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IL BELLO DELLA LITURGIA

Matteo, penna di Dio "sotto dettatura" dell'angelo

Nella chiesa di San Luigi dei Francesi, Caravaggio realizza un intero ciclo dedicato all'ex pubblicano convertito Levi e poi evangelista Matteo. Si presenta come un saggio anziano, con la penna pronta intinta nel calamaio e si rivolge verso l’angelo luminoso, alle sue spalle. Computando con le dita elenca la stirpe di Gesù risalendo lungo la Sua discendenza da Davide. E' l'incipit del suo Vangelo. 

Cultura 22_09_2018

Michelangelo Merisi, Matteo e l’Angelo, Roma – Chiesa di San Luigi dei Francesi

Antifona d'Ingresso  festa liturgica di San Matteo
Dice il Signore: «Andate, predicate il Vangelo a tutte le genti,
battezzatele e insegnate loro a osservare
tutte le cose che vi ho comandato».

Santa Madre Chiesa il 21 settembre festeggia Matteo. A riguardo, così si legge nel martirologio romano: “festa di san Matteo, Apostolo ed Evangelista, che, detto Levi, chiamato da Gesù a seguirlo, lasciò l’ufficio di pubblicano o esattore delle imposte e, eletto tra gli Apostoli, scrisse un Vangelo, in cui si proclama che Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo, ha portato a compimento la promessa dell’Antico Testamento”.

Le parole del libro liturgico prendono forma e colore in una delle cappelle più famose di Roma, situata all’interno - lungo la navata sinistra per l’esattezza - della chiesa di San Luigi dei Francesi. Qui, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, in vista del Giubileo del 1600 e in tempi da record considerate le dimensioni delle tele, realizzò un intero ciclo dedicato al santo, giudeo di nascita, gabelliere di professione, noto ai suoi concittadini anche come “il pubblicano”.

Seguimi, gli disse Gesù. E così fu. La sequela lo condusse fino al martirio che la tradizione vuole sia avvenuto in Etiopia per mani di feroci aguzzini che lo trucidarono mentre celebrava l’Eucarestia. Sulle pareti laterali della cappella Caravaggio raccontò tutto questo, attraverso due grandi immagini che sono divenute vere e proprie icone.

Mancava, all’appello, la pala d’altare. Questa volta la scadenza fu fissata per la Pentecoste del 1602. Il soggetto richiesto era L’ispirazione di San Matteo, scena più comunemente nota come Matteo e l’Angelo. L’evangelista, dunque, avrebbe occupato la posizione centrale, sopra l’altare in sedia con un libro o, volume, come meglio parera, nel quale mostri o di scrivere o voler scrivere il vangelio et a canto a lui l'angelo in piedi maggior del naturale in atto che paia di ragionare o in altra attitudine. Questi erano i desiderata della committenza.

Recepito il messaggio, Caravaggio si mise all’opera e realizzò una prima tela che i biografi malevoli sostenevano  essere stata poi rifiutata dalla committenza. Matteo compariva qui come un umile popolano, le gambe nude incrociate, intento a scrivere il suo Vangelo mentre l’angelo gli guidava fisicamente la mano. In tempi non sospetti e piuttosto recenti, invece, è stato dimostrato che quel dipinto era stato già concepito come provvisorio. Acquistato da Vincenzo Giustiniani, ricco banchiere e appassionato collezionista di Caravaggio, passò poi ai Musei di Berlino e fu distrutto, infine, da un incendio scoppiato durante la seconda guerra mondiale.

Nella seconda versione, ancora in loco, l’uomo collabora con Dio. Matteo si presenta come un saggio anziano che pur scrivendo da sé il suo testo, la penna pronta, appena intinta nel calamaio, si rivolge verso l’angelo che appare, luminoso, alle sue spalle. E’, quest’ultimo, una figura bellissima che, computando con le dita, elenca la stirpe di Gesù risalendo lungo la Sua discendenza da Davide. E’ proprio questo, infatti, l’incipit del Vangelo di Matteo e il motivo per cui l’angelo è sempre, nell’arte, non solo caravaggesca, simbolo di questo apostolo.