Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Luigi Maria Grignion di Montfort a cura di Ermes Dovico

IL CASO

Marò in India, la vergogna dell'Italia

Prorogata la detenzione dei due fucilieri italiani, malgrado anche sulla stampa nazionale emerga che non ci sono prove nei loro confronti.

Attualità 04_04_2012
I due marò
Nella vicenda dei fucilieri Massimiliano Latorre e del sergente Salvatore Girone, detenuti da un mese e mezzo nelle carceri del Kerala, c’è qualcosa che accomuna le istituzioni italiane e indiane: entrambi non sanno più che pesci prendere per giustificare il loro operato. I magistrati e i poliziotti indiani continuano a reiterare il blocco della petroliera Enrica Lexie nel porto di Kochi e gli arresti giudiziari dei due militari, rinnovandoli ulteriormente di due settimane, ma non sono riusciti a tirare fuori una sola prova che correli nave e soldati italiani ai due pescatori morti sul peschereccio Saint Antony.

Dopo un mese non sono stati comunicati neppure gli esiti della perizia balistica, con ogni probabilità tenuta nascosta perché non dimostrerebbe nessuna relazione tra le armi italiane e i proiettili trovati nei corpi dei due pescatori. Secondo il Times of India la squadra investigativa speciale (Sit) della polizia del Kerala “sospetta che una delle armi utilizzate dai militari debba ancora essere sequestrata”. Fonti autorevoli avrebbero riferito al giornale che “l'arma usata da uno dei marò non è fra le sette sequestrate a bordo della nave”.  Ma se non c’è come fanno a dire che appartiene ai marò?

In pratica la polizia ammette di non avere nulla in mano, per questo è tornata a bordo della Lexie a interrogare di nuovo i quattro commilitoni di Latorre e Girone. Gli agenti sostengono che ''qualche altra arma è stata utilizzata da uno dei marò per sparare contro il peschereccio St. Antony'' ma questo conferma quello che i nostri militari hanno sempre detto e cioè che la Lexie non ha mai incontrato il Saint Antony e i pescatori uccisi non hanno nulla a che fare con la petroliera italiana e il suo nucleo di scorta.

Il quotidiano indiano aggiunge poi che ''le prove balistiche possono aver mostrato l'inconciliabilità fra le armi a disposizione e i segni sui proiettili e le incamiciature'' recuperate. Quindi non c’è nessun legame balistico tra le armi dei marò e i pescatori morti poiché i segni lasciati su un proiettile sono unici e costituiscono una “firma” per ogni arma da fuoco. Invece di rilasciare Latorre e Girone e scusarsi con l’Italia gli indiani ne rinnovano la carcerazione forse perché consapevoli che il governo italiano mai alzerà la voce dopo aver calato le braghe per un mese e mezzo di fronte a ogni tipo di sopruso.

Basti pensare che dopo un lungo silenzio il Presidente della Repubblica si è finalmente deciso a dire qualcosa sulla vicenda ironizzando però su quanti chiedono a gran voce la liberazione dei due militari. Rispondendo alle domande dei giornalisti durante la sua visita ad Amman, Giorgio Napolitano ha detto che “se qualcun altro oltre a mettere qualche striscione ha delle idee aspettiamo di conoscerle...'', riferendosi evidentemente alle amministrazioni comunali che hanno esposto le foto di Latorre e Girone e alla manifestazione di sabato scorso organizzata dall’Associazione nazionale marinai d’Italia. Singolare che il Capo dello Stato (che è anche comandante delle forze armate e presidente del Consiglio supremo di Difesa) invece di alzare la voce con un Paese del terzo mondo che tiene prigionieri due militari italiani senza prove e in barba alle leggi internazionali, si limiti invece a prendere in giro la “società civile” mobilitatasi per esprimere solidarietà ai due soldati e chiedere alle istituzioni di agire.

Napolitano ha aggiunto che la situazione dei due marò è "molto difficile" ma "ce la mettiamo tutta" esprimendo rassegnazione per il rinnovo della carcerazione. “Non possiamo fare altro che prendere atto di questa determinazione delle autorità indiane che era tra le previsioni più infauste”. Come se non ci fossero opzioni alternative al calare le braghe di fronte ai soprusi di Nuova Delhi, peraltro  così sicura che Roma continuerà a comportarsi da pecora che il ministro degli Esteri, S.M. Krishnai, non solo ha detto  che il Kerala ”ha deciso giustamente di arrestare i due marines" ma si è anche detto certo che il caso "non influisce sulle cordiali relazioni tra Italia e India”.
 
Preso atto che al Quirinale, a Palazzo Chigi e alla Farnesina quando si tratta di tirare fuori grinta e attributi sono a corto di idee proviamo a suggerirne qualcuna. Roma potrebbe portare il caso alle Nazioni Unite denunciando con forza le violazioni del diritto internazionale. Oppure minacciare di  interrompere le relazioni diplomatiche e di congelare i rapporti commerciali con l’India incluse le forniture militari. Con un gesto muscolare potremmo persino inviare la flotta guidata dalla portaerei Cavour di fronte al porto di Kochi per creare una crisi con l’India che obbligherebbe la comunità internazionale a intervenire.

Potremmo inoltre esercitare pressioni sugli Stati Uniti e gli altri alleati minacciando di ritirare tutti i contingenti all’estero, incluse le truppe in Afghanistan e le navi della flotta anti-pirateria nell’Oceano Indiano, finché le tutele giuridiche dei nostri militari impegnati oltremare non verranno garantite.

Forse sarebbe sufficiente che l’Italia dimostrasse al mondo che la questione è molto importante e avrà ripercussioni pesanti. Invece nei palazzi romani i due fucilieri sembrano venir considerati un fastidioso e imbarazzante intralcio agli affari con l’India. Colpa anche di leader che non riescono ad essere statisti ma al massimo raggiungono la statura di amministratori delegati che misurano in fatturati il proprio valore.