale si sia fatto scudo della potente rete di relazioni politiche costruite nel tempo per giustificare con i superiori il suo protagonismo invasivo e la successiva sfacciata disobbedienza.

Appare evidente nel momento in cui, dopo le dimissioni da arcivescovo di Washington rassegnate su richiesta di Benedetto XVI a fine 2005, la scoperta di un report con nuovi particolari sulla grave condotta di McCarrick sottoposto all'Arcidiocesi di Newark e della Diocesi di Metuchen dagli avvocati di un sacerdote suo accusatore portò l'allora prefetto della Congregazione per i vescovi, cardinal Re, a stabilire delle indicazioni a cui attenersi circa la residenza da scegliere - ritenendo inopportuna quella nel Seminario neo-catecumenale - e il tipo di vita - "riservata e di preghiera - da adottare per il futuro.

«PUNITO DA BENEDETTO XVI»

Le indicazioni del prefetto Re - che secondo quanto emerso nel Rapporto pubblicato dalla Segreteria di Stato non si tradussero in sanzioni formali - vennero date prima oralmente tramite il nunzio Sambi nel 2006 e poi reiterate per via scritta nell'estate del 2008. All'epoca McCarrick, pur consapevole che sia la richiesta di dimissioni che quella di rinunciare alle apparizioni pubbliche fossero legate alle accuse contro di lui per la sua condotta con i seminaristi - compresa quella di abuso di potere dal momento che, come sottolineato in un memorandum del 2006 di un officiale della nunziatura a proposito del report presentato dagli avvocati alle diocesi di Newark e Metuchen, "c’era un rapporto ‘superiore-subordinato’" - manifestò con i suoi conoscenti la convinzione di essere stato punito da Benedetto XVI "per la questione della comunione", non esitando a far passare in cattiva luce - dal suo punto di vista - il pontefice allora regnante pur di nascondere le ombre che gravavano sulla sua persona.

LA SPERANZA OBAMA

In quella fase discendente della sua carriera fino ad allora sfavillante, McCarrick sembrò intravedere nella vittoria di Barack Obama alle elezioni presidenziali del novembre 2008 un'opportunità per tornare in pista agli occhi di Roma, cercando di “vendere” la propria figura come indispensabile per aprire un dialogo con l'amministrazione entrante. L'allora arcivescovo emerito di Washington, non senza aver maturato un certo senso di onnipotenza dal momento che - pur consapevole della loro vera causa - si mostrava persuaso che le indicazioni arrivategli da Roma fossero frutto di una questione personale con quello che in un'email al suo successore Wuerl, usando un'antifrasi, chiama "nostro amico" in riferimento probabilmente o a Re o a Sambi (se non addirittura allo stesso Benedetto XVI), tentò di bypassare i suoi interlocutori diretti andando a scrivere ai vertici della Segreteria di Stato circa i suoi "contatti con la nuova Amministrazione" divenuti "più frequenti e complicati" e chiedendo di essere istruito "in merito a quale eventuale ruolo" avrebbe dovuto continuare a svolgere.

Sentendosi vittima di un complotto, nelle lettere indirizzate in Terza Loggia, McCarrick provò a rendere appetibili le sue entrature con il team di transizione di Obama, con la volontà implicita di far cadere 'dall'alto' le menzionate "preoccupazioni che altri nella Santa Sede hanno riguardo al mio coinvolgimento in queste questioni.” Un modus operandi che, come abbiamo analizzato nei giorni scorsi, contraddistinse l'ex cardinale anche in altre occasioni importanti, come quella della nomina alla guida dell'arcidiocesi di Washington per la quale aveva già incassato il parere negativo delle parti competenti: la Congregazione per i vescovi e la nunziatura apostolica negli Usa. Le lettere inviate in Segreteria di Stato nel dicembre del 2008 per accreditarsi come pontiere con il team di transizione, inoltre, mettono in evidenza l'ambiguità della figura di McCarrick sul piano delle relazioni internazionali, visto che - come precisato nel Rapporto pubblicato martedì -  egli "non fu mai un diplomatico della Santa Sede", eppure sembrò comportarsi come tale al punto da trincerarsi dietro a questa spasmodica attività di viaggi ed incontri per giustificare il mancato adempimento totale delle indicazioni rivoltegli dal cardinale Re a partire dal 2006.

UTILE ALLA CHIESA?

Un'ambiguità che, d'altra parte, non sfuggì ad altri vescovi americani come si evince sempre dall'indagine nelle interviste dei cardinali Di Nardo e Dolan che, negando di essere stati a conoscenza di provvedimenti punitivi collegati alla sua "inappropriatezza sessuale", ammettono di aver attribuito l'"emarginazione" dell'arcivescovo emerito di Washington dal 2008 in poi all'"eccessiva intrusione (...) in delicati affari esteri" e al timore che la sua "attività internazionale (...) avrebbe potuto interferire con le relazioni diplomatiche della Santa Sede". 

«PERICOLOSO ATTIVISMO»
Monsignor Sambi, che dal Rapporto sembra emergere come uno dei prelati che seppe inquadrare meglio il profilo dell'ex cardinale, ricevute le lettere inviate in Segreteria di Stato da McCarrick evidenziò come quest'ultimo intendesse "far credere che i suoi contatti politici con la nuova Amministrazione americana siano estremamente utili, se non indispensabili alla Chiesa" sebbene questi "contatti che  (...) più che a lui richiesti, sono da lui ricercati". Parole che il nunzio scrisse in un resoconto al prefetto Re e in cui manifestò anche la sua preoccupazione per l' "assai pericoloso attivismo e la sete di presenzialismo del Card. McCarrick (che non è un campione di chiarezza di idee e di coerenza di comportamenti in relazione alla dottrina della Chiesa) all’inizio di questa nuova Amministrazione che, nella fase elettorale, ha sostenuto posizioni inconciliabili con l’insegnamento della Chiesa". 

LA SFIDA DELLA COMUNIONE

D'altronde, sebbene durante la sua carriera non abbia disdegnato di coltivare rapporti con governi ed amministrazioni di colori diversi, McCarrick si conquistò un particolare credito nella classe dirigente dem del Paese nel 2004, quando esplose la polemica sulla Comunione ai politici pro-aborto dopo che l'allora monsignor Burke dichiarò che l'avrebbe negata al candidato presidente John Kerry, divenendo - come si legge nel Rapporto pubblicato martedì - "una voce contrapposta" a quella dell'allora arcivescovo di St Louis, affermando che lui l'avrebbe, invece, somministrata.

Una posizione che comportò l'intervento della Congregazione per la dottrina della fede con un memorandum a lui diretto dall'allora prefetto Ratzinger che gli diede torto. Come abbiamo visto, McCarrick - pur a conoscenza della verità - in alcune occasioni pubbliche attribuì proprio a quella vicenda il suo declino durante il pontificato di Benedetto XVI. La sua accondiscendenza pubblica verso le ragioni del candidato presidente Kerry in quella polemica, al contrario, contribuì a rafforzare il buon rapporto con l'establishment del Partito Democratico costruito durante il mandato di Clinton - che in una cerimonia pubblica involontariamente confermò l'ambiguità su cui si muoveva l'ex porporato nell'ambito delle relazioni internazionali, dicendo che "l'elenco dei paesi che ha visitato sembra più adatto a un diplomatico che a un arcivescovo" - e che fu decisivo anche per la sua discussa nomina episcopale a Washington come ricordato dal cardinale Dziwisz secondo cui Giovanni Paolo II la ritenne "utile" perché McCarrick aveva "un buon rapporto con la Casa Bianca".

«BIDEN AMICO MIO». FIRMATO Mc CARRICK

Alla luce di questa rivelazione dell'ex segretario personale di Wojtyla, sembrerebbe ulteriormente comprensibile il tentativo fatto con Roma puntando sulle buone entrature con la nuova amministrazione Obama per uscire dall'"emarginazione" causata dalle accuse. All'inizio del 2009, secondo quanto raccontato dall'ex cardinale in una lettera al prefetto Re con quella "furbizia" addebitatagli da Sambi per evitare ripetutamente di rispettare le indicazioni di condurre una vita riservata, l'ufficio del presidente eletto avrebbe chiesto proprio a lui - in pensione da tre anni - di svolgere un ruolo nel National Prayer Service ed il suo rifiuto sarebbe stato causa di "disappunto" per "l'indisponibilità".

Un disappunto espressogli da colui che definì nella lettera " un amico per la Chiesa e per me stesso", ovvero l'allora vicepresidente eletto Joe Biden. L'amicizia con l'ex vice di Obama non dovrebbe essere una millanteria dell'ex cardinale, che nel 2015 officiò l'encomio finale al funerale di suo figlio Beau nella chiesa di Sant'Antonio a Wilmington (uno di quegli eventi rimarcati nel Rapporto in cui presenziò, in qualità di nunzio apostolico, anche monsignor Viganò).

 

"AMBASCIATORE" A CUBA. MA PER GLI USA

Proprio durante l'amministrazione Obama, ma dopo la fine del pontificato di Benedetto XVI, l'ex porporato globe-trotter - che nel frattempo non aveva mai smesso di infrangere le indicazioni non formali ricevute dal prefetto della Congregazione per i vescovi - si riprese la scena internazionale tanto agognata nei giorni bui tra il 2006 ed il 2009 svolgendo un ruolo nell'instaurazione della politica di distensione tra Washington ed il regime castrista.

Per farsi un'idea del peso politico di McCarrick è sufficiente sapere che, come riportato nel Rapporto pubblicato martedì, "agì su richiesta dell’amministrazione Obama per aiutare a promuovere relazioni migliori fra Cuba e Stati Uniti".

E addirittura, dall'indagine della Segreteria di Stato si scopre che nell'agosto del 2014, McCarrick si recò a Cuba "in base a consultazioni con ufficiali della Casa Bianca" portando con sé una lettera di Obama per il cardinale Ortega e chiedendo a quest'ultimo di consegnargli una lettera affidatagli in precedenza da Papa Francesco per il presidente americano. "Tuttavia - si legge ancora nel Rapporto - il Card. Ortega, agendo secondo le rigorose istruzioni del Pontefice di consegnare personalmente a mano la lettera ad Obama, si rifiutò di darla a McCarrick, che lasciò Cuba a mani vuote”.

Da questi particolari, dunque, si apprende che sulla questione cubana l'ex cardinale agì per conto dell'amministrazione democratica degli States e diede prova di quell'invadenza nelle relazioni diplomatiche della Santa Sede evocata nel Rapporto dai cardinali Dolan e Di Nardo, beccandosi il giusto rifiuto del cardinale Ortega. Al grande credito riservato dalla classe dirigente dem dell'epoca ad un arcivescovo in pensione provò a dare una spiegazione l'allora nunzio Sambi che, come abbiamo visto, giudicò "assai pericoloso" l'incontro tra il protagonismo di un cardinale definito "non campione" di coerenza nei "comportamenti in relazione alla dottrina della Chiesa" ed un'amministrazione che "ha sostenuto posizioni inconciliabili con l’insegnamento della Chiesa". Un incontro che, nonostante il timore del diplomatico vaticano, alla fine si realizzò a Cuba.