«Ma questo affido non è per niente condiviso»
A dieci anni dalla legge 54 sull’affido condiviso, il bilancio è «fallimentare. Nella maggior parte dei casi l’affido è condiviso solo formalmente e le misure erogate sono la replica del modello precedenti». Lo dice Fabio Nestola, consigliere dI “Adiantum” e presidente della Federazione Nazionale Bigenitorialità.
Si può ancora parlare di divorzio felice? Che cosa succede quando i sacri legami matrimoniali si spaccano? É possibile trovare la felicità nelle relazioni affettive, lasciandosi dietro alle spalle i problemi della propria vita, non risolti? Le risposte ce le offre Fabio Nestola, consigliere dell’associazione “Adiantum”, presidente della Federazione Nazionale Bigenitorialità e direttore del Centro Studi Applicati, a 10 anni dall’entrata in vigore della legge 54, che promosse l’affido condiviso per entrambi i genitori in sostituzione di quello esclusivo, prevalente fino ad allora.
Il 16 marzo 2006, infatti, tale legge stabilì: «Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale... La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori». Perché il legislatore sentì l'esigenza di affermare questi principi?
«Il legislatore non ha “sentito” alcuna esigenza; la riforma ha preso vita grazie alla spinta dal basso di numerose associazioni di categoria: padri, madri, nonni, avvocati, pedagogisti, psicologi. Anzi, è bene ricordare un approccio decisamente recalcitrante della politica, tale da richiedere per l’affido condiviso una gestazione durata 12 anni e 4 legislature».
Qual era la situazione che si verificava nelle separazioni, di solito, prima di questa legge?
«Il sistema giudiziario ha imposto per decenni una divisione netta: i compiti di cura a un solo genitore, quello “vincente”, plenipotenziario nei confronti della prole, all’altro il ruolo circoscritto al reperimento di risorse. È singolare che nel 2006 ci sia voluta una legge per stabilire che per un bambino sono importanti sia il padre sia la madre».
I dati ufficiali dell'Istat ci dicono che nel 2014 le separazioni con figli in affido condiviso erano l’89,4% contro l’8,0% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre; la quota di affidamenti concessi solo al padre era su livelli molto bassi; l’affidamento dei minori a terzi interessava meno dell’1% dei bambini. In base a questi dati, come valuta l'applicazione di quei principi enunciati dalla legge, a 10 anni dalla sua entrata in vigore?
«Fallimentare, non c’è altra definizione. I dati Istat non rispecchiano la realtà poiché le rilevazioni statistiche registrano l’etichetta affissa sull’involucro, ma i contenuti dell’involucro non hanno nulla a che vedere con l’affido condiviso. Nella maggior parte dei casi l’affido è condiviso solo formalmente, le misure erogate sono la replica del modello precedente».
Qual è stato il lavoro di approfondimento di questa problematica, svolto dall'associazione Adiantum?
«Analisi della casistica, un capitale preziosissimo di oltre 55.000 casi trattati in 22 anni di attività, con la possibilità di confrontare provvedimenti emessi sia a monte che a valle della riforma del 2006. Abbiamo inoltre raccolto un dossier sulla modulistica in uso nei tribunali, moduli prestampati nei quali le misure prevalenti erano già decise prima ancora di entrare in aula. La variabile era decidere quale giorno della settimana un genitore potesse vedere i figli, ma, prima di iniziare la causa, era già scritto nero su bianco chi dovesse allontanarsi da casa, versare un assegno e frequentare la prole secondo date ed orari stabiliti dal tribunale. La replica esatta del modello precedente alla riforma, spacciata per grande successo applicativo: affido esclusivo, un pomeriggio a settimana e due domeniche al mese; affido condiviso, sempre un pomeriggio a settimana e due domeniche al mese. È facile capire come con quei moduli l’Istat potesse anche rilevare il 100% di condiviso, molto semplicemente era un dato mistificatorio. Un aspetto gravissimo che denunciavamo alla Commissione Giustizia del Senato nel luglio 2011, dopo oltre 5 anni di vigenza della norma novellata. Molti moduli discriminanti sono stati eliminati, persino dal sito del ministero di Giustizia, ma ad una domanda non ha saputo rispondere nessun interlocutore istituzionale: dovevamo accorgerci noi della stortura? Nessun magistrato si è mai reso conto delle irregolarità che compilava? O forse nessuno ha notato stranezze poiché i moduli in fondo riflettevano la forma mentis dei magistrati che li utilizzavano? Poi, a conferma delle nostre rilevazioni, dopo il 2011 si esprimono un po’ tutti per lamentare una sorta di tradimento della legge 54: lo fa la politica, il mondo forense, persino la pediatria e dal 2015 lo fa anche l’Europa»..
La legge prescrive anche: «qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli». Perché si è sentita l'esigenza di prevedere anche il coinvolgimento di un'altra figura, quella dell'esperto? Non bastano i genitori e il giudice a valutare la natura del bene del minore?
«L’esperto di mediazione è ovviamente il mediatore familiare, tuttavia non esiste un albo riconosciuto dei mediatori, da cui la dicitura generica “esperto”. C’è un proliferare di esperti, per decidere cosa sia opportuno per i figli: hanno voce in capitolo giudici ordinari, minorili e tutelari, e poi assistenti sociali, avvocati, consulenti tecnici, curatori speciali, tutori … tutti, tranne i genitori. Ne sono testimonianza vari protocolli stipulati in diverse città, protocolli tra servizi territoriali, tribunali e ordini professionali. Le famiglie vengono sistematicamente escluse. Quando si parla di problemi familiari conta l’autorevolezza di tutti, tranne che delle famiglie».
Quali sono le modalità conflittuali che l'associazione ha rilevato più frequenti in tali contesti?
«Le false accuse sono il fenomeno emergente, quello in assoluto più rilevante tanto dal punto di vista numerico quanto per la gravità delle conseguenze che comporta. Anche in questo caso siamo stati pionieri nel rilevare la criticità: abbiamo svolto un’indagine conoscitiva presso le operatrici di giustizia, raccogliendo nel 2009/2010 i pareri di 23 sostituti procuratori, avvocati e consulenti in 16 regioni italiane. Tutte le professioniste convergevano su percentuali allarmati di false accuse nel campo specifico delle separazioni, oscillanti fra il 70 ed il 90% a seconda delle Procure. Poi nel 2011 è arrivata la conferma da una fonte ben più autorevole, la rivista ufficiale della Polizia di Stato, che citava testualmente: “una epidemia di denunce (…) la maggior parte delle quali, spesso le più infamanti, si dimostrano false (…), dichiarazioni menzognere sostenute dalla precisa finalità di danneggiare l’ex”. È importante ricordare la capillarità dei dati, in quanto la Polizia di Stato registra denunce provenienti da tutte le Questure ed i Commissariati d’Italia».
Come avete valutato in genere l'intervento dell'autorità pubblica in seno all'ambiente familiare, ferito e coinvolto in dinamiche affettive complesse?
«La nostra non può essere una valutazione positiva. Alle varie associazioni che compongono Adiantum si rivolgono genitori con situazioni critiche: chi vede poco i figli, chi non li vede affatto, chi è vittima di false accuse, condiviso fittizio, conflittualità esasperata, sottrazione internazionale, etc. Le situazioni idilliache esisteranno anche, ma non si rivolgono alle nostre strutture. Ne risulta che il quadro in nostro possesso sia contrario alla teoria di C.A. Jemolo: “la famiglia è un’isola che il mare del Diritto dovrebbe limitarsi a lambire”. Splendida chimera, poi nella realtà accade che il mare del diritto invece di lambire si trasformi in autentico tsunami che devasta l’isola e tutti gli abitanti, adulti e soprattutto minori. Con ciò si mostra come in seno alla spaccatura della famiglia, causata spesso da una superficiale cultura edonistica, individualistica, si verifica un’inevitabile confusione di ruoli che porta ad un disorientamento difficilmente riparabile. A meno che non si ricuperi il vero senso della natura umana come è uscita dalle mani del Creatore. Diventano pertanto un’ancora di salvezza per i figli dei separati queste parole: “Non temere, perché ti ho redento e ti ho chiamato col tuo nome; tu sei mio” (Is 43, 1)».