Malore, guard rail o batterie? Quante colpe per una verità
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Individuare le cause della tragedia di Mestre è un dovere. Ma accettando la realtà che l'uomo non può controllare tutto: la parola fine non spetta a noi. Inutile il colpevolismo a cui assistiamo in queste ore più ideologico che per sete di verità.
Il malore, le batterie al litio e il guard rail sono gli indiziati principali del terribile incidente di Mestre costato la vita a 21 persone a bordo del pullman precipitato dal ponte che collega la cittadina con Venezia. Però è importante fare chiarezza sull’accaduto. Ma non per trovare a tutti i costi il responsabile della tragedia, piuttosto perché è sempre la verità sulla realtà la prima pietra per l’accettazione di un fatto così tragico.
Il colpevolismo è un nostro tarlo. Cercare un colpevole su cui scaricare la colpa fa parte della solita illusoria pretesa di poter controllare il destino, il proprio futuro. Certo, che ci sia stato un fattore umano alla base di tutto è indiscutibile dalle prime ricostruzioni sulla dinamica. Ma che senso avrebbe gettare la croce addosso al povero autista se poi si deve ammettere che il guard rail, che avrebbe potuto contenere lo scivolamento impazzito del mezzo, era interrotto e il parapetto troppo sottile?
E perché dare la colpa all’autista se poi le batterie al litio hanno fatto il resto prendendo fuoco e accelerando la morte dopo la situazione di schiacciamento provocata dalla caduta da nove metri del bus dal ponte?
Ognuno cerca il suo colpevole per comodità di conclusione o pigrizia di analisi, ma anche solo per affermare una verità di comodo dettata il più delle volte da ragioni ideologiche: chi è contro la rivoluzione green punterà il dito sulle batterie, chi accusa lo Stato, vedi il redivivo Toninelli, dà la colpa al guard rail e chi sta dalla parte dell'assicurazione allarga le braccia e la butta tutta sul malore dell'autista, senza però chiederrsi che cosa l'abbia originato.
Certo che bisogna appurare se c’è stato un malore alla base dello sbandamento e della mancata frenata del mezzo, ma dimostrare che c’entri il vaccino è purtroppo un’operazione ardua. Doverosa, sicuramente, soprattutto per cercare di capire come sia stato possibile che un uomo giudicato sano dai suoi superiori e sottoposto a controlli medici periodici, si sia spento improvvisamente. Come ogni medico sa, è il cuore il responsabile di questi blackout immediati, ma da qui a dire che si tratta del vaccino è impresa quasi impossibile, bisognerebbe fare indagini che nessuno vuole fare, ad esempio andare a ricercare la quantità di troponina nel muscolo cardiaco e accertare che davvero un malore sia alla base della perdita di controllo e non un colpo di sonno o una distrazione. Servirebbe una capacità e una volontà autoptica che al momento in Italia non c’è. E poi, una volta accertato, perché proprio in quel momento, perché in quel tratto di strada? Perché con a bordo quei poveretti in vacanza?
Anche dare la colpa alle batterie al litio dei mezzi elettrici diventa illusorio: il mezzo ha sbandato, poi è caduto e se ha preso fuoco perché ha urtato contro i cavi dell’alta tensione della ferrovia vicina o se invece ha preso fuoco dopo la caduta, è oggetto delle indagini, non certo delle valutazioni politiche sull’utilità dei mezzi elettrici e delle loro batterie. Certo, anche qui, cum grano salis, l’accertamento della verità, di una verità oggettivamente riscontrabile, è importante per non continuare ad essere tormentati dai dubbi che generano poi i vari complottismi.
In quanto al guard rail, è corretto dire che se fosse stato continuo e non interrotto, se dietro di esso ci fosse stato un parapetto più robusto, se fossero arrivati in tempo i fondi del PNRR per adeguare in sicurezza – come previsto – il ponte, oggi non piangeremmo una ventina di vittime alcune delle quali giovanissime?
Tutte queste considerazioni fanno parte della realtà che non vogliamo accettare, del nostro bisogno di individuare sempre un colpevole per non dover ammettere che è impossibile avere un controllo della propria vita e di quella degli altri tale da escludere in maniera millimetrica ogni tipo di rischio.
Non per virare sul fatalismo, ma per accettare un dato di realtà che l’uomo di oggi, che vuole controllare tutto e pretende di esercitare su tutto un dominio, non vuole vedere: anche i capelli del nostro capo sono contati, non si aggiunge un minuto alla vita, quindi estote parati, siate pronti. Il monito evangelico si fonde armoniosamente con la dura legge delle parche che tessevano e poi tagliavano il filo della vita.
Solo una cosa possiamo controllare, lo dobbiamo principalmente alle vittime e ai loro famigliari: evitare di strumentalizzare per ragioni ideologiche una tragedia per i nostri scopi.
Davvero il malore può aver scatenato la perdita di controllo? Allora servirà impegno per dimostrarlo in fase autoptica e poi, una volta accertato, altrettanto impegno e coraggio ci vorrà per chiedersi se per caso il vaccino – ammesso che l’autista fosse vaccinato – possa c’entrare in un qualche modo. È un compito arduo per chi dovrà svolgere le indagini, ma necessario perché i malori improvvisi sono un dato di fatto e in questo caso, se malore c’è stato, stavolta potrebbe aver provocato una strage. Auspichiamo che ci sia la dovuta onestà intellettuale nell’analisi.
La stessa onestà intellettuale che è richiesta per dare una risposta sull’incendio scaturito dopo la caduta. Davvero i mezzi elettrici sono più soggetti a questo rischio? Anche qui servirà onestà e rigore nell’escluderlo o nell’affermarlo. E soprattutto nessun interesse concomitante.
E davvero alle condizioni insufficienti di sicurezza del guard rail si potrebbe imputare qualcosa? Il criterio – speriamo – non sia solo di convenienza politica o come abbiamo visto spesso di scaricabarile.
Ma una volta effettuati tutti gli accertamenti e individuata una causa plausibile, affidiamo le vittime alla divina potestate, sapendo che l’uomo può solo ambire a controllare tutto, nel mistero della vita e della morte c’è l'accettazione che una parola definitiva non spetta a noi. E con questa dovremo sempre fare i conti fino alla fine dei tempi.