Mafia a Brescello, dal Mondo piccolo al piccolo mondo
Il Comune è il primo sciolto per Mafia in Emilia. Ma il sindaco non è indagato, eppure il CdM ha deciso lo scioglimento sulla base di una relazione secretata. Il Parroco difende il sindaco, come ai tempi di don Camillo e Peppone. E il Pd scansa il problema. Con la teoria solita dei compagni che sbagliano.
C'è sempre una prima volta. Il comune di Brescello è il primo comune emiliano ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose. Il Consiglio dei Ministri ha decretato lo scioglimento del consiglio comunale per Mafia dopo che il prefetto di Reggio Emilia Raffaele Ruberto ha inviato al ministro degli Interni Alfano un corposo dossier (si parla di 300 pagine) che comproverebbe il pesante condizionamento della cosca 'ndranghetista Grande Arcacri nell'attività amministrativa del paese sulle rive del Po reso immortale dalla saga di don Camillo e Peppone di Guareschi.
Il dossier è stato prodotto dagli investigatori inviati dal rappresentante del governo, che hanno scandagliato 20 anni di attività amminstrativa in sei mesi di lavoro. Tutto è nato dalle dichiarazioni improvvide del sindaco di Brescello Marcello Coffrini, avvocato e figlio di Ermes Coffrini anch'egli avvocato e sindaco di Brescello negli anni '90. Questi nel corso di un'intervista ad un giornale studentesco aveva definito Francesco Grande Aracri, fratello del boss Nicolino condannato in via definitiva per Mafia, una "brava prsona". Grande Aracri ha la sua base a Brescello, dove negli anni è cresciuto un popoloso quartiere di immigrati cutresi, che hanno fatto di Brescello una delle roccaforti del controllo che il clan ha avuto sulla provincia di Reggio, come è emerso dagli atti dell'inchiesta Aemilia, che sta processando in questi giorni tra Reggio e Bologna la cupola 'ndranghetista calabrese nelle province emiliane.
Quell'intervista del sindaco scatenò una reazione a catena di indignazione popolare, che dopo una pressante azione del Pd, partito con il quale Coffrini era stato eletto, portò alle dimissioni del sindaco e all'ingresso di un commissario prefettizio. Nel frattempo, mentre la cittadina si stava organizzando per il prossimo voto amministrativo del 5 giugno, la notizia dello scioglimento per mafia, che era nell'aria già da tempo.
In Emilia è la prima volta che ci si trova ad aver a che fare con casi di questo genere. Inevitabile dunque che i meccanismi messi in moto dall'opinione pubblica non siano sempre dalla traiettoria facile. Ma anche quello che emerge agli atti non è altrettanto semplice. Ad esempio: delle 300 pagine di dossier non si sa nulla dato che sono segrete. Non si sa dunque su quali basi e quali episodi il ministro degli Interni abbia proposto al premier Renzi lo scioglimento per Mafia.
Nei mesi scorsi erano uscite indiscrezioni giornalistiche riferibili ad atti amministrativi, appalti e condizionamenti, ma riferiti alle passate amministrazioni, non a quella corrente di Coffrini junior, precisamente a quelle guidate dal padre. Inoltre, allo stato attuale l'ormai ex sindaco non risulta indagato nè esistono al momento collegamenti tra l'attività di Coffrini e le carte del processo Aemilia, che si sta svolgendo e che pure vede tra gli imputati alcuni brescellesi-cutresi.
Perchè dunque è stato effettuato lo scioglimento per Mafia? Se il sindaco non risulta indagato, nè si ha notizia attualmente di assessori nel mirino della magistratura, per quale motivo sul paese di Mondo Piccolo è stata presa questa decisione storica? E' quello che si chiedono in questa vicenda che mescola atti giudiziari e sospetti, ma anche il solito cliché dei rapporti tra don Camillo e Peppone, gli stessi protagonisti della vita del paese.
Da un lato l'ex sindaco, successore di Peppone, che si è sempre detto all'oscuro di trame e appalti al clan e che pure ammise l'ingenuità per quell'intervista, ha annunciato l'intenzione di presentare ricorso. Dall'altro il successore di don Camillo, don Evandro Gherardi, che ha sempre difeso l'operato non tanto dell'amministrazione, ma della sua gente, ammettendo l'incomunicabilità con la nutrita schiera di famiglie cutresi nel territorio, ma respingendo fermamente le accuse che dipingerebbero Brescello sotto scacco delle 'ndrine.
Si ripete così una alleanza tra Peppone e don Camillo secondo la migliore tradizione guereschiana, dove, in attesa che vengano rese note le cause dello scioglimento e si proceda dunque a norma di legge con le dovute aizoni, si dicono indignati per il trattamento riservato al paese rivirasco dai media, colpito solo perché famoso.
C'è un altro aspetto che avvicina questa storia alla saga di Mondo Piccolo. E' il ruolo del partitone rosso, che un tempo si chiamava Pci e oggi si chiama Pd. Quando il cerino si è avvicinato al dito del partito, questo ha da subito scaricato il sindaco, dicendo che comunque non era un iscritto. Eppure, come denunciò la leader della Lega Catia Silva (lei sì pesantemente minacciata dai clan, tanto che è ancora aperto un procedimento contro un cutrese che l'avrebbe minacciata) quando si trattava di fare campagna elettorale, il Pd era al fianco, convinto di Coffrini.
Oggi il Pd canta lo scigliomento del comune come una vittoria della legalità. Ma sembra faticare a vedere oltre il proprio naso e i propri interessi di comodo. Dov'era il Pd in tutti questi anni mentre Brescello veniva amminsitrata con questi condizionamenti? Era al governo, con la sua rete e la sua struttura capilllare di segretari di partito, azionisti, militanti e soprattutto amministratori che si sono avvicendati nel tempo. Compresa la famiglia Coffrini, che viene comunque da un'esperienza di sinistra.
Sarà la giustizia a dirci dunque per quale motivo i boss sono entrati col cappello in testa nell'ufficio di Peppone, anche se ad oggi resta un terribile, grande sospetto: quello che Coffrini non sia altro che un capro espiatorio di un affare molto più grande. La 'ndrangheta in tutti questi anni si è potuta infiltrare per cercare sponde con la politica e quando le cose andavano bene, gli appalti e i lavori pubblici affidati alle ditte cutresi, sono stati fatti da tutti i comuni delle province di Reggio tanto che per un certo periodo i cutresi sembravano aver avuto il controllo completo del territorio, grazie anche ai subappalti che arrivavano loro dalle coop rosse.
In questo senso il partitone rosso sembra utilizzare lo stesso meccanismo di rimozione del problema che utilizzò negli anni '90 quando si dovette finalmente fare i conti con i delitti dei partigiani comunisti, che seminarono il terrore nel Triangolo della morte, uccidendo oppositori, imprenditori e sacerdoti o anche solo semplici simpatizzanti del precedente regime.
In alcuni casi infatti per chiudere la partita, bastò trovare un solo vero colpevole, quello del delitto di don Umberto Pessina, un ex gappista che confessò l'assassinio, riabilitando così l'allora sindaco di Correggio che venne condannato per un delitto mai commesso e si fece 8 anni di carcere.
All'epoca si disse che il partito aveva commesso degli errori, ma che comunque il mito della Resistenza non doveva essere toccato. Si trattarono i gappisti che uccisero a sangue freddo oltre 4.000 innocenti come "compagni che sbagliano" e l'evoluzione post muro di Berlino del Pci, potè continuare a tenere il controllo politico e culturale perché in fondo, bastò questo per fargli fare i conti col suo passato. Invece quei delitti, come poi la storia si è incaricata di dimostrare nascevano proprio dal partito stesso, nel quale vivevano inconciliabili, ma affiancate e sposate in doppiezza, l'anima terrorista e quella conciliante con la democrazia. Insieme con l'unico obiettivo del Sol dell'Avvenire.
Ecco, nella vicenda della Mafia in Emilia, che ha coinvolto un sindaco di un comune di 5.000 persone, sembra ci sia lo stesso tentativo di considerare Coffrini tutto sommato come un compagno che ha sbagliato. Come accadde per la Resistenza rossa, come accadde per la nascita delle Brigate rosse, come accadde per Tangentopoli. Ogni qual volta la sinistra viene sfiorata da sospetti di malaffare, e la storia si è incaricata di dimostrare quanti e quali fossero, il centralismo democratico è sempre riuscito a scansare il problema con l'aiuto di poteri e contrpoteri che evidentemente altri partiti non hanno avuto.
Ma il potere che le 'ndrine hanno potuto gestire in Emilia, non poteva radicarsi per opera di un solo uomo, ammesso e non concesso che Coffrini sia responsabile di questi condizionamenti.
Eppure a Roma, che pure vive di condizionamenti più torbidi con un altro mondo, questa volta di mezzo, nessuno ha proposto il suo scioglimento per Mafia. Ma alle latitudini compresse tra il Po e l'Appennino, si vede che la paura di essere sfiorati da accuse devastanti deve aver consigliato diversamente il potere. Sarà anche un compagno che avrà sbagliato, ma forse qualcun altro deve aver sbagliato con lui. Dal mondo piccolo al piccolo mondo il passo è breve.