Massacro di Mazar-i-Sharif, colpo di coda dei Talebani
Fra venerdì sera e sabato mattina, si consumava una delle peggiori stragi del lungo conflitto. Un commando di Talebani è riuscito a infiltrarsi nella base dell’Esercito Nazionale Afgano di Mazar-i-Sharif e ha ucciso 140 soldati. I Talebani sono all'offensiva su tutti i fronti, Kabul è in crisi.
Nel silenzio pressoché completo dei media italiani, in Afghanistan, fra venerdì sera e sabato mattina, si consumava una delle peggiori stragi del lungo conflitto. Un commando di Talebani è riuscito a infiltrarsi nella base dell’Esercito Nazionale Afgano di Mazar-i-Sharif e ha ucciso 140 soldati, cogliendoli completamente di sorpresa, approfittando del loro momento di preghiera del venerdì.
Il governo di Kabul non ha ancora ufficializzato il numero delle vittime e ha annunciato una giornata di lutto per oggi, domenica. Prudentemente dichiara che i caduti del suo esercito sono “più di 100”. In forma anonima, fonti governative confermano che si tratti di una strage di grandi dimensioni, almeno 140 morti in meno di un giorno. Una lunga battaglia in cui 10 Talebani sono stati uccisi e solo 1 catturato vivo, 14 volte meno le perdite subite dai difensori. Mazar-i-Sharif, nell’estremo Nord dell’Afghanistan è la principale base della provincia settentrionale di Balkh. Come i Talebani siano riusciti a penetrare in un’area così fortemente presidiata e a cogliere di sorpresa i difensori è ancora oggetto di indagine. Nasratullah Jamshidi, portavoce dell’esercito, ritiene che i primi sei membri del commando talebano siano entrati travestiti da militari regolari e, fingendo di trasportare un ferito grave, hanno eluso i controlli. Zabihullah Mujahid, portavoce dei Talebani, parla di successo di un’azione coordinata e complessa: infiltrazione di Talebani in uniforme dell’esercito regolare, appunto, ma anche bombe fatte detonare a distanza per distruggere le barriere, infiltrazione di uomini-bomba per sopraffare i posti di blocco e aprire la strada agli altri guerriglieri, a bordo di veicoli, armati di mitragliatrici e lancia-razzi. I primi ad essere abbattuti, a quanto risulta, sono i militari che uscivano dalla preghiera del venerdì, nella moschea della base. Anche e soprattutto per questo, il presidente Ashraf Ghani parla condanna l’attacco come “contrario a tutti i precetti dell’islam”.
Alcuni testimoni sopravvissuti al massacro ritengono che gli assalitori fossero aiutati anche dall’interno della base. “Quando un terrorista è entrato nella base – dice uno di loro alla Bbc – perché non è stato affrontato? Non c’era una sola barriera o un solo posto di blocco, ce n’erano almeno sette o otto”. Il pericolo delle infiltrazioni talebane nelle forze armate afgane è sempre stato molto grave nel lunghissimo conflitto. Ma in questi ultimi due mesi sta diventando particolarmente evidente. Lo dimostra l’attacco all’ospedale militare di Kabul, in marzo: terroristi dello Stato Islamico afgano hanno massacrato a colpi di granate, fucili e coltelli almeno 50 persone, fra feriti, malati e personale medico. Sono entrati quasi certamente a causa di complici all’interno della struttura. Nel corso dell’indagine successiva, nove ufficiali delle forze armate, fra cui anche un colonnello e un generale, sono stati licenziati e processati. Una situazione particolarmente grave, considerando la pressione a cui è sottoposto il governo di Kabul, costretto a fronteggiare una crisi di legittimità, una crisi economica gravissima (50% di disoccupazione nel paese), un’offensiva militare dei Talebani e una terroristica dello Stato Islamico.
I Talebani che, come in tutte le primavere dell’ultimo decennio, sono passati all’offensiva, a marzo hanno registrato un successo clamoroso quanto inaspettato: la presa di Sangin, non lontana da Kandahar, centro di produzione dell’oppio e snodo strategico per il controllo del Sud del paese. Sangin è caduta dopo quasi un anno di continui combattimenti. E’ una città tristemente nota anche per gli occidentali: le truppe statunitensi e soprattutto britanniche hanno perso nei suoi paraggi più uomini che non in tutti gli altri distretti. I britannici, in particolare, vi hanno perso (dal 2002 al 2010) più di cento uomini, un quarto dei 456 caduti di tutto il conflitto. Sapere che adesso l’Esercito Nazionale Afghano ha perso proprio quel presidio è più che demoralizzante: è la dimostrazione che, da solo, l’esercito afgano rischia di essere sopraffatto.
Dal canto loro, gli alleati del governo di Kabul, in primo luogo gli Stati Uniti, sono ancora in cerca di una strategia nuova per il conflitto. Nel frattempo si limitano a singoli colpi, dal valore militare limitato ma dal forte impatto sul morale. Dopo la completa distruzione di una roccaforte dei terroristi dello Stato Islamico, con una sola bomba MOAB (quasi cento i caduti fra gli jihadisti e nessuna perdita fra statunitensi e regolari afgani), Washington ha annunciato proprio ieri l’uccisione di Qari Tayib, uno dei leader dei Talebani, signore della guerra nella provincia settentrionale di Takhar.
I Talebani, con le loro rinnovate offensive, soprattutto con la strage di Mazar-i-Sharif dimostrano di essere ancora vivi e operativi. Come tutti i guerriglieri, il loro obiettivo non è quello di vincere sul campo, ma proprio quello di dimostrare di non essere stati sconfitti. Agli Usa e alleati, adesso spetta la risposta, sospesa fra la tentazione di levare le tende dall’Afghanistan e la paura che possa tornare ad essere un incubo totalitario talebano, una roccaforte del terrorismo islamico, come era prima dell’11 settembre 2001.