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L'ANALISI

Ma se sarà decrescita, non sarà certo felice

Grazie alla crisi economica iniziata trenta anni fa generata dal crollo della natalità nei Paesi occidentali, oggi siamo tornati economicamente (e non solo…) indietro di trenta anni. E qualcuno invoca ancora una «decrescita voluta e felice». Ma la decrescita l’abbiamo già provocata e non è affatto felice. 

Economia 19_05_2015
La decrescita economica non sarà felice

Grazie alla crisi economica iniziata trenta anni fa generata dal crollo della natalità nei Paesi occidentali, oggi siamo tornati economicamente (e non solo…) indietro di trenta anni. E qualcuno invoca ancora una «decrescita voluta e felice». Ma la decrescita l’abbiamo già provocata e non è affatto felice. Il crollo del Pil ha provocato povertà e disoccupazione. La ricerca di re-industrializzazione necessaria, per competere con i bassi costi di produzione asiatici, passa per investimenti tecnologici che sacrificano ancor più la mano d’opera. 

Disoccupazione significa perdita di potere di acquisto, diminuzione consumi e investimenti, maggior peso della spesa sociale e crescita tasse. Più Stato e meno privato. In più rende necessari capitali che da noi non ci sono e che provengono solo dai Paesi neoricchi e liquidi (asiatici e mediorientali) che si comprano le imprese occidentali (soprattutto europee), instaurando criteri di efficienza che ancora facciamo  finta di non capire. Si sarà osservato in questi giorni che il nostro Paese ha finalmente prodotto un avanzo commerciale (3.5% del Pil) e una conseguente diminuzione dello spread sceso a 140 punti base. Ciò sta avvenendo perché importiamo meno (ed esportiamo di più grazie alla svalutazione dell’euro sul dollaro).Importiamo meno perché consumiamo meno, e ciò avviene perché guadagniamo meno, conseguenza della decrescita del Pil. Che è conseguenza del crollo delle nascite negli ultimi trenta anni corretta da sacrificio di risparmio e dal debito fatto per sostenere consumi di prodotti prevalentemente importati che hanno de-industrializzato i nostri Paesi e hanno creato occupazione e ricchezza altrove. 

Oggi molti socio-economisti spiegano che d’ora in avanti consumeremo meno, ma meglio. Cioè consumeremo prodotti di maggior qualità e durata, preferibilmente prodotti all’interno del Paese al fine di sostenere produzione e occupazione interna. E questo potrebbe esser una consolazione, se non fosse che i beni prodotti all’interno, a costi più alti di quelli fino a ieri importati da Paesi a basso costo di produzione, costano appunto più cari e ciò si scontra con l’impoverimento generale di troppe fasce sociali deboli che saranno costrette a non consumare affatto.  L’Expo 2015 avrebbe dovuto promuovere proprio le produzioni agroalimentari di maggior qualità. Curioso sia stata sponsorizzata, invece, soprattutto da produttori non locali e non di qualità artigianale. La decrescita infelice preoccuperà molti nel nostro Paese che sanno che lo sviluppo economico dal dopoguerra è stato trainato dall’automobile, e oggi le auto si comprano sempre meno e si producono sempre più in altri Paesi. Ma non abbiamo sostituito l’auto con altri settori trainanti.  

La decrescita infelice preoccuperà gli operatori di un altro settore che ha sempre trainato l’economia del nostro Paese: le costruzioni immobiliari. Le case non si comperano più: costano troppo, hanno costi aggiuntivi troppo alti, sono meno finanziati gli acquisti. La decrescita infelice consolerà invece molti perché provocherà consumi orientati a produttori locali, vicini, con acquisti diretti dai produttori a km zero, dove si va in bicicletta (ma per quanti e quanto tempo?), consolerà gli ambientalisti che vedranno ridursi “lo sfruttamento” dell’ambiente (mah ! la cura dell’ambiente parte anzitutto dalla cura della creatura umana, con che coraggio si insegna a tutelare l’ambiente e tollerare l’aborto?), consoleranno i sociologi che vedranno trasformato l’atteggiamento edonistico ed esibizionistico dei giovani. Per forza, non hanno lavoro … Consolerà i benpensanti che vedranno crescere l’atteggiamento (che chiameranno solidaristico) di attività nel volontariato. Consolerà anche le mamme dei “bamboccioni” perché li vedranno accettare lavori pesanti, che fino a ieri rifiutavano . Per forza, non trovano lavoro e in famiglia è più difficile farsi mantenere dovendo pagare le Imu, le Tasi ecc. …

Consolerà i sociologi della politica che, osservando la fine delle ideologie politiche, parleranno di minori contrapposizioni ideologiche o le individueranno negli attacchi al capitalismo violento e dannoso. Magari dimenticandosi che non andiamo a vere elezioni democratiche dal 2011 (e che se anche ci fossero, non si andrebbe ugualmente a votare, dato che non si capisce più chi e dove si esercita il vero potere). Consolerà anche tanti teologi che credono nella teologia della liberazione e che pensano veramente la non equa ripartizione delle risorse causa i mali sulla terra e che la miseria materiale vada debellata ignorando la miseria morale. 

Concludendo, la decrescita infelice potrà consolare molti e dar origine a tante nuove iniziative creative per il genere umano, io credo invece che detta decrescita, infelice e subita, grazie alla mancanza di ricchezza morale e di insegnamento dottrinale, dovrebbe esser utilizzata da chi ha responsabilità ìdi Magistero nella Chiesa, per spiegare che succede quando si ignorano le leggi naturali della Creazione e gli strumenti economici prendono autonomia morale. E ciò avviene perché chi li usa, cioè l’uomo, non è sufficientemente maturo e saggio per saperli gestire. E come scrive Benedetto XVI concludendo Caritas in Veritate, quando si devono risolvere problemi di questa gravità, è inutile cambiare gli strumenti, bisogna cambiare gli uomini. E chi può cambiare l’uomo è solo la Chiesa, con il suo Magistero, con i Sacramenti, con la preghiera (altro che con varie decrescite infelici). Non lo dico io, lo scrive papa Francesco nella Lumen Fidei