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IL CASO/ PELLEROSSA

Matrimoni gay, l'ascia di guerra di Navajo e Cherokee

Angariati, ghettizzati e perseguitati dai bianchi, ai bianchi gl’indiani non la mandano oggi a dire e, di fronte alla sentenza-golpe con cui il 26 giugno la Corte Suprema federale ha imposto al Paese la legalizzazione dei “matrimoni” omosessuali, fanno spallucce. Le leggi dei Navajo e dei Cherokee.

Famiglia 07_07_2015
Pellerossa della tribù dei Cherokee

C’è un sinistro rincorrersi di paradossi nella società statunitense. La teoria del gender nasce e si sviluppa in ambienti razzisti mentre i suoi sostenitori accusano di razzismo gli avversari (clicca qui). E W.E.B. Du Bois (1868-1963), cofondatore della National Association for the Advancement of Colored People, che è una sorta di sindacato di estrema sinistra (in termini americani) per i neri, si lasciò convincere da Margaret Sanger (1879-1966), la fondatrice razzista del più grande abortificio mondiale, la Planned Parenthood, del fatto che l’aborto sarebbe un vero toccasana economico e sociale soprattutto per quei neri che Du Bois diceva a parole di voler proteggere. Fortunatamente, invece, il paradosso che interessa i cosiddetti “indiani” degli Stati Uniti è di segno contrario.

Angariati, ghettizzati e perseguitati dai bianchi, ai bianchi gl’indiani non la mandano oggi a dire e, di fronte alla sentenza-golpe con cui il 26 giugno la Corte Suprema federale ha imposto al Paese la legalizzazione dei “matrimoni” omosessuali, fanno spallucce (clicca qui). Il paradosso sta nel fatto che per i quartieri altamente ideologizzati dell’opinione pubblica liberal gli unici indiani buoni devono essere per forza indiani ecologisti, terzomondisti, un po’ New Age e quindi ovviamente filo-Lgbt: apprendere invece che gl’indiani veri sono al contrario nemici dell’omosessualismo li scioccherà non poco.

La questione sta nel fatto che le leggi di due delle più vaste tribù d’indiani nordamericani, i Navajo e i Cherokee, ovvero circa 600mila persone, proibiscono le “nozze” gay. E che lo stesso stabiliscono i codici di altre nove tribù minori che contano in tutto 350mila membri. Quelle leggi indiane lo fanno implicitamente definendo il matrimonio come solo quello contratto tra un uomo e una donna oppure esplicitamente proibendo le unioni tra persone dello stesso sesso. E adesso che la Corte Suprema ha imposto a tutti gli Stati Uniti la legalità del “matrimonio” gay che ne sarà di queste leggi indiane? Niente, continueranno imperterrite a vietare le “nozze” omosessuali. Come esito delle annose e complicate trattative che li hanno nei decenni opposti ai bianchi, le 11 tribù in questione godono infatti di uno status particolare: sono nazioni sovrane, énclave dentro gli Stati Uniti, no-fly zone intoccabili, un po’ come della grandi San Marino nei confronti dell’Italia. 

Riconosciute a livello federale come totalmente autonome, le 11 tribù hanno quindi diritto a varare e a seguire leggi proprie, non essendo soggette alla Costituzione federale degli Stati Uniti. Secondo l’organizzazione Lgbt Freedom to Marry di New York vi sarebbero però almeno altre 10 tribù indiane che ammettono il “matrimonio” gay tra cui i Cheyenne dell’Oklahoma, gli Arapaho, gli Oneida. Numericamente sono però delle piccole minoranze, proprio come minoranze piccole, seppur assai potenti, sono gli Lgbt nel mondo: tutto rientra cioè perfettamente nelle statistiche. In più c’è poi una terza “zona grigia” composta da tribù le cui leggi sembrano sul punto essere neutrali; ma, appunto, sembrano. Perché le leggi di queste tribù terze usano esplicitamente espressioni come «marito e moglie», «un uomo e una donna», «maschio non sposato» e «femmina non sposata». 

Il Northern Cheyenne Uniform Marriage and Divorce Act (la legge dei Cheyenne del Montana), per esempio, definisce il matrimonio «una relazione personale tra un uomo e una donna che nasce da un contratto civile per il quale è essenziale il consenso delle parti» in cui gli sposi «si prendono l’un l’altra come marito e moglie». Negli Stati Uniti qualcuno si sta già domandando se ci sarà mai qualche Gay Pride di provocazione nei pressi delle riserve indiane giusto per vedere cosa ne pensano i pennuti Cheyenne del Montana o i nerboruti Cherokee che già andarono volontari con l’esercito “sudista”.