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L'INTERVISTA

Manca Cappato? I liceali non possono parlare di fine vita

A Milano un liceo ha invitato il leader radicale Marco Cappato e Massimo Gandolfini a parlare del ddl sul biotestamento. Cappato è stato in forse fino all'ultimo e l'incontro ha rischiato di saltare. L'intervista a Gandolfini: «La presenza di un solo rappresentante pro eutanasia è cultura, mentre se ci fossi stato solo io sarebbe stato indottrinamento».

Vita e bioetica 29_04_2017
Marco Cappato

Come da programma iniziale, si è svolto mercoledì 26 il dibattito sull’eutanasia al liceo Carducci di Milano, che ha avuto come protagonisti il neurochirurgo Massimo Gandolfini e il radicale Marco Cappato. Dopo il temporaneo forfait di Cappato, era stato chiesto a Gandolfini di non partecipare all’assemblea, perché nella scuola c’era chi riteneva “ingiusta” l’assenza di una controparte. La conferenza è stata a rischio fino al giorno prima, nonostante la lettera scritta alla dirigenza scolastica da una studentessa, che aveva spiegato come non fosse giusto far saltare tutto per la mancanza di interesse da parte di Cappato e come Gandolfini avesse ugualmente confermato la sua disponibilità, con l’impegno a illustrare in modo oggettivo - da medico - il perché della sua contrarietà al ddl sulle disposizioni anticipate di trattamento (Dat). Solo dopo che l’esponente dei radicali ha fatto sapere che avrebbe partecipato, si è avuta conferma che l’incontro si sarebbe tenuto.

Facciamo questa premessa per ricordare che in Italia, come in altri Paesi, è sempre più difficile assumere una posizione pubblica a difesa della vita senza la contemporanea presenza di almeno un personaggio di parere opposto, che ci spieghi quanto sia “compassionevole” assecondare il suicidio, malgrado l’eutanasia e il suicidio assistito siano tuttora reati. Quando va bene, cultura della vita e cultura della morte vengono trattate come equivalenti, come se si stesse discettando se è meglio una vacanza ai Caraibi o alle Maldive, a riprova del precipizio relativistico in cui stiamo sprofondando, dove non si è più capaci di distinguere il bene dal male. A parti invertite, invece, possiamo tranquillamente assistere a conferenze o servizi televisivi a senso unico, che ci presentano l’eutanasia e l’aborto come atti d’amore.

Di questo e altro la Nuova BQ ha parlato con Gandolfini, il quale ha ribadito la pericolosità dell’intero ddl sulle Dat e promesso che il Comitato Difendiamo i Nostri Figli farà di tutto per bloccarne l’approvazione al Senato, dove “l’esito della battaglia non è per nulla scontato”.

Gandolfini, intanto le chiedo una battuta sul fatto che l’incontro è stato in forse fino all’ultimo per l’assenza di un fautore dell’eutanasia.

Quando ho saputo dell’indisponibilità di Cappato, ho fatto sapere che io continuavo a essere disponibile e non vedevo motivo di far cadere un’occasione di confronto, voluta dagli studenti, su un tema così importante. Ormai siamo arrivati a questo livello: l’eventuale presenza di un solo rappresentante della cultura della morte è cultura, mentre se ci fossi stato solo io sarebbe stato indottrinamento.

Com’è andato l’incontro con gli studenti?

La partecipazione e la manifestazione d’interesse sono state ottime, l’aula magna era stracolma, tanto che c’erano anche persone in piedi. C’è stata un’attenzione totale, io e Cappato abbiamo avuto un quarto d’ora a testa per i nostri interventi e poi ci sono state le domande degli studenti.

Premesso che una legge che rende disponibile un bene indisponibile come la vita è già di per sé una deriva, quali sono i punti più controversi del ddl di cui ha parlato agli studenti?

Ho iniziato proprio col dire che è una legge inutile e, poi, pericolosa. La prima parte della legge riguarda il consenso informato ed è assolutamente inutile perché esiste già. Per confondere le persone sui veri obiettivi, la si presenta come una legge sul consenso informato e si dice “così la gente potrà finalmente decidere a quale terapia vuole essere sottoposta”. Bugia enorme, perché questo già accade. La parte sulle disposizioni anticipate di trattamento è pericolosa, perché non hanno nulla a che fare con il consenso informato, che è legato all’attualità di una patologia e di una terapia ben precise: le Dat sono invece basate sulla fantasia di ciò che mi potrebbe accadere un domani, per cui ho detto ridendo che dovrebbero essere almeno di mille pagine, facendo l’elenco di tutte le patologie e scrivendo che cosa voglio o non voglio in una data situazione. Cosa impossibile da determinare in anticipo. L’inattualità del consenso, stabilita da questo ddl, è un elemento pericoloso dal punto di vista tecnico e scientifico.

C’è poi il problema della nutrizione e idratazione, che il ddl equipara furbescamente a terapie, pur essendo semplicemente la soddisfazione di bisogni vitali.

Sì, ho spiegato che la terapia è relazionata alla malattia e non c’entra con la nutrizione e l’idratazione artificiale (che dovremmo chiamare assistita), perché queste in medicina sono chiamate a ragione “cure di sostegno vitale” e, quindi, non possono essere interrotte. Ho fatto il paragone con ciò che in bioetica si chiama “analogia col neonato sano”: tutte le cure che una mamma ha del suo bambino corrispondono agli stessi atti con cui viene aiutato un adulto non autonomo. È come se una mamma decidesse di non pulire più il suo bambino, di non nutrirlo più, di non dargli più da bere. Un paziente a cui si sospendono idratazione e nutrizione muore sì, ma non a causa della sua patologia: muore di fame e di sete.

Lei è un esperto di stati di coma. Quali problemi presenta al riguardo questo ddl?

Almeno tre. Se dovesse passare il ddl, in presenza di un soggetto in coma ci troveremmo nell’assurdo in cui il medico di pronto soccorso o di terapia intensiva, prima di trattare adeguatamente e rianimare il paziente, dovrà chiedere se ha scritto o no una Dat. E nel caso ci fosse una certa Dat, dovrebbe addirittura astenersi dal rianimarlo. Questo significa che molti soggetti che entrano in coma - e che possono essere recuperati - morirebbero. Secondo. Pensiamo a un soggetto in stato di disturbo prolungato di coscienza: se avesse scritto una Dat per dire che non vuole idratazione e nutrizione, dovremmo farlo morire di fame e di sete. Terzo punto problematico: la figura del fiduciario. Si mette una persona nelle mani di un’altra persona che ha praticamente il diritto di vita e di morte sul paziente, e non è per nulla scontato che il fiduciario sia equilibrato e onesto, e va considerato che può avere interessi di vario tipo. Questo discorso sul fiduciario si aggrava se pensiamo all’articolo delicatissimo sui minori e i disabili, che sono ancora più vulnerabili.

I vari esempi, in Paesi a noi vicini, di eutanasia del non consenziente dimostrano che l’idea dell’autodeterminazione, oltre a negare che siamo persone in relazione le une con le altre, è illusoria.

Esatto. Io ho portato delle statistiche ai ragazzi e gli ho fatto vedere il percorso seguito dall’Olanda, dove nel 2002 l’eutanasia è stata legalizzata per pazienti terminali, poi nel 2004 è stato scritto il protocollo di Groningen, che la prevede perfino per ragazzini di 12 anni. E le statistiche, che sono pubbliche, ci dicono che oggi almeno il 3% dei pazienti vengono sottoposti a eutanasia senza che l’abbiano mai richiesta. Questo è il famoso pendio scivoloso verso cui ci portano leggi come quella in discussione al parlamento.

Da medico e primario, che cosa pensa della negazione del diritto all’obiezione di coscienza a livello di strutture ospedaliere, anche se private e cattoliche?

Pure questo è un grande danno, un passaggio culturale gravissimo. Non solo non dovrebbe mai essere messo in discussione il rispetto della coscienza individuale, ma questo principio va rispettato anche in capo a un’azienda. Un’azienda sanitaria ha il dovere di sostenere la vita, curare le malattie, alleviare il dolore, aiutare i disabili. Se passasse il ddl, si arriverebbe all’assurdo che una struttura di ispirazione cattolica sarà costretta ad accreditare uno specialista esterno per procurare l’eutanasia. Una follia totale.

Cosa ha detto agli studenti riguardo alla strada che la medicina deve seguire con gli anziani, i malati, i disabili e, in genere, i più indifesi?

Gli ho parlato moltissimo di medicina palliativa. Ho detto che l’immaginario collettivo di gente che muore tra dolori indicibili non esiste. La nascita della moderna medicina palliativa si deve in gran parte a Cicely Saunders, che ai suoi malati amava ripetere: “Tu sei importante perché sei tu. E sei importante fino alla fine”. Lei diceva che ci vuole una medicina che prende in carico l’intera persona, cioè non solo l’aspetto della sedazione del dolore, ma anche l’accompagnamento, l’accudimento, la cura psicologica, affettiva, empatica, religiosa, proprio per rispettare la dignità globale della persona. Questa è la vera via per la disabilità, per i pazienti terminali, per i disturbi prolungati di coscienza: ci vogliono delle strutture, degli hospice, in cui questa medicina che assume la globalità dell’essere umano si metta al servizio della persona.