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INDIA

Marò, mai fidarsi della giustizia dell'India

Matteo Renzi, dopo il suo colloquio telefonico con il premier indiano Narendra Modi, rischia di finire di nuovo nella trappola indiana. Modi vorrebbe che noi rinunciassimo alla sovranità di questo caso giudiziario, vantando le virtù della giustizia indiana. Alcuni validissimi motivi per non fidarci.

Editoriali 13_08_2014
Narendra Modi

Il governo prova a incantare l’Italia sul caso marò e Matteo Renzi potrebbe “abboccare” all’esca di Narendra Modi. Dopo mesi di silenzio alle richieste italiane di un confronto per trovare una soluzione alla vicenda, che vede protagonisti i fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, il neo premier indiano, nel corso di un colloquio telefonico con Renzi, ha detto lunedì che Roma deve consentire che il processo giudiziario in India "faccia il suo corso". Secondo quanto riporta il Times of India Modi ha ricordato al capo del governo italiano che “la magistratura indiana è libera, giusta e indipendente" e che Nuova Delhi è convinta che "prenderà tutti gli aspetti in considerazione nella decisione su questo caso".

Sul colloquio tra i due statisti manca una versione italiana dal momento che il governo italiano non ha fornito dettagli in proposito. Un silenzio forse dovuto all’ennesima figuraccia rimediata quando la scorsa settimana è emerso che il tanto decantato arbitrato internazionale a cui il governo Renzi disse di aver fatto ricorso per dirimere la questione non è mai stato neppure avviato da Roma.

C’è da restare stupiti dalle parole del premier indiano riportate dal quotidiano. Secondo il leader nazionalista indù Roma dovrebbe accettare la sovranità di Nuova Delhi sul caso rinunciando pure all’immunità funzionale che in tutto il mondo impedisce a ogni Stato di processare militari stranieri per quanto accaduto durante il servizio attivo. Di fatto l’Italia dovrebbe accettare, secondo Modi, il principio che chiunque può processare i suoi soldati. Il riferimento alla giustizia indiana come organismo “giusto e indipendente” suona poi come una presa per i fondelli. Basti ricordare le numerose prove inventate o artefatte per “incastrare” i due marò in maniera talmente cialtronesca che in due anni e mezzo nessun tribunale indiano è stato finora in grado di imbastire un processo, né di decidere in base a quale legge contestare eventuali reati ai due italiani e nemmeno di procedere con l’imputazione di precisi capi d’accusa.

Il richiamo all’indipendenza della Corte Suprema indiana fa poi morire dal ridere. Per smentire le bugie di Modi sarebbe sufficiente ricordare i litigi tra i diversi ministri del precedente governo indiano circa l’applicabilità o meno della legge contro il terrorismo Sua Act al caso di Latorre e Girone e il fatto che la stessa Corte Suprema aveva chiesto al governo di nominare un “tribunale speciale” per gestire il processo agli italiani. E poi non dimentichiamoci che sarà almeno la quarta volta in 30 mesi che da Nuova Delhi giungono promesse di una soluzione “rapida e giusta” della vicenda.

Nel colloquio con Renzi, il premier indiano avrebbe espresso il convincimento del reciproco interesse a trovare una "soluzione equa e celere" alla vicenda dei due marò, ma questa non può certo passare attraverso il riconoscimento della giurisdizione indiana. A meno che Roma non intenda calare ulteriore le braghe, ipotesi da non trascurare considerando che i recenti sviluppi giudiziari e politici del caso stanno emergendo solo grazie a rivelazioni della stampa indiana o denunce dei deputati dell’opposizione, come in occasione dell’inesistente ricorso all’arbitrato internazionale.

Il Times ha riferito che il colloquio telefonico tra Renzi e Modi è stato richiesto dall’Italia e sarebbe interessante sapere perché Palazzo Chigi non ne ha riferito immediatamente. Sperava forse che anche gli indiani avrebbero taciuto?

Eppure già a inizio agosto Renzi s'era detto "molto fiducioso nel nuovo governo indiano" e aveva espresso la speranza che l'esecutivo Modi "nelle prossime settimane" avesse "la possibilità di affrontare" la vicenda dei due marò “e di recuperarla in una dimensione di collaborazione" sulla base "del diritto internazionale". Fiducia a quanto mare mal riposta.

Non è un caso quindi che il l’organo di rappresentanza (Cocer) della Marina Militare abbia ieri duramente criticato il governo.

«Abbiamo atteso che il nuovo governo indiano si insediasse e si giungesse ad una soluzione del caso marò attraverso un dialogo. Dopo la telefonata di ieri, tra il nostro presidente del Consiglio e il capo del governo indiano, non sembra che ci siano queste premesse» ha detto all’agenzia Adnkronos il delegato Vito Alò.

«ll Presidente Renzi auspica una rapida soluzione ma dopo le dichiarazioni di Modi non credo sia ancora possibile. L'Italia - continua Alò - non può permettersi di riconoscere la giustizia indiana e consentire che i due fucilieri vengano processati in India. Se questo avvenisse con quale spirito partirebbero ancora in missione all'estero i nostri militari? Si sentirebbero ancora tutelati dal proprio Paese?» Alò ha esortato poi l’esecutivo a muoversi «verso l'arbitrato internazionale in maniera concreta». Opzione a cui, a quanto pare, Renzi e i suoi ministri non vorrebbero ricorrere per non infastidire Delhi che, comprensibilmente, preferirebbe evitare che la vicenda dei marò finisse sotto la lente di un tribunale internazionale in grado di demolire la credibilità della Giustizia indiana evidenziandone pecche, malafede e servilismo nei confronti della politica.