Ma Twitter non è certo un mezzo di "sinistra"
È sbagliato etichettare ideologicamente i social-network come è successo dopo i referendum e le amministrative. Contano i contenuti.
Dopo i ballottaggi per le elezioni amministrative e soprattutto dopo i referendum impazza in Italia un dibattito: hanno vinto Twitter, Facebook, i blog, il "nuovo" popolo della rete che ha sconfitto la "vecchia" televisione? Se la risposta è sì, non ha un problema solo Silvio Berlusconi. Ce l'ha anche la dirigenza tradizionale del centro-sinistra, in difficoltà a inseguire un "movimento" che non controlla in nessun modo.
La satira anti-Bersani su Internet è particolarmente feroce, e ci vuole poco anche a un Pisapia per trasformarsi in "Pisapippa" - così lo ha chiamato Beppe Grillo - al primo dissidio con un tribuno della rete. Naturalmente c'è anche chi alla domanda risponde no. In un editoriale del 16 giugno il Foglio ha sostenuto che sono tutte solenni sciocchezze. La maggioranza degli Italiani non usa né Facebook né Twitter, e la televisione sembra ancora ben viva e potente. Gli stessi che parlano di rivoluzioni italiane via Twitter poi, contraddittoriamente, affermano che le elezioni le ha vinte Santoro, cioè la televisione. I grandi giornali - e anche questo è un segnale - citano tutti un saggio di Bertram Niessen, sociologo dell'Università di Milano Bicocca ed egli stesso esponente del "movimento", pubblicato - naturalmente - online, su doppiozero.com. Niessen ha un interesse a sopravvalutare la rete, ma si ha anche l'impressione che molti non abbiano letto il suo testo per intero. Niessen scrive anzitutto che non è neppure certo che i social network abbiano "determinato degli spostamenti di voto": ma, secondo lui, hanno creato un clima, una moda che ha contribuito a dissipare "l'aura di invincibilità" che circondava Berlusconi e il centrodestra.
Questo - attenzione - non è avvenuto secondo Niessen perché i social network siano intrinsecamente democratici e quindi "di sinistra". Da sociologo, Niessen conosce bene i molti testi secondo cui la democrazia della rete, e anche dei social network, è solo apparente, e anzi sono in corso, a un livello internazionale che passa ampiamente sopra all'Italia, tentativi di aumentarne il controllo da parte di chi dispone di grandi risorse economiche e tecnologiche. Alla domanda se la rete sia un contesto "più democratico" di altri, Niessen risponde: "decisamente no". Il sociologo milanese attira però l'attenzione su due elementi, uno specificamente riferito a Milano e l'altro italiano. A Milano, afferma raccontando una storia di cui è insieme narratore e protagonista, molti professionisti dei social network - da non confondere, spiega non senza il consueto complesso di superiorità di tutte le sinistre italiane, con i semplici "cani di Pavlov" che vanno su Facebook, leggono e cliccano "mi piace" senza avere capito le vere regole del gioco - sono ex estremisti di sinistra delusi dalle sconfitte.
Vale la pena di farsi raccontare da Niessen questa vicenda milanese: in città c'erano "molti attivisti di lunga data che per lungo tempo erano rimasti “dormienti”, a causa della disillusione per il centrismo inefficace del PD. Si tratta di soggetti e gruppi che avevano una lunga esperienza di militanza politica di base, quella che si fa volantinando nei mercati rionali o tirando tardi ad attacchinare o a parlare con le persone nei bar. Si dà il caso che molti di questi attivisti, nella capitale italiana del terziario avanzato, negli ultimi anni siano divenuti anche professionisti della comunicazione attraverso i social network [...]. E si dà anche il caso che il team del candidato sindaco sia stato abbastanza lungimirante dall’entrare in contatto con questi attivisti, spronandoli all’azione. Attraverso un uso consapevole, intelligente e maturo dei social network, gli attivisti digitali hanno mostrato una competenza schiacciante nell’utilizzo del mezzo, mettendo costantemente alla berlina le strategie di comunicazione “broadcasting” del centrodestra". Per "broadcasting" s'intende la comunicazione centrata sulla televisione, la stampa e anche Internet, usato però in senso non interattivo. L'elemento nazionale italiano, che non vale solo a Milano, riguarda Twitter.
Questo social network nel mondo ha un quinto degli utenti di Facebook - cento milioni contro cinquecento - e in Italia la sproporzione è ancora più vistosa. Twitter da noi ha trecentomila utenti, Facebook arriva allo spaventoso numero di ventidue milioni. Tuttavia gli utenti di Twitter rappresentano un'élite, di cui fa parte per esempio la maggioranza dei giornalisti della carta stampata e delle televisioni, e anche degli utenti professionali - ancora, da non confondersi con i dilettanti - di Facebook. Scrive Niessen che i relativamente pochi utenti italiani di Twitter "hanno un profilo socio-demografico molto diverso rispetto a quelli di altri social network: sono mediamente più adulti, e molto più istruiti. Sono molto spesso anche dei blogger e degli opinion leader, sia su Facebook che nei loro gruppi sociali di riferimento off-line. Quindi Twitter è da considerarsi come un’arena privilegiata, nella quale le élite restano in comunicazione tra loro? Forse in parte si. Ma l’errore che non dobbiamo fare è credere che pochi trend-setter siano in grado di provocare grandi cambiamenti solo attraverso il clicktivism, l’attivismo da tastiera".
Questo errore è quello messo in ridicolo dal Foglio - che ha descritto giornalisti che passano la loro giornata su Twitter e si convincono che tutti gli italiani siano come loro - ma Niessen sta molto attento a non caderci. Cita le teorie critiche del determinismo tecnologico, cui anch'io sono affezionato: le teorie, cioè, che denunciano la fallacia dell'equazione sociologica che vorrebbe far derivare automaticamente effetti sociali da cause tecnologiche. All'epoca della Riforma c'erano cattolici convinti che la stampa, che dava a molti la possibilità di pubblicare eresie, fosse intrinsecamente protestante e ostile alla Chiesa Cattolica: oggi sappiamo che non è così. Anche la radio fu considerata alle origini sia anti-cattolica sia "di sinistra", una tesi che fa sorridere nell'Italia del 2011 dove due delle radio più influenti, certo diversissime fra loro, sono Radio Maria e Radio Padania. Lo stesso vale per la televisione, per Internet, per Facebook, per Twitter. Non dobbiamo confondere un elemento di fatto con uno di principio. In linea di principio Twitter o Facebook, a meno di cadere appunto nel determinismo tecnologico, non sono più "di sinistra" della radio o della televisione.
Sono strumenti, come tali neutri e anzi con una strabiliante capacità di adattarsi ai contenuti. In linea di fatto, invece, la comunicazione politica sui social network in Italia è stata dominata da attivisti di sinistra, talora di estrema sinistra, per le ragioni contingenti illustrate da Niessen ma anche per una ragione di fondo, che si estende anche alla televisione. In Italia, tradizionalmente, il mondo non di sinistra è stato molto debole nello studiare e nel praticare strategie avanzate di comunicazione. Questo difetto è antico - lo stesso Berlusconi è sempre stato più abile a far rendere le sue televisioni che a utilizzarle per veicolare messaggi politici - ma oggi è messo a nudo da un'accelerazione della storia, da mutazioni rapidissime cui si può stare dietro solo con una speciale professionalità. Lo stesso Niessen ci ricorda che su Internet "i boom sono altrettanto veloci delle morti.
Chi frequenta ancora oggi Second Life o Myspace? Solo nel 2008 sembrava che fossero le piattaforme del futuro. Oggi sono delle terre semi-deserte". Molti che hanno faticosamente imparato a usare Facebook oggi scoprono che serve anche Twitter. Ma nessuno può giurare che fra tre anni sarà ancora così. La cattiva notizia per il centrodestra è dunque che in Italia è molto dietro alla sinistra - ma più alla sinistra "di movimento" che a quella istituzionale - per capacità di comunicare e di seguire i mutamenti rapidissimi che attraversano il mondo della comunicazione.
La buona notizia è che in questo ritardo non vi è nulla di necessario o di obbligatorio. Negli Stati Uniti il movimento dei Tea Party ha ripagato il presidente Obama con la stessa moneta. Se Obama aveva travolto i repubblicani sui social network, oggi su Facebook o su Twitter i Tea Party sono una spina nel fianco del presidente.
Vorrei chiudere con un piccolo aneddoto che mostra come i nuovi mezzi tecnologici siano utilizzabili per diffondere in modo "virale" - perché Facebook, Twitter, i blog non sono compartimenti stagni ma si contaminano continuamente fra loro - qualunque messaggio che comunichi effettivamente qualcosa. Ai primi di giugno ho diffuso, prima in un convegno in Ungheria e poi tramite un articolo della Bussola Quotidiana, una semplicissima elaborazione del dato statistico, in sé non nuovo, dello specialista di statistiche religiose David Barrett, dai cui dati si ricava la previsione secondo cui 105.000 cristiani saranno uccisi per la loro fede nel 2011. Il dato era già disponibile sulla rivista e sul sito di Barrett, ma annegato all'interno di altre statistiche. Con una semplice divisione, ho tradotto i 105.000 cristiani uccisi in un anno in uno ogni cinque minuti - i conti, è facile verificarli, tornano.
Il messaggio "un cristiano è ucciso nel mondo per la sua fede ogni cinque minuti" per rispondere a facili obiezioni richiede un articolo che citi le fonti, ed è quanto abbiamo pubblicato sulla Bussola Quotidiana. Ma di per sé è un messaggio da Twitter, che tollera solo comunicazioni brevissime. Infatti l'ho lanciato anzitutto da Budapest, qualche minuto prima di parlarne al convegno europeo, su Twitter, poi su Facebook e sulla Bussola Quotidiana. La notizia non ha raggiunto solo i lettori della Bussola o quelli che mi seguono su Facebook, che comunque non sono pochissimi. Per la natura "virale" della rete il "contagio" si è esteso a oltre duemila blog che hanno ripreso la notizia in moltissime lingue, costringendo anche la carta stampata e i siti istituzionali a riportarla. Oggi su Google la notizia sul cristiano ucciso ogni cinque minuti ha oltre tre milioni di ricorrenze, e il numero continua a crescere.
Questo non è successo perché il sottoscritto o La Bussola Quotidiana dispongano di chissà quali potenti mezzi. In parte la notizia era di per sé, nella sua drammaticità, interessante. In parte il passaggio da 105.000 a "uno a ogni cinque minuti" è stato in effetti pensato per il tipo di comunicazione dei social network e della rete. La lezione da trarne non è "diventiamo bravi come gli avversari a usare Twitter" ma "cerchiamo di avere qualche cosa da dire". Se nella comunicazione "broadcasting" era vero che il mezzo è il messaggio, con molte nuove tecnologie il messaggio è il mezzo. Se il messaggio è così interessante da emergere fra le migliaia di voci che sgomitano per farsi sentire sulla rete, un po' di pratica con le tecnologie - senza risorse straordinarie - gli permetterà di farsi largo. Fatti i primi passi, la natura "virale" della rete moltiplicherà i risultati da sola. Studiamo dunque Facebook e Twitter. Ma torniamo anzitutto ai contenuti.