Marò, l'unica soluzione è un blitz
Dopo due anni continua l'indegno balletto processuale per i Marò italiani. Si ricomincia a parlare di pena di morte, mentre per le elezioni di maggio si profila la vittoria dei fondamentalisti indù. E' ora di riportarseli a casa di forza.
Dopo quasi due anni dai fatti che interessarono il peschereccio indiano Saint Antony, la petroliera Enrica Lexie e i marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sulla vicenda l’oscurità è ancora totale. Le prove e le testimonianze raccolte dagli inquirenti, prima la polizia del Kerala poi gli agenti federali della NIA, devono traballare un bel po’ se anche nell’ultima udienza gli “effebiai” indiani non sono stati in grado di formulare un capo d’accusa contro i nostri militari.
Come abbiamo più volte rilevato gli indizi contro Latorre e Girone non stanno in piedi. Le perizie sui cadaveri dei pescatori riferirono di un calibro diverso da quello dei fucili italiani, poi “corretto” sul referto una volta esaminate le armi dei marò. L’equipaggio del Saint Antony ha cambiato versione 4 volte e il suo proprietario si è fatto restituire l’imbarcazione sequestrata per poi farla temporaneamente affondare impedendo così nuove perizie. Solo un Paese come l’Italia, a corto di statisti e da tempo governato da pavidi improvvisati, poteva accettare di far processare due suoi militari da un tribunale indiano. Perché al di là delle chiacchiere sulla giurisdizione e il diritto internazionale Roma ha accettato, riportando in India i due marò dopo avere annunciato l’anno scorso che sarebbero rimasti in Italia, che a processarli sia un tribunale di Delhi e per giunta neppure militare.
In cambio di una garanzia ridicola che non avrebbero subito condanne capitali il governo Monti ha posto Latorre e Girone alla mercé di un tribunale che non avrebbe alcuna legittimità neppure a Topolinia o a Paperopoli. Un “tribunale speciale” istituito dal governo indiano su invito della Corte Suprema nel quale la polizia decide se e quando presentare i capi d’accusa ed è il ministero dell’interno a stabilire quale pena debba essere comminata. Una buffonata legittimata da gran parte dei media italiani troppo spesso pronti ad accettare gli inviti alla moderazione e a non alzare i toni rivolti dalla Farnesina. Nessuno che si sia chiesto se è possibile accettare che dopo due anni sui nostri militari (che nessun Paese straniero potrebbe mai processare) non pende ancora un solo capo d’accusa?
Negli ultimi giorni però la musica è cambiata e una nuova attenzione sta sorgendo intorno a questo caso. Le motivazioni sono almeno due. La prima è squisitamente interna e legata al fatto che oggi Forza Italia è all’opposizione e sembra puntare a raccogliere consensi accusando i governi Monti e Letta (di cui ha fatto parte) di incapacità e pessima gestione della crisi con l’India.
L’altro elemento, ben più serio e grave dei penosi giochini dell’ormai squalificata politica italiana, è rappresentato dalla rinnovata minaccia che Latorre e Girone vengano incriminati in base alla legge anti-pirateria Sua Act che prevede anche l’applicazione della pena capitale. Uno sviluppo anticipato da indiscrezioni pubblicate dall’Hindustan Times (la cui fonte sembra essere un giudice della Corte Suprema) in base alle quali la NIA presenterà i capi d’accusa entro domani. Sulla vicenda è in atto un braccio di ferro tra ministeri indiani. Gli Esteri, guidati da Salman Kurshid si sono impegnati con l’Italia a escludere la pena capitale mentre Interni e Giustizia respingono ogni ipotesi di mano morbida con i marò.
«La legge prevede la condanna a morte per qualsiasi persona abbia causato il decesso di un'altra» ha dichiarato il 10 gennaio il ministro dell'Interno indiano, Sushil Kumar Shinde, in una conferenza stampa convocata a New Delhi. Ed è chiaro che sarà Shinde ad avere l’ultima parola in tribunale in un processo in cui la condanna di Girone e Latorre è già scontata. Il Partito del Congresso, attualmente al governo, non può mostrarsi morbido con i marò. In svantaggio in tutti i sondaggi nei confronti dei nazionalisti indù dati per vincenti alle elezioni federali di maggio, il partito di Sonia Ghandi deve gestire anche “politicamente” la vicenda e il peso quasi nullo dell’Italia sembra interessare ben poco Nuova Delhi, consapevole dell’atteggiamento “a braghe calate” che ha sempre caratterizzato la posizione di Roma.
A conferma di questa penosa condizione in cui l’Italia si è posta è intervenuto ieri Staffan De Mistura, inviato speciale del governo italiano, che con sprezzo del ridicolo è riuscito ad affermare che «la priorità generale rimane, e rimarrà, riportare in Italia i nostri fucilieri di Marina, con dignità e onore. Usando qualunque strumento giuridico, politico e diplomatico a nostra disposizione». In attesa che qualcuno informi De Mistura che “dignità e onore” ce li siamo già giocati da un pezzo vale la pena chiedersi se la questione della pena di morte sia l’unica di cui preoccuparsi. Una condanna all’ergastolo o a 30 anni di reclusione (in aggiunta, senza estradizione) sarebbe forse accettabile per la dignità e l’onore dell’Italia?
«Oggi abbiamo ribadito la linea che abbiamo sempre indicato, ci aspettiamo che il Governo indiano sia conseguente con le assicurazioni che aveva dato, e con le decisioni della Corte Suprema – ha detto sabato il premier Enrico Letta - e cioè che non sarebbe mai stata applicata la fattispecie della pirateria, e che la decisione sarebbe stata rapida. Noi ci aspettiamo che queste rassicurazioni vengano soddisfatte». Non sono bastati due anni di soprusi e prese in giro, gli ingenui di Palazzo Chigi si aspettano ancora correttezza e onestà dalle autorità indiane.
Il rischio vero è che la NIA abbia finora rinunciato a presentare i capi d’accusa perché Latorre e Girone non si sono mai presentati alle ultime udienze in tribunale. Finché restano in ambasciata sono relativamente al sicuro ma se in tribunale venissero mosse loro accuse ufficiali la NIA potrebbe chiedere e ottenere il loro arresto. Una volta in un carcere indiano Latorre e Girone sarebbero in balìa del governo indiano, o peggio, del prossimo governo guidato dai fanatici nazionalisti indù. E non è neppure certo che Nuova Delhi non proceda con la forza per arrestarli anche all’interno dell’ambasciata indiana con un ennesimo atto illecito di quelli che non sembrano certo impensierire le autorità di Nuova Delhi.
Per questo l’unica cosa che abbia oggi un senso è prelevare Latorre e Girone e portarli fuori dall’India. Non avremmo mai dovuti consegnarli a un Paese del Terzo mondo che si fa beffe del diritto internazionale ma oggi, anche per riscattare gli errori del passato, occorre attivare subito i servizi segreti e gli organismi in grado di effettuare un’operazione clandestina di salvataggio per portare i due marò lontano da Delhi e dall’India. Con un po’ di attributi forse potremmo tornare a pronunciare legittimamente parole quali dignità e onore.