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STATO-MAFIA

Mannino assolto Ma chi pagherà per l'ingiustizia?

Un cocktail esplosivo di protagonismo di alcune toghe ed esibizionismo di penne alquanto disinvolte ha prodotto l’ennesima persecuzione mediatico-giudiziaria. E ora chi paga, ci sarebbe da chiedersi? Ma c’è da scommettere che anche l’assoluzione dell’ex ministro Mannino per la presunta trattativa Stato-Mafia finirà in niente.

Editoriali 05_11_2015
L'ex ministro Calogero Mannino

Un cocktail esplosivo di protagonismo di alcune toghe ed esibizionismo di penne alquanto disinvolte ha prodotto l’ennesima persecuzione mediatico-giudiziaria. E ora chi paga, ci sarebbe da chiedersi? Ma c’è da scommettere che anche l’assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino, che fa sciogliere come neve al sole tutti i teoremi più contorti sulla presunta trattativa Stato-Mafia, finirà in un nulla di fatto. Nessuno pagherà per aver sperperato montagne di soldi pubblici per un processo dai chiarissimi risvolti politici, nessun giornalista verrà minimamente investito da un rimorso per aver propalato menzogne e verità non provate all’indirizzo di uomini politici chiamati in causa nell’ambito della costruzione di un castello accusatorio privo di riscontri minimamente credibili.

L’ex esponente di punta della Democrazia cristiana è stato assolto «per non aver commesso il fatto» nel processo Stato-mafia svolto a Palermo con il rito abbreviato. La decisione è stata presa dal giudice per l’udienza preliminare del capoluogo siciliano dopo una breve camera di consiglio. Le accuse rivolte dal pubblico ministero a Mannino erano quelle di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato e per lui erano stati chiesti nove anni di carcere. Ora il processo andrà avanti con rito ordinario nei confronti di altri imputati, che, a differenza di Mannino, non avevano chiesto il rito abbreviato. Anche se il pm ha già annunciato ricorso contro la sentenza di assoluzione, per l’ex ministro siciliano della Democrazia cristiana è la fine di un incubo ed è anche l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa: «Ai pm non interessa avere portato in un'aula giudiziaria l'ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano, a loro interessa lo spettacolo che un guitto ha fatto in alcuni cinema in cui impartiva loro gli indirizzi relativi al processo».

Chiaro il riferimento al direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che in questi anni ha cavalcato l’inchiesta palermitana, impartendo lezioni di moralità “urbi et orbi”. Ma Mannino, a differenza di altri eccellenti politici italiani che hanno in passato gridato al complotto, e non sempre avevano titoli o motivazioni valide per farlo, ha dichiarato di non sentirsi una vittima della giustizia: «Affatto», ha precisato, «semmai una vittima di alcuni pubblici ministeri che stanno continuando una linea politica che era stata loro impartita a cavallo degli anni Novanta, senza dubbio dalla convergenza di interesse tra una parte del Partito comunista e la magistratura. Sono sopravvivenze residuali».

Il calvario mediatico-giudiziario di Mannino è durato circa due anni, in quanto il processo di Palermo è iniziato nel dicembre 2013. Mannino è stato assolto anche in altri processi per mafia, e in via definitiva, ma alcuni pm non l’hanno mai mollato un secondo. Non ci si può spingere con certezza fino a disegnare uno scenario di accanimento nei suoi confronti, ma è indubbio che le montagne di accuse che negli anni gli sono state rivolte non hanno mai prodotto condanne. Questa assoluzione dell’ex ministro democristiano proietta sospetti ancor più fondati su alcuni settori della magistratura che certamente hanno utilizzato l’arma giudiziaria per portare avanti battaglie di tipo politico. Con la complicità di settori della carta stampata che, per ragioni di cassetta o di semplice protagonismo, hanno cavalcato quest’onda giustizialista, nella certezza di intercettare un folto pubblico di lettori, disgustati dalla politica corrotta e collusa con ambienti malavitosi. 

Sentenze come quella di ieri di Palermo restituiscono fiducia a chi crede nella giustizia e nella suddivisione dei poteri. Gli sconfinamenti della giustizia nel perimetro della politica sono una patologia, tipicamente italiana, che toglie credibilità alle istituzioni e alimenta un gioco al massacro tra settori della magistratura e rappresentanti del popolo. C’è da augurarsi che lo spirito riformatore dimostrato e anche un po’ ostentato da questo governo possa declinarsi anche nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, mediante l’introduzione di correttivi e di contrappesi allo strapotere di certi pubblici ministeri, accecati dal pregiudizio e pronti a fare carriera sulla pelle degli innocenti e delle loro famiglie.