L'EDITORIALE
Magistero per una Chiesa missionaria
Mentre ci apprestiamo a celebrare la beatificazione di Giovanni Paolo II, è giusto chiedersi cosa rimarrà del suo pontificato. La sua santità, ma anche uno straordinario insegnamento per riproporre all'uomo moderno la verità di sempre.
Editoriali
29_04_2011
L’apoteosi continua. Lo avevamo lasciato nell’aprile del 2005, accompagnato nella sua agonia da milioni di fedeli in tutto il mondo e dalla veglia davanti alla sua finestra, in piazza san Pietro. Ricordiamo i suoi funerali, preceduti da un interminabile pellegrinaggio alla salma, soprattutto di giovani. Poi le scritte “santo subito” già durante le esequie celebrate al cospetto di tutti i governanti della terra.
Come per i grandi santi della storia della Chiesa, questa immensa e straordinaria devozione popolare non si è esaurita. Ciò significa che non era soltanto un’emozione. Dopo sei anni e in vista della beatificazione che riconosce l’esistenza di almeno un miracolo compiuto da Giovanni Paolo II e riconosciuto dalla Chiesa, quasi tutti continuano a celebrare la santità di quest’uomo che ha guidato dal 1978 al 2005 la Chiesa cattolica. Con poche e spiacevoli eccezioni, come quella della Fraternità sacerdotale San Pio X, fondata dal vescovo Marcel Lefebvre, il cui Superiore ha ammonito che la beatificazione di Giovanni Paolo II è un fatto suscettibile di “provocare la non conversione, e dunque la perdita eterna delle anime”. Un’altra eccezione è l’uscita di un libro del vaticanista de La Stampa Giacomo Galeazzi e del giornalista specializzato in inchiesta contro le “forze speciali” del cristianesimo, Ferruccio Pinotti, che in vista della beatificazione hanno dato alle stampe un libro-inchiesta non contro, come tengono a specificare, ma su Giovanni Paolo II, con una imbarazzante testimonianza finale dell’ex abate di San Paolo fuori le mura, Giovanni Franzoni. Un libro critico e problematico, quanto meno.
Ma a parte queste due eccezioni, l’amore popolare per Giovanni Paolo II continua senz’altro. Però, c’è un però. Non nel senso di voler instillare dubbi ma nel senso, al contrario, di voler fare in modo che la devozione permanga nel tempo, diventi sempre più consapevole, qualcosa come una “pietà teologica”, non solo sentimentale, senza assolutamente disprezzare il ruolo e l’importanza dei sentimenti.
Che cosa rimarrà?
Le espressioni del suo pontificato che ci hanno particolarmente colpito scompariranno inevitabilmente nel tempo, con il passare delle generazioni. Chi lo ricorderà fra qualche decennio non proverà la stessa emozione di chi ha ascoltato la sua voce invitare a “non avere paura di Cristo” nell’ottobre del 1978, così come non avrà le stesse sensazioni di chi lo ha visto ferito in piazza san Pietro e poi convalescente al Gemelli, oppure sicuro di sé negli innumerevoli viaggi pastorali così come, da anziano, lo ricorda debole e malato eppure fermo nel fare il suo dovere di pastore universale, a prezzo di qualunque sforzo.
Certamente rimarrà la sua santità. Ci sarà, a Dio piacendo, il giorno della canonizzazione e molto probabilmente il culto a “Giovanni Paolo II Magno” sarà simile a quello per molti altri grandi, come Francesco o padre Pio, che sembra non diminuire col passare delle generazioni. Ma accanto alla sua santità non possiamo dimenticare il suo insegnamento.
Giovanni Paolo ha scritto 14 Lettere encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche, ha promulgato il Catechismo della Chiesa cattolica, ha riformato i Codici di diritto Canonico Occidentale e Orientale. Ha compiuto 104 viaggi pastorali nel mondo e 146 visite pastorali in Italia. Se aggiungiamo le catechesi del mercoledì, gli innumerevoli discorsi e messaggi, troviamo gli oltre 50 volumi dei suoi insegnamenti, un numero di pagine mai eguagliato.
Un Magistero ancora da studiare, da recepire, tanto che il suo successore, Benedetto XVI, ha potuto dire che la sua intenzione era di non pubblicare molti documenti, ma di contribuire a fare penetrare nel corpo della Chiesa gli insegnamenti del suo predecessore. Le sue catechesi sull’amore umano, ha scritto il suo principale biografo George Weigel, “sono una bomba a orologeria”, e quando verranno scoperte dai cattolici permetteranno finalmente di comprendere la bellezza e l’importanza della sessualità nel piano di Dio, sottraendola all’immagine trasgressiva del post-Sessantotto.
Giovanni Paolo II ha ereditato una Chiesa in piena “autodemolizione”, nel 1978, per usare l’espressione celebre di Paolo VI, il Papa che subì nell’ultimo decennio del pontificato (1968-78) una delle peggiori aggressioni mediatiche dal di dentro e dal di fuori della Chiesa. Ha guidato la barca di Pietro per 27 anni - durante un tempo storico segnato dalle svolte epocali del 1989 e dell’11 settembre 2001 - riuscendo a cambiare il paradigma interpretativo che leggeva la vicenda ecclesiale come una semplice contrapposizione fra progressisti e conservatori, e così mostrando che il contrario di un progressista non è un conservatore, ma un missionario, come dirà l’allora card. Ratzinger nella celebre intervista a Vittorio Messori, “Rapporto sulla fede”, nel 1985.
Questo soprattutto ci ha lasciato, un Magistero per una Chiesa missionaria, che vuole riproporre all’uomo moderno la verità di sempre, che salva e conduce alla felicità eterna, attraverso una nuova evangelizzazione in Occidente e la missione ad gentes negli altri Continenti.
Che cosa rimarrà?
Le espressioni del suo pontificato che ci hanno particolarmente colpito scompariranno inevitabilmente nel tempo, con il passare delle generazioni. Chi lo ricorderà fra qualche decennio non proverà la stessa emozione di chi ha ascoltato la sua voce invitare a “non avere paura di Cristo” nell’ottobre del 1978, così come non avrà le stesse sensazioni di chi lo ha visto ferito in piazza san Pietro e poi convalescente al Gemelli, oppure sicuro di sé negli innumerevoli viaggi pastorali così come, da anziano, lo ricorda debole e malato eppure fermo nel fare il suo dovere di pastore universale, a prezzo di qualunque sforzo.
Certamente rimarrà la sua santità. Ci sarà, a Dio piacendo, il giorno della canonizzazione e molto probabilmente il culto a “Giovanni Paolo II Magno” sarà simile a quello per molti altri grandi, come Francesco o padre Pio, che sembra non diminuire col passare delle generazioni. Ma accanto alla sua santità non possiamo dimenticare il suo insegnamento.
Giovanni Paolo ha scritto 14 Lettere encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche, ha promulgato il Catechismo della Chiesa cattolica, ha riformato i Codici di diritto Canonico Occidentale e Orientale. Ha compiuto 104 viaggi pastorali nel mondo e 146 visite pastorali in Italia. Se aggiungiamo le catechesi del mercoledì, gli innumerevoli discorsi e messaggi, troviamo gli oltre 50 volumi dei suoi insegnamenti, un numero di pagine mai eguagliato.
Un Magistero ancora da studiare, da recepire, tanto che il suo successore, Benedetto XVI, ha potuto dire che la sua intenzione era di non pubblicare molti documenti, ma di contribuire a fare penetrare nel corpo della Chiesa gli insegnamenti del suo predecessore. Le sue catechesi sull’amore umano, ha scritto il suo principale biografo George Weigel, “sono una bomba a orologeria”, e quando verranno scoperte dai cattolici permetteranno finalmente di comprendere la bellezza e l’importanza della sessualità nel piano di Dio, sottraendola all’immagine trasgressiva del post-Sessantotto.
Giovanni Paolo II ha ereditato una Chiesa in piena “autodemolizione”, nel 1978, per usare l’espressione celebre di Paolo VI, il Papa che subì nell’ultimo decennio del pontificato (1968-78) una delle peggiori aggressioni mediatiche dal di dentro e dal di fuori della Chiesa. Ha guidato la barca di Pietro per 27 anni - durante un tempo storico segnato dalle svolte epocali del 1989 e dell’11 settembre 2001 - riuscendo a cambiare il paradigma interpretativo che leggeva la vicenda ecclesiale come una semplice contrapposizione fra progressisti e conservatori, e così mostrando che il contrario di un progressista non è un conservatore, ma un missionario, come dirà l’allora card. Ratzinger nella celebre intervista a Vittorio Messori, “Rapporto sulla fede”, nel 1985.
Questo soprattutto ci ha lasciato, un Magistero per una Chiesa missionaria, che vuole riproporre all’uomo moderno la verità di sempre, che salva e conduce alla felicità eterna, attraverso una nuova evangelizzazione in Occidente e la missione ad gentes negli altri Continenti.