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MILANO E ROMA NEL CAOS

Manette, torna il tintinnio, ma Sala non può sospendersi

Un arresto a Roma, un avviso di garanzia a Milano. L’Italia sembra tornata indietro alle notti più buie della Prima Repubblica. Ma la decisione dei sindaco Sala di autospendersi non può essere percorsa e danneggia solo i milanesi. Se non se la sente di tornare in sella, allora si torni alle urne. 

Politica 17_12_2016
Giuseppe Sala

Un arresto a Roma, un avviso di garanzia a Milano e l’agghiacciante aggressione all’ex parlamentare di Forza Italia Osvaldo Napoli davanti a Montecitorio da parte di alcuni rappresentanti del movimento dei Forconi. L’Italia sembra tornata indietro di oltre vent’anni, alle notti più buie della Prima Repubblica. Quando, davanti all’hotel Raphael, il lancio di monetine contro Bettino Craxi fu il culmine e la rappresentazione plastica di quella sete di giustizialismo che attraversava l’Italia in un’ondata corale di sdegno.

Certo, stiamo parlando di vicende giudiziarie diversissime fra di loro. Però ormai è un dato di fatto: l’Italia ha un serio problema con la corruzione nel settore pubblico. La conferma arriva anche da un recente rapporto di Transparency International, che ha presentato il Corruption Preceptions Index del 2015, cioè l'indice che misura quanto uomini d’affari ed esperti del settore credano che nel loro Paese il settore pubblico sia permeato dal malaffare. La classifica mette l’Italia al 61esimo posto globale, con un punteggio di 44 su 100. Si tratta di un miglioramento di otto posizioni rispetto alla classifica del 2014, ma è dovuto più che altro al peggioramento degli altri, se si considera che il nostro punteggio è salito soltanto di un punto. Insomma, la strada è ancora lunga. E questo genera un doppio pericolo.

Da una parte, infatti, abbiamo amministratori della “cosa pubblica” che si dimostrano sempre più spericolati e che sono continuamente tentati da offerte di denaro e scorciatoie illegali. Dall’altra, stiamo assistendo a un vero e proprio commissariamento della politica da parte della magistratura. Le giunte vengono sciolte e le amministrazioni si ritrovano strette fra la morsa della burocrazia - caratterizzata da procedure lente e farraginose –  e i tentacoli di una magistratura a volte pericolosamente vicina alle correnti politiche. Il risultato è una paralisi per il nostro Paese, che viene costretto all’immobilità e non riesce a progredire.

Non si conoscono in maniera definita tutti i dettagli dell’inchiesta che ha portato all’arresto per corruzione di Raffaele Marra, braccio destro del sindaco di Roma, Virginia Raggi, definito addirittura “pericoloso socialmente” dal Gip. Di sicuro gli atti corruttivi che gli vengono attribuiti risalgono al 2013, quando collaborava con la giunta di centrodestra guidata dall’ex sindaco Gianni Alemanno. Ma resta il fatto che l’attuale primo cittadino aveva deciso di tenerlo al suo fianco.

Prendiamo poi il caso del sindaco di Milano Giuseppe Sala, indagato nell’ambito della vicenda Expo per falso ideologico e falso materiale. Quando la notizia dell’avviso di garanzia ha cominciato a circolare sui media, il primo cittadino del capoluogo lombardo non ha perso tempo e si è affrettato a dichiarare a mezzo stampa che si sarebbe autosospeso dalla carica di amministratore della città, consegnando di fatto le deleghe al vice sindaco. Il giorno dopo, sotto gli occhi vigili delle telecamere e gli obiettivi dei fotografi, si è presentato puntuale in Prefettura dove ha formalizzato il provvedimento di autosospensione.

Un scelta anomala, la sua. Innanzitutto perché – stando allo Statuto del Comune di Milano – l’autosospensione del sindaco è contemplata solamente all’articolo 42, che recita testualmente: “Il vice sindaco coadiuva il sindaco e lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento temporaneo, nonché nel caso di sospensione del sindaco stesso dall’esercizio della funzione ai sensi della legge e nei casi previsti dall’articolo 38”. Documentandosi, si legge però che l’articolo 38 disciplina i casi relativi alla cessazione della carica di sindaco e prevede che questo avvenga solo per “dimissioni, rimozione, decadenza o decesso”.

La scelta di Sala, quindi, ha più che altro l’amaro sapore di un gesto mediatico e anche un po’ ipocrita. Cedere all’ondata di sdegno dei cittadini o al ricatto di potenziali giustizialisti – nella fase delle indagini preliminari – non è mai una buona scelta. Perché si rischia di essere stritolati in ogni caso. Non dimentichiamoci mai che l’avviso di garanzia è – appunto – una garanzia per il cittadino. La Procura della Repubblica sta facendo un’indagine con i dovuti accertamenti e deve essere libera di poterlo fare, senza avvertire il senso di colpa di lasciare Milano senza amministrazione.

Con questa sua scelta, infatti, Sala danneggia soprattutto i milanesi. Milano non può restare a lungo senza governo, nelle mani di un vice sindaco. Considerando inoltre che per il percorso giudiziario ci vorrà ancora molto tempo (altri sei mesi di proroga delle indagini preliminari e l’eventualità di un processo) non si può girare intorno alla questione: senza una guida la città non può stare. Se Giuseppe Sala non se la sente di tornare in sella, allora si torni alle urne.