Mafia Capitale e la cupola delle intercettazioni
Questa volta a insorgere non sono i politici o i potenti o le vittime della “malagiustizia”, bensì gli avvocati penalisti. «Basta con i mostri sbattuti in prima pagina», tuonano in un comunicato stampa destinato a rinfocolare le polemiche sull’uso spregiudicato e disinvolto di intercettazioni e processi mediatici. Gli ultimi abusi in ordine di tempo sono quelli legati all’inchiesta su Mafia Capitale. Che dice l'Ordine dei giornalisti?
Questa volta a insorgere non sono i politici o i potenti o le vittime della “malagiustizia”, bensì gli avvocati penalisti. «Basta con i mostri sbattuti in prima pagina», tuonano in un comunicato stampa destinato a rinfocolare le polemiche sull’uso spregiudicato e disinvolto di intercettazioni e processi mediatici. Gli ultimi abusi in ordine di tempo sono quelli legati all’inchiesta su Mafia Capitale. Nei giorni scorsi sono state mandate in onda da tutte le televisioni, con insistenza quasi ossessiva, una serie di intercettazioni ambientali e telefoniche tra arrestati, che vengono smascherati nelle loro pratiche di malaffare. Addirittura in una scena si assiste alla conta delle banconote di una mazzetta da parte di uno di loro.
Prove inoppugnabili di colpevolezza, che inchiodano i protagonisti della diffusa rete di corruzione che attraversava tutti gli schieramenti politici. Difficile negare che il cittadino abbia diritto di sapere quello che facevano i rappresentanti del popolo, lucrando sul traffico di immigrati, e non solo. Difficile altresì negare, però, che quella diffusione di immagini possa alimentare nell’opinione pubblica una qualunquistica vocazione all’antipolitica, con effetti perversi e di generale discredito sull’intera classe politica, fatta anche di persone oneste. Ma quando le intercettazioni o i particolari dell’inchiesta finiscono per investire anche terze persone, non indagate o solo sospettate di essere coinvolte nelle indagini, la questione è ancora più delicata. I media hanno dedicato molto spazio a una conversazione tra Salvatore Buzzi e uno dei suoi interlocutori mariuoli, a proposito dell’assunzione di due giovani donne. Trattasi di intercettazioni prive di rilevanza penale e dalle quali emerge quella che si può considerare una delle pratiche più diffuse nel mondo della politica, e non solo: quella delle raccomandazioni. E allora aveva senso diffondere anche quelle telefonate?
Capita spessissimo che la “bulimia intercettatoria” tipica del sistema italiano finisca per invadere anche i circuiti mediatici, provocando lesioni della privacy e della dignità di persone estranee alle indagini e colpevoli soltanto di avere frequentazioni magari discutibili, ma certamente non in violazione di legge. La nostra Costituzione (articolo 27) è molto chiara nel prevedere la presunzione di innocenza, richiamata dal premier Renzi nei giorni scorsi a proposito del sottosegretario all’agricoltura, Giuseppe Castiglione (Nuovo centrodestra), indagato dalla procura di Catania per turbativa d’asta e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente della pubblica amministrazione nell’ambito di un appalto per la gestione dei servizi del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo, in provincia di Catania. Il cittadino è da considerarsi innocente fino alla condanna definitiva, quella eventualmente inflitta dalla Cassazione. Fino ad allora non è possibile anticipare giudizi di colpevolezza e trattare come colpevoli persone accusate di reati.
Nel mondo del giornalismo questo principio sembra saltato da tempo e la degenerazione dei processi mediatici, con la spettacolarizzazione delle vicende giudiziarie, finisce per trasformare gli studi televisivi in ring tra innocentisti e colpevolisti e in tribunali del popolo chiamati ad ascoltare telefonate e a esprimere giudizi su soggetti che solo in un secondo momento verranno giudicati dai tribunali. Alcuni pm preferiscono dare in pasto all’opinione pubblica, attraverso giornalisti compiacenti, brogliacci di telefonate che svelano, in modo spesso inopportuno e indecoroso, particolari di vita privata privi di interesse pubblico, ma in grado di alimentare semplicemente la curiosità morbosa di giustizialisti e forcaioli. Il tutto a scapito dell’equilibrio del giudizio e delle valutazioni su ogni singolo caso e in violazione di numerose carte deontologiche. Già nel 1993, infatti, in piena Tangentopoli, l’Ordine nazionale dei giornalisti sentì il bisogno di approvare la Carta dei doveri del giornalista, nella quale si ribadisce il dovere di rispettare la presunzione di innocenza anche in ambito informativo, preservando la dignità di indagati e arrestati e tutelando al massimo la privacy delle persone collegate ai protagonisti dei fatti. Tale principio è stato riconfermato in maniera altrettanto solenne nel Codice deontologico del 1998 sul rapporto tra privacy e giornalismo e nel Codice del 2009 sui processi mediatici, nel quale tutte le emittenti radiotelevisive (con l’Ordine dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa italiana) hanno assunto il preciso impegno di non mandare in onda rappresentazioni di vicende giudiziarie lesive della dignità dei soggetti protagonisti.
Ma evidentemente tutto ciò non è bastato. Nel comunicato dell’Unione camere penali i toni sono perentori: «I penalisti italiani, d'ora in poi segnaleranno formalmente ai Procuratori della Repubblica ed agli Ordini dei giornalisti queste violazioni della legge, e si appellano al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Parlamento, agli organi dello Stato ed in particolare a tutti i giornalisti, perché venga respinto questo modo di fare informazione. L'Unione delle Camere Penali», conclude la nota, «chiede inoltre a tutta l'Avvocatura, alle formazioni sociali ed ai cittadini di condividere questa battaglia che è prima di tutto di civiltà oltre che di legalità». Secondo i penalisti italiani, quindi, la seconda tranche di arresti dell’inchiesta Mafia Capitale ha travalicato i confini del corretto esercizio del diritto di cronaca, con stucchevoli esempi di giornalismo-spazzatura: «É la riprova», rincarano le Camere penali, «del cinismo di buona parte dell’informazione italiana, che tratta gli esseri umani come trofei da inchiesta giudiziaria, e di chi, ricoprendo ruoli pubblici delicati e funzioni giudiziarie di rilievo, non ha nessuna remora a dare in pasto carne fresca per l'esibizione muscolare quotidiana e per tentare di condizionare la giurisdizione». Una miscela giustizialista esplosiva, quindi, che si nutre di esibizionismo di certa magistratura e di scoopismo di certa informazione. Risultato: il tritacarne mediatico, che calpesta i diritti della personalità. In una democrazia sana non dovrebbe accadere.