Mar Rosso, i limiti e i rischi della missione navale occidentale
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Parte la missione navale a guida Usa per scortare i mercantili nel Mar Rosso, dopo i frequenti attacchi delle milizie Houthi, filo-iraniane. Solo un paese arabo aderisce. E il rischio di escalation cresce.
La “chiamata alle armi” degli Stati Uniti contro le milizie Houthi yemenite che minacciano il traffico marittimo, nell’imbocco meridionale del Mar Rosso, non sembra riscuotere il successo che Washington si attendeva.
Tra le nazioni che hanno aderito alla richiesta di inviare navi nello Stretto di Bab el Mandeb, per scortare i mercantili che sfideranno i droni e i missili delle milizie di Ansar Allah (il braccio armato degli Houthi), vi sono per lo più nazioni europee che fanno parte della Nato. Anche l’Italia che in seguito al colloquio in videoconferenza del 19 dicembre tra il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, ha annunciato l’invio nel Mar Rosso della fregata lanciamissili Virginio Fasan.
«Durante il colloquio è stata affermata l'importanza del principio di libera navigazione, valutato l'impatto sul commercio internazionale e discusse le possibili opzioni per garantire la sicurezza delle rotte marittime al fine di prevenire ripercussioni sull'economia internazionale, con pericolose dinamiche sui prezzi delle materie prime» ha dichiarato Crosetto. «L’Italia farà la sua parte, insieme alla comunità internazionale, per contrastare l’attività terroristica di destabilizzazione degli Houthi, che abbiamo già condannato pubblicamente, e per tutelare la prosperità del commercio e garantire la libertà di navigazione e il diritto internazionale. È necessario aumentare la presenza nell’area al fine di creare le condizioni per la stabilizzazione, evitare disastri ecologici e prevenire, inoltre, una ripresa della spinta inflazionistica».
La fregata Fasan era già destinata a operare in quelle acque a partire da febbraio, ma nell'ambito dell’Operazione Ue antipirateria Atalanta ma da gennaio dovrà invece operare in un contesto a rischio più elevato nell'Operazione Prosperity Guardian, varata e guidata dagli Stati Uniti. La lista delle nazioni partecipanti include Francia e Regno Unito (che hanno già navi in quel settore, peraltro intervenute, come hanno fatto anche navi statunitensi, per intercettare missili e droni Houthi), Danimarca, Olanda, Spagna, Norvegia, Grecia, Canada, Bahrein e Seychelles. Queste ultime due nazioni lista offriranno una presenza dal valore simbolico e politico poiché non dispongono di unità navali impiegabili per intercettare droni e missili. Il Bahrein è, al momento, l’unico Stato arabo ad aver aderito alla coalizione ed ospita il comando della 5a Flotta americana.
L'Unione Europea, ormai nulla di più di una “ruota di scorta” degli Stati Uniti, ha deciso di sostenere l'operazione, come ha affermato l'Alto rappresentante Josep Borrell, sottolineando che «gli Stati membri hanno accettato di contribuire attraverso l'Operazione Atalanta che consentirà anche il coinvolgimento della Spagna, non disponibile a partecipare se non all'interno di dispositivi Nato o Ue». Atalanta, attualmente a guida spagnola, si trasformerà quindi, da missione europea di contrasto alla pirateria somala, in missione a guida statunitense di contrasto agli attacchi degli Houthi contro i mercantili diretti in Israele o di proprietà riconducibili a interessi israeliani.
All’operazione Prosperity Guardian non aderiscono ovviamente Russia e Cina ma neppure la Germania e l'Australia. Berlino sembra addurre difficoltà di ordine costituzionale a partecipare a una missione che non è posta sotto l'egida di Ue, Nato o Onu, mentre sul piano militare solo una delle tre fregate tedesche per la difesa aerea è attualmente operativa. Il governo tedesco non ha ancora concluso la valutazione ma ha chiesto all’Iran di intervenire sulle forze Houthi affinché cessino gli attacchi contro le navi mercantili nel Mar Rosso.
Il primo ministro australiano, Anthony Albanese, ha escluso di dispiegare navi o aerei nel Mar Rosso rispondendo negativamente alla richiesta degli Stati Uniti ma offrendo da gennaio il contributo simbolico di 11 militari da assegnare al quartier generale dell'operazione che sarà a Manama (Bahrein), presso il comando della 5a Flotta statunitense. «Gli Usa comprendono che il modo migliore per noi di dare sostegno alla missione è attraverso il supporto diplomatico», ha detto Albanese, la cui posizione è stata accolta con favore a Pechino, come ha riferito il quotidiano di Stato cinese Global Times.
Anche se l’operazione si annuncia di tipo “difensivo”, caratterizzata dalla scorta e protezione dei mercantili impegnati sulla rotta dal Canale di Suez allo Stretto di Bab el Mandeb e viceversa (rotta peraltro ormai abbandonata da quasi tutti i grandi gruppi marittimi internazionali che hanno optato negli ultimi giorni per la più sicura e lunga circumnavigazione dell’Africa) i rischi certo non mancano.
Innanzitutto quello di provocare l’allargamento del conflitto in Medio Oriente, incentrato nella Striscia di Gaza, finora scongiurato. L’ingaggio di droni e missili lanciati dal territorio yemenita avverrà con missili antiaerei, tuttavia gli Stati Uniti stanno valutando unilateralmente un attacco al territorio yemenita e alle basi Houthi impiegate per il lancio di droni e missili impiegando la portaerei Eisenhower nel Golfo di Aden e le forze presenti nella grande base di Camp Lemonnier, a Gibuti. Un attacco che esporrebbe a rappresaglie anche le navi europee dell’Operazione Prosperity Guardian.
L’assenza di nazioni arabe nella coalizione navale appare legata al rischio di trovarsi coinvolti in un nuovo conflitto con gli Houthi proprio ora che lunga e sanguinosa guerra yemenita scoppiata nel 2015 sta giungendo al termine grazie anche alle intese tra monarchie sunnite del Golfo e Iran mediata dalla Cina. Per il ministro degli esteri egiziano, Sameh Shoukry, spetta ai paesi che si affacciano sul Mar Rosso la responsabilità di proteggerlo dagli attacchi dei ribelli Houthi. Appare poi evidente che nessuna nazione araba ha interesse oggi a colpire una milizia araba che “combatte” per la Palestina e che chiede, per cessare gli attacchi al naviglio, la fine dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza: cioè la stessa richiesta presentata più volte dalle nazioni arabe alle Nazioni Unite.
In questo contesto l’operazione Prosperity Guardian, come un eventuale attacco statunitense agli Houthi, rischia di trasformarsi agli occhi del mondo arabo e islamico come l’ennesima aggressione a uno Stato arabo effettuata dall’Occidente schierato al fianco di Israele: uno scenario che indebolirebbe la già da tempo calante influenza occidentale in Medio Oriente. Il 20 dicembre, il leader del gruppo sciita yemenita di Ansar Allah, Abdul Malik al-Houthi, ha accusato gli americani di essere «complici degli orribili crimini che accadono in Palestina» ha sostenuto che «alcuni paesi europei come Francia, Germania e Italia hanno una nera storia coloniale» alle spalle, e da loro «non ci aspettiamo che svolgano un ruolo positivo a beneficio del popolo palestinese».
Mohammed al-Bukhaiti, uno dei leader del movimento Houthi, ha detto ad al Jazeera che il suo gruppo affronterà ogni coalizione formata dagli Stati Uniti che dovesse essere dispiegata nel Mar Rosso. «Anche se gli Usa riuscissero a mobilitare il mondo interno, le nostre operazioni militari (nel Mar Rosso, ndr) non si fermerebbero fin quando non si porrà fine ai crimini di genocidio a Gaza e non sarà consentito l'arrivo di cibo, medicine e carburante alla popolazione assediata nella Striscia, indipendentemente dai sacrifici che ci costerà»,
Il portavoce Muhammad Abdel Salam ha ribadito che «il fine delle operazioni navali di Ansar Allah è sostenere il popolo palestinese nell'affrontare l'aggressione e l'assedio di Gaza, non fare una dimostrazione di forza o una sfida per nessuno. Chiunque cerchi di espandere il conflitto deve assumersi la responsabilità delle conseguenze delle sue azioni». Salam valuta che «la coalizione formata dagli Usa con lo scopo di proteggere Israele e militarizzare il mare senza alcuna giustificazione, non impedirà allo Yemen di continuare le sue legittime operazioni a sostegno di Gaza».
«Prendiamo di mira solo le navi destinate in Israele», ha affermato Salam elogiando le compagnie marittime che hanno annunciato di aver sospeso le spedizioni verso i porti israeliani. «La pressione su Israele deve aumentare, affinché finisca l'assedio di Gaza. Israele sta compiendo massacri orribili. Non possiamo fermarci». Il traffico marittimo nel porto israeliano di Eilat è calato dell’85% da quando sono iniziati gli attacchi degli Houthi ai mercantili. Un membro del Consiglio politico supremo Houthi, Mohammed Ali Al-Houthi, ha dichiarato in un'intervista alla televisione iraniana Al-Alam che «ogni paese che agisca contro di noi avrà le sue navi prese di mira nel Mar Rosso».
Le armi sono quindi affilate ed è difficile credere che un intervento militare americano contro gli Houthi lasci indifferente l’Iran.