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COVID E MESSE

Mamma, ho perso i fedeli, ma c'è chi esulta per l'autunno della Chiesa

Con la ripresa di settembre è diventato evidente quello che si temeva a marzo: il lockdown imposto ai Sacramenti e le Messe covid-corrette hanno prodotto un drammatico calo di fedeli in chiesa anche del 50%. Solo un vescovo - quello di Pavia - ha lanciato l'allarme. Gli organi di stampa della Chiesa invece esultano: per Avvenire è «solo un disagio, ma l'assottigliamento funziona». E l'Osservatore Romano ringrazia per l'abbandono dei "cattolici culturali". Nessuno vede il tragico frutto dell'abbandono dei fedeli nel momento della paura e il drammatico esito della fede mondana spacciata dai vescovi, per i quali la Messa non è più indispensabile.
- CHIESE VUOTE, FEDE VUOTA di Luigi Corti

Ecclesia 08_09_2020

Numeri precisi non ce ne sono. E neppure statistiche attendibili. Ognuno però può constatarlo di persona dalla propria esperienza personale. Si va dal 30 al 50% in meno. E ogni parroco può contare la diminuzione delle ostie oltre che delle offerte: sono i fedeli che non sono ritornati a Messa dopo il lockdown terminato il 18 maggio. Come soldati non rientrati a casa dopo la campagna militare, come esploratori che non raggiungono il campo base dopo la tappa verso la scalata. I fedeli che mancano all’appuntamento dopo la serrata pandemica, ogni domenica sono un piccolo esercito di delusi. Fedeli fragili, se vogliamo, sicuramente spaesati, ma che non per questo meritano tutto l’entusiasmo dell’addio che invece alcuni espertoni ecclesiali stanno mettendo in campo col fazzoletto sventolante utilizzando le colonne della stampa cattolica di regime, da Avvenire all’Osservatore Romano.

Il fatto è che finalmente, dopo la lunga pausa estiva, la ripresa di settembre ci ha messo di fronte al risultato di mesi e mesi di Messa messa in quarantena: un desolante autunno demografico della fede. Non poteva che finire così, non potevano essere che questi i frutti del pronto e scattante signorsì dei vescovi alle direttive del governo: niente Messa di Pasqua, funerali impediti, un incessante e martellante messaggio che in fondo della Messa si può fare anche a meno, che basta la preghiera in camera, che la salute del corpo è più importante di quella spirituale, che in fondo la Messa è un servizio come un altro che si può interrompere anche con la forza pubblica e togliere a piacere a seconda delle emergenze che incombono. Il risultato è questo: vescovi silenti, vicari generali pronti a trasformarsi in liquidatori fallimentari: se si può fare con meno, si proceda. E questo è il risultato.

I preti sono i primi ad accorgersene e questa lettera scritta alla Bussola mette in evidenza in punto cruciale: una spaventosa mancanza di fede su cui dobbiamo interrogarci, possibilmente senza arzigogoli pastorali e congetture ecclesiologiche.

Più o meno se ne stanno accorgendo anche i vescovi, ma in pochi – pochissimi – escono allo scoperto e soprattutto si interrogano sulle cause. Uno di questi lo ha fatto solennemente nel corso di un’omelia. Ha ricevuto l’attenzione dell’Ansa, ma, ovviamente per il noto principio del tafazzismo clericale, neanche una breve in cronaca del quotidiano della Cei.

Eppure, le parole di Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia, erano state chiare: «Dobbiamo riconoscere che è cresciuta la disaffezione alla Messa, gesto fondamentale della fede, e rischiamo d'essere un popolo sempre più disperso», ha detto non più tardi di una settimana fa nel corso dell’omelia durante la Messa di Sant’Agostino nella Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro.

Sanguineti ha ricordato che «non sono in molti a sentire la necessità di venire a Gesù, d'incontrarlo alla mensa della Parola e del Pane di vita, e tutto ciò ci deve interrogare come pastori, come Chiesa: le circostanze di questo tempo fanno venire alla luce una povertà di fede nel vissuto di tanti».

Ecco il punto. Eppure, Avvenire, invece che interrogarsi, esattamente un mese fa poteva permettersi di stilare un bilancio dei primi tre mesi di Messe pandemicamente corrette per titolare trionfale: “Promosse le Messe Anti-Covid.

Leggiamo l’incipit dell’articolo, che già trasuda di adeguamento al nuovo corso che ci aspetta nei prossimi mesi: «Ormai quasi nessuno ci fa più caso. Ed è diventata una prassi che ha le sembianze della normalità entrare in chiesa dopo essersi igienizzati le mani con il gel oppure venire accompagnati al proprio posto da un volontario per partecipare alla Messa».

Insomma: la Messa sterile e igienizzata, contingentata, mascherinata con il numero chiuso e i fedeli allontanati per mancanza di posti, con il divieto di inginocchiarsi, la comunione distribuita obbligatoriamente sulla mano, le processioni abolite, sono ormai la normalità. Devono essere la normalità. Ecco il messaggio che lanciano i vescovi al loro popolo.

Inutile poi stupirsi dell’abbandono di una parte meno “sensibile” di questo popolo.

Pontifica l’esperto di turno, monsignor Angelo Lameri, docente di liturgia e sacramentaria alla Pontificia Università Lateranense di Roma, consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti e dell’Ufficio celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice e pensi che mai così azzeccata fu la barzelletta di Papa Francesco sulla differenza tra un terrorista e un liturgista: “Col primo puoi trattare”. «Le assemblee si sono assottigliate», dice. Ma in fondo si tratta soltanto di un disagio: «Da un lato, c’è ancora una giustificata preoccupazione legata al virus; dall’altra, si teme che nelle chiese i posti siano esauriti e si debba tornare a casa. Con ironia dico che in qualcuno prevale una singolare generosità che si traduce nella volontà di lasciare spazio agli altri restando a casa». Sai che ironia: rallegrarsi dell’abbandono dei fedeli…

Fino al capolavoro finale: «Finché rimarrà il contingentamento delle presenze, esso rappresenterà un deterrente che frena la partecipazione».

Quindi che fare?

Sarebbe miope dare la colpa di tutto questo al Covid. L’impressione è che il Covid non sia altro che una acceleratore di un processo inevitabile. Con la pandemia è stato detto che si può vivere tranquillamente senza l’Eucarestia.

E questo corollario è sintetizzato magnificamente da un cardinale di Santa Romana Chiesa. «Saremo diminuiti di numero. Perché tutti quelli che non sono più venuti alla Messa, perché venivano solo per ragioni culturali, questi “cattolici culturali”, di sinistra e di destra, non vengono più» dice all’Osservatore Romano Jean-Claude Hollerich, presidente del Comece e arcivescovo di Lussemburgo, una terra che di scristianizzazione se ne intende. Evviva: «Anche le Prime Comunioni, il catechismo per i ragazzini, tutto questo diminuirà di numero, ne sono quasi certo. Ma non è una lamentela da parte mia. Avremmo avuto questo processo anche senza pandemia. Forse ci avremmo messo una decina di anni in più. Ma arrivati a questo punto, la Chiesa deve essere ispirata da un’umiltà che ci permetta di riorganizzarci meglio, di essere più cristiani, perché altrimenti questa cultura del cristianesimo, questo cattolicesimo soltanto culturale, non può durare nel tempo, non ha nessuna forza viva dietro». 

Invece il problema è tutt’altro: spesso a non andare in chiesa è la donna anziana alla quale è stato fatto un vero e proprio terrorismo psicologico e alla quale continuano a dire che “il precetto è sospeso”. E con le prime comunioni e le cresime che riprenderanno tra ottobre e novembre non andrà meglio: il numero chiuso imporrà l’ingresso di un numero sempre più contingentato di parenti. Alcune parrocchie lo hanno già stabilito: 10 al massimo compresi genitori e fratelli del cresimando. Con gli altri ci si ritroverà al ristorante. In fondo, la vera festa deve essere quella.

Insomma: se le chiese si sono svuotate e si svuoteranno è un bene, perché chi se ne va non è altro che una miserabile personificazione di un retaggio di una cultura cristiana da cancellare. Invece di interrogarsi e magari fare un mea culpa sulla fede a mezzo servizio e contaminata col mondo venduta in tutti questi anni, vescovi e cardinali si rallegrano dell’abbandono e quindi della perdizione di milioni di fedeli, i quali avrebbero meritato forse uno zelo maggiore proprio nel momento più drammatico della pandemia, una cura ancor più attenta proprio perché fragili. Invece sono stati scaricati. Avanti così, finché l’ultimo non spegnerà la luce.