Maledetti giornali, viva i giornali
I giornali sono tornati a essere il palcoscenico principale di chi sta al governo del Paese, compresi i Cinque Stelle, nonostante i ripetuti strali lanciati da Crimi e compagni. Intanto, l’ultimo rapporto dell’Agcom rileva una crescita della disinformazione online, specie per cronaca e politica. Ci vuole però discernimento: ci sono buoni e cattivi esempi di informazione sia in rete che sulla carta.
Nella Prima Repubblica i politici approfittavano delle interviste sui giornali per lanciare messaggi in codice ad alleati e avversari, per promuovere il proprio partito e guadagnare consensi. Poi è arrivata la Rete e progressivamente i politici hanno cominciato a usare alcuni giornali online e ancor più i social per farsi propaganda e catturare l’attenzione del pubblico. Qualcuno riteneva fosse un processo irreversibile, tanto da intonare il “de profundis” all’informazione tradizionale e in particolare ai giornali cartacei.
L’apoteosi di tale processo di svalutazione progressiva dei giornali si è avuta con l’attuale governo, che almeno a parole ha dichiarato guerra al giornalismo professionale in generale, ma soprattutto cartaceo. Gli strali lanciati a più riprese da Vito Crimi, il sottosegretario grillino alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, contro la faziosità dei giornali ne sono la riprova. In verità, però, a una lettura più attenta della carta stampata, si scopre che le cose stanno diversamente. Il tentativo dei politici di utilizzare i giornali non è cessato neppure con questo governo, anzi.
Se si sfogliano le prime pagine dei principali quotidiani nazionali degli ultimi mesi, ci si imbatte in una successione di interviste a Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che sembrano entrambi capi ma di due governi diversi. La figura del premier rimane sullo sfondo, in penombra. A lui vengono riservati gli onori di alcune cerimonie ufficiali e, soprattutto, le patate bollenti, come quella di mettere la faccia alla risoluzione della questione dei truffati delle banche.
Sui temi di maggior impatto sull’opinione pubblica, dalle pensioni al reddito di cittadinanza, dalla flat tax alle alleanze in Europa, in prima fila compaiono i capi delle due forze di governo, che continuano ad allungare l’elenco delle promesse elettorali, anche perché tutto sommato la campagna elettorale non è mai finita. E non è detto che finisca dopo le elezioni europee.
Dunque, i giornali sono tornati a essere il palcoscenico principale di chi sta al governo del Paese, dopo essere stati bistrattati, a volte derisi, screditati dai governanti stessi. È un atteggiamento ipocrita, ancora più ipocrita se posto in essere da chi, come il Movimento Cinque Stelle, inizialmente rifiutava addirittura di andarci sui giornali e li riteneva cartastraccia. Senza dimenticare che quel Movimento è riuscito ad andare al governo anche cavalcando l’onda anti-casta alimentata da alcuni giornali.
Questa palese contraddizione negli atteggiamenti dei grillini rispetto ai giornali, utili per difendersi dagli attacchi e per veicolare mirabolanti promesse, ma da chiudere se si permettono di criticare il governo, fa riflettere ancora una volta sul rapporto tra informazione e politica e sulla qualità di certa informazione, cartacea e online.
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha diffuso nei giorni scorsi il secondo report sulla disinformazione online. Nel primo bimestre 2019 la disinformazione prodotta in Italia da siti web, pagine e account social è cresciuta del 10% nel giorno medio di gennaio e del 4% a febbraio. La disinformazione prodotta giornalmente rappresenta il 7% dei contenuti online. Si stima che un sito di disinformazione pubblichi in media 5 nuovi articoli al giorno. La disinformazione si concentra soprattutto su cronaca e politica, due settori che coprono rispettivamente il 40% e il 16% dei contenuti fake, seguiti da scienza e tecnologia al 14%. La disinformazione online nei primi due mesi dell’anno si esercita soprattutto su cronaca nera, politica/governo e lavoro.
Queste cifre inducono a due riflessioni: l’informazione va valutata caso per caso, testata per testata. Sia nell’ecosistema digitale che nel mondo dei media tradizionali convivono esempi di buona ed esempi di cattiva informazione. Occorre esercitare un sano discernimento, senza ragionare in modo manicheo e senza assumere posizioni preconcette a favore dei giornali o a favore di Internet. Ciò che si è scatenato nei circuiti mediatici in occasione del congresso di Verona sulla famiglia la dice lunga su quanto sia trasversale e multimediale la lobby della disinformazione anche sui temi più sensibili.
In secondo luogo c’è il rischio che anche le prossime elezioni europee possano risentire di questo clima di manipolazione dell’informazione di cui si fa interprete l’Agcom. I giornalisti, anche quelli della carta stampata, dovrebbero essere forse più incalzanti nei confronti dei leader politici quando pongono le domande. Quando un politico si serve delle colonne di un giornale per lanciare proclami e promesse, sarebbe opportuno che i giornalisti gli ricordassero gli impegni precedentemente assunti e magari disattesi o gli chiedessero anche i tempi di realizzazione di quegli impegni. Altrimenti davvero la distinzione tra informazione e propaganda diventa impercettibile.