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IL CASO ITALIA

Mancette e non progetti: così la politica fallisce

La politica delle grandi scelte, dell’ampio respiro ha lasciato il posto alla politica politicante, alla provvisorietà che diventa la categoria dominante di ogni annuncio. Qualche esempio? I litorali inquinati, le auto blu elettriche e la digitalizzazione della PA. Tutti progetti ancora sulla carta.

Politica 18_08_2017

Stiamo vivendo un’estate di luci e ombre, con emergenze internazionali e nazionali. Le vacanze, però, dovrebbero anche servire per riflettere sul futuro e per guardare al di là delle contingenze e della frenesia del quotidiano. Allargare l’orizzonte e prefigurare nuovi scenari anche di medio-lungo periodo dovrebbe essere compito della politica che, al di là dell’ordinaria amministrazione, dovrebbe rivolgere lo sguardo lontano e pensare anche all’avvenire delle nuove generazioni, al miglioramento della qualità della vita delle persone, al consolidamento del bene comune.

E invece anche quest’estate dobbiamo prendere atto che la politica delle grandi scelte, delle valutazioni di scenario, dell’ampio respiro ha lasciato il posto alla politica politicante, alla provvisorietà che diventa la categoria dominante di ogni annuncio, di ogni decisione.

La ragione è semplice. Ormai da anni prevale nella classe dirigente nazionale e locale la logica dell’utilità immediata, della monetizzazione elettorale di provvedimenti demagogici. Che siano gli 80 euro di Renzi o i mille euro di pensione minima di Berlusconi poco cambia. Nella mente dei nostri governanti, meglio accontentare subito gli elettori, magari in prossimità di una tornata elettorale, anziché annunciare progetti pluriennali che saranno magari portati a compimento quando il ciclo politico di chi li ha avviati si sarà esaurito. Nell’era di internet e della propaganda politica in Rete, che logora velocemente qualsiasi leadership, non avrebbe senso strategico per un politico rassicurare i cittadini sul fatto che fra dieci anni avranno città più sicure o una qualità dell’aria migliore, perché in due lustri di acqua sotto i ponti ne sarà passata tanta e quel politico avrà già perso le elezioni successive, finendo nel dimenticatoio.

Il problema, però, è che in quest’ottica spudoratamente e cinicamente convenientistica delle scelte politiche, a farne le spese sono soprattutto i cittadini, perché ingenti opere strutturali e infrastrutturali, capaci di cambiare volto a un Paese vecchio e sempre più per vecchi, non vedranno mai la luce. Nessuno si impegnerà per farle, sapendo che non potrà prendersene i meriti di fronte agli elettori.

Alcuni esempi chiariranno ancora meglio il discorso. Legambiente ci ha consegnato in questi giorni un quadro a tinte fosche della qualità delle nostre acque marine, con depuratori insufficienti, tanta incuria e una politica di tutela delle coste e delle spiagge che non preserva i delicati equilibri della biodiversità marina e la salute dei cittadini. Ma il cahier de doleances degli ambientalisti non serve certamente a risolvere il problema. E nessun governo si è sin qui battuto su questo versante, lasciando invece allo spontaneismo volontaristico la cura dei litorali, finiti nelle mani di speculatori e vandali, e la protezione delle acque marine. Ogni inizio estate se ne parla, ma l’estate finisce in fretta e a settembre torna tutto come prima.

Altro esempio è quello delle auto elettriche. A settembre tornerà in discussione una proposta di legge che punta a sostituire gradualmente le auto blu della pubblica amministrazione con auto elettriche. La discussione continua a slittare e il traguardo del 2020, previsto quale termine ultimo per adeguare il territorio italiano in termini di congruo numero di stazioni di ricarica, appare velleitario e illusorio. Manca la copertura economica per costruire quelle stazioni e anche quando, come nel 2012, furono stanziati 50 milioni di euro, quei soldi non furono spesi per l’incapacità di chi governava di varare una politica pluriennale di progressiva diffusione dei veicoli ecologici. Eppure in altre capitali europee la formulazione di progetti di mobilità elettriche, soprattutto nelle aree a più alta densità di traffico, è molto più avanti che in Italia, dove chi sta al governo sa già che occorre troppo tempo per vedere frutti tangibili di scelte e investimenti così complessi. Meglio, quindi, puntare su mancette e contentini a poteri forti o categorie o lobby anziché pensare, a lunga scadenza, al benessere collettivo.

Altrettanto calzante il tema dell’innovazione tecnologica. Basterebbe ripescare una copia cartacea di un quotidiano di dieci anni fa per scoprire che già all’epoca i politici facevano annunci roboanti sulla banda larga e ultralarga, promettendo infrastrutture di Rete in grado di velocizzare le connessioni e di incrementare il business delle aziende e la loro produttività. Ma l’utilitarismo dei governi che si sono succeduti ha sin qui impedito che si varasse una strategia di lungo corso per realizzare le cosiddette autostrade informatiche, principale leva per supportare lo sviluppo dell’economia. Le imprese del settore, di fronte alle incertezze della politica, non investono, e la politica, concentrata su mosse in grado di portare voti, non perde tempo in progetti troppo “lenti”.

Per non parlare, infine, della cosiddetta digitalizzazione della pubblica amministrazione. Da almeno 15 anni ci viene detto che i certificati cartacei spariranno, che si potrà fare tutto on line, che la nostra identità digitale sostituirà in tutto quella fisica e materiale, consentendoci di svolgere attraverso internet ogni funzione burocratico-amministrativa, con enormi risparmi di tempo e di denaro. Eppure i massicci investimenti che ogni ministro per la semplificazione annuncia per sfuggire all’anonimato non producono frutti evidenti perché la pubblica amministrazione continua ad essere fortemente burocratizzata e scarsamente produttiva. Si tratta peraltro di ministri di seconda fascia, quindi meno in grado di incidere sulle scelte di lungo corso, anche perché destinare a processi di semplificazione burocratica risorse pubbliche significa non poter poi incassare dividendi in termini di consensi. La gente avrebbe sempre da ridire per disfunzioni e disservizi e in tasca non si ritroverebbe nulla di tangibile. Dunque non premierebbe elettoralmente gli artefici di tali trasformazioni, peraltro complicate e costose.

Se c’è dunque un auspicio da fare è che tutte le forze politiche, a prescindere dal colore politico, si impegnino a varare progetti almeno decennali in settori strategici per la vita dei cittadini e delle imprese, senza badare al tornaconto elettorale, ma puntando alla crescita del Paese e al futuro delle nuove generazioni.