Mai indagare sugli abortifici: re Obama non vuole
Una coppia di attivisti pro-life indaga su un orrendo traffico di tessuti e organi di bambini abortiti e porta alla luce una realtà inquietante. Potrebbe essere l’inizio di una saga giornalistica, un Watergate pro-life. E invece... Dall'amministrazione Obama è partito l'ordine di indagare sui due e i media sono stati più realisti del re.
Una coppia di attivisti pro-life indaga su un orrendo traffico di tessuti e organi di bambini abortiti e porta alla luce una realtà sconosciuta quanto inquietante. Potrebbe essere l’inizio di una saga giornalistica, un Watergate pro-life. Tuttavia, i giornali più prestigiosi degli Usa non seguono questa traccia e accusano chi indaga di essere un calunniatore. In compenso, i due autori dell’indagine, David Daleiden e Sandra Merritt, sono sotto processo, vittime di quella che ormai appare chiaramente come una persecuzione giudiziaria, con 15 capi d’accusa a loro carico, di cui una per associazione a delinquere. E a dare inizio a questo calvario giudiziario sarebbe stata direttamente l’amministrazione Obama nel 2015.
Il video con telecamera nascosta incriminato aveva ripreso pezzi grossi di Planned Parenthood parlare con serenità della vendita di organi e tessuti di feti appena abortiti, con tanto di prezziario. I due autori del video sono subito finiti nel mirino della magistratura per volere politico, con ordini partiti molto in alto. Il testimone Brian Cardwell, al processo a Daleiden e alla Merritt, fa nomi e cognomi. Era ufficiale giudiziario quando Loretta Lynch, Procuratrice generale (equivalente americano del ministro della Giustizia) chiese a Kamala Harris, allora Procuratrice generale della California, di investigare sui due attivisti pro-life. La residenza di Daleiden e della Merritt è stata perquisita e 50mila file video sono stati sequestrati. A quattro anni di distanza da quei primi colpi del processo, Kamala Harris è ora una senatrice del Partito Democratico e candidata alle primarie in vista delle presidenziali.
"Un caso di persecuzione giudiziaria e politica per coprire uno scandalo": così avrebbero titolato tutti i giornali, se solo questa vicenda fosse avvenuta a parti invertite, cioè se i procuratori fossero stati repubblicani e le vittime della giustizia politica dei progressisti. Al contrario, in questo i giornalisti sono stati più realisti del re. Giusto per citare l’esempio più famoso, il comitato editoriale del grande quotidiano New York Times definì l’indagine come una “campagna di diffamazione contro Planned Parenthood” e i video realizzati dai due attivisti pro-life: “un tentativo disonesto di far apparire donazioni di tessuti, legali, volontarie (sic!) e in grado di salvare vite, come cose nefaste e illegali”. Insomma, i giornalisti hanno fatto da gran cassa all’autorità. Senza lamentare alcuna violazione del Primo Emendamento (libertà di espressione) non hanno profferito parola quando i due autori dell’indagine, liberi cittadini in cerca di verità, si sono visti massacrati da sequestri, multe e quindici capi d’imputazione.
Anche adesso, la testimonianza secondo cui l’ordine dell’indagine sia partito direttamente dall’amministrazione Obama non sta facendo notizia. Considerando che di altre inchieste, come il Russiagate, sappiamo quotidianamente ogni singolo dettaglio, è curioso che una vicenda che coinvolge direttamente l’ex presidente Obama e potrebbe mettere in luce un suo abuso di potere venga riportata solo da Life Site News e pochissimi altri quotidiani pro-life.
L’amministrazione Obama non era nuova agli abusi di potere, peraltro. Due anni prima dell’indagine su Planned Parenthood, nel 2013, si era scoperto che Eric Holder, Procuratore generale, predecessore di Loretta Lynch, aveva messo sotto controllo i telefoni dell’agenzia Associated Press. L’agenzia stampa aveva calcolato che erano stati intercettati assiduamente, per mesi, almeno cento suoi giornalisti. Insomma, il presidente più amato dai media, spiava i media. Eppure, nonostante fossero colpiti personalmente, i giornalisti non fecero quadrato. Non vi fu alcuna mobilitazione. Il tutto finì con una lettera di protesta del direttore dell’agenzia. Nel 2012 c'era stato un altro scandalo, diverso, anche se simile: l’agenzia delle entrate (Irs), sotto l’amministrazione Obama, colpiva con più controlli e più regole le associazioni legati al Tea Party e ai conservatori, sospettandoli collettivamente di evasione fiscale. Non se ne fece nulla: nessun funzionario venne colpito. Lo stesso Obama, dopo aver espresso un formale disappunto, disse subito che era un “finto scandalo”.
Usare le istituzioni per insabbiare indagini e colpire oppositori politici, con la complicità e la benedizione dei media: se l’amministrazione è progressista, si può fare. E non è un caso che riguarda solo l’America. Aspettiamo a vedere come va a finire, in Italia, l’indagine sugli abusi di Bibbiano. Perché già ci sono fior di direttori di testata che, invece di incoraggiare inchieste, si stanno impegnando molto per smentire o quantomeno minimizzare quel poco che è già emerso.