Macbeth, tragedia antica sull'uomo di oggi
In scena fino ad oggi allo Strehler di Milano un'interpretazione trascendentale della tragedia shakespeariana di Franco Branciaroli. Macbeth è la tragedia del male dell’uomo, della violazione delle leggi morali e naturali e dell’ambiguità, del caos, della distruzione che ne consegue».
Macbeth muore nell’ultimo atto. Macbeth vive in noi ogni volta che scavalchiamo i muri della nostra coscienza, sedotti da un conto corrente che vorremmo più in salute; da un plauso di colleghi e amici che possa testimoniare prima di tutto a noi stessi il nostro presunto valore o in modo più realistico la nostra presunzione; da uno strapuntino in quel cerchio magico chiamato quadro dirigenziale della azienda in cui lavoriamo o in quella giunta del comune in cui viviamo; dal brivido elettrico degli incontri clandestini prima di far ritorno a casa in famiglia con la vergogna sepolta nel cuore.
E come nella tragedia shakespeariana ogni sfregio alla coscienza semina morte: rottura dei vincoli familiari, invidie, gelosie e infine la morte stessa del protagonista. Chi non rispetta la voce della coscienza, uccide se stesso, la propria identità, il vero ed autentico sé. Come accadde a Macbeth, che nel duello finale, combatte stancamente, anelando forse – dopo tante ingiustizie da lui compiute – ad un raggio di giustizia: la sua morte per mano di MacDuff a cui Macbeth aveva sterminato la famiglia.
Fino ad oggi è in scena allo Strehler di Milano Macbeth dove Franco Branciaroli riveste i panni sia di regista che, in una interpretazione trascendentale, di attore nel ruolo del protagonista. La trama è nota. Siamo in Scozia, basso medioevo, e al nobile Macbeth tre streghe fanno altrettante profezie. Una di queste gli preannuncia che diventerà re. Da quel momento il tarlo della sete di potere inizia a devastare Macbeth, alimentato dai consigli della moglie che anela al trono. Macbeth cede alle sottili pressioni psicologiche della consorte ed uccide il re Duncan, facendo però ricadere i sospetti sulle guardie dello stesso re che prontamente verranno uccise anche loro sempre da Macbeth. I figli del re fuggono temendo per la propria vita e così Macbeth sale al trono come prossimo congiunto del re assassinato. Si compie in tal modo la profezia delle streghe. Da quel momento altri efferati omicidi saranno compiuti per ordine del neo monarca, terrorizzato che qualcuno voglia vendicarsi o spodestarlo. La tragedia si conclude con il suicidio della moglie di Macbeth e la morte di costui, ucciso dalla spada del barone MacDuff.
Per Branciaroli Macbeth non ruota attorno alla sete di potere del protagonista. Questo è solo lo strato superficiale del dramma. “Macbeth, uccidendo il re – spiega il regista - simbolo del padre e del divino, uccide la sua stessa umanità ed entra in una dimensione di solitudine dove perde tutto, amore, ragione, sonno, scopo di vivere. Macbeth è la tragedia del male dell’uomo, della violazione delle leggi morali e naturali e dell’ambiguità, del caos, della distruzione che ne consegue. Un rovesciamento di valori significativamente testimoniato dal canto ambiguo e beffardo delle streghe: Il bello è brutto, e il brutto è bello” . Ed infine appunta una nota attualissima: “Se in più anche la parte femminile si snatura e prende caratteristiche maschili, allora il caos è totale”. Una lettura del dramma del bardo inglese che appare come lucida analisi dell’anima nera dei nostri tempi dove il falso diventa vero, il brutto il bello e il male il bene.
La morte del re è la morte del Re dell’universo, cioè di Dio, è la morte del padre, dell’autorità. Senza autorità non vi son da rispettare nemmeno le leggi (divine e naturali) da lui promulgate. Senza autorità non c’è nessuno a cui rispondere per le proprie colpe, perché lo stesso concetto di colpa viene meno. E così il campo è libero ad ogni efferatezza quali l’uccisione di bambini non nati, di vecchi, della stessa famiglia per mano delle leggi sul divorzio e sui “matrimoni” omosessuali. Chi uccide poi l’autorità, non può che prenderne poi il posto legiferando lui, imponendo la spada e giudicando.
Branciaroli spiega poi che Macbeth è stato sedotto dal sogno – instillato nella sua mente dalle streghe – cioè dai desideri senza limiti. Il regicida, in perenne lotta contro la propria coscienza e sfiancato alla fine dei suoi giorni per questo scontro, si spinge sempre oltre nei delitti sanguinosi perché vuole essere il re del mondo, vuole essere Dio. “Sarete come Dio” sibila il serpente ai nostri progenitori. Ogni limite imposta dalla coscienza è per Macbeth, come per l’ideologo contemporaneo, una privazione ingiusta alla sua libertà. Ma in realtà il limite non è privazione, non è un’offesa alla dignità e alla libertà dell’uomo, bensì è un richiamo alla sua identità, è il tratto creaturale che definisce il vero io, è il confine esistenziale che perimetra la nostra autenticità e ci custodisce dal caos, dalla mancanza di forma, di ordine, di scopo e senso.
Osar di più del nostro essere apre le porte all’infelicità perché il limite indica la nostra vocazione di uomini e quindi la nostra felicità. Oltre il limite non c’è l’ultra uomo nietzschiano, bensì il subumano, il disumano. Lo ricorda a se stesso proprio Macbeth:”I dare do all that may become a man; Who dares do more, is none. Io oso tutto ciò che può essere adatto ad un uomo; chi osa di più, non è un uomo” (Atto I, scena VII).