Ma dove vai, musulmana in bicicletta?
Le dichiarazioni di Abu Shwaima riguardo il divieto per le donne di andare in bicicletta hanno suscitato curiosità e stupore in tutta Italia. L'imam di Segrate ha subito negato di aver parlato di divieti. Però, Abu Shwaima, che è uno dei fondatori dell'Ucoii, appartiene a una corrente dell'islam che vieta alle donne ben altro...
L’11 febbraio scorso Striscia la Notizia ha mandato in onda il servizio “Se Maometto non va in bici…” durante il quale la giornalista ha intervistato anche Ali Abu Shwaima, responsabile del Centro Islamico di Milano e Lombardia/Moschea del Misericordioso a Segrate. Le dichiarazioni di Abu Shwaima riguardo la musulmana e l’uso della bicicletta hanno suscitato curiosità e stupore. “Al musulmano piace proteggere la donna – ha affermato - essendo la donna una cosa sacra, una cosa di valore, il diamante non è che le [sic!] mette così apparentemente”, la donna “va nella Cadillac, nel Mercedes, ma non sulla bicicletta”. Abu Shwaima, su Facebook, ha in seguito negato di avere pronunciato le parole che si sentono chiaramente nel video: “Bugie sul presidente del centro islamico, io non ho detto che le donne non Possono andare in bici io ho detto: Le donne musulmane non hanno Bisogno che qualcuno le insegni andare in bici in quanto la donna musulmana impara da piccola e le donne vanno sia in bici che in Mercedes che in aeroplano.”
Tuttavia non si tratta, come è stato scritto, di un divieto “che arriva dall'Arabia Saudita, dall'Iran, dallo Yemen, dall'Afghanistan e dalle zone rurali del Maghreb”. In Arabia Saudita, in Iran, nello Yemen, in Afghanistan e in zone rurali, questa proibizione è senza dubbio più perentoria - come sa chiunque abbia visto il bellissimo film saudita “La bicicletta verde” oppure il documentario “Afghan cycles” – ma anche il Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca presieduto da Yusuf Qaradawi con sede a Dublino ha sentito l’esigenza di dedicare un responso giuridico alla pericolosa bicicletta. La fatwa 38 recita come segue:
“Andare in bicicletta, guidare un’automobile o ricorrere a un qualsiasi mezzo di trasporto è di per sé lecito. La donna araba durante l’epoca preislamica e dopo l’arrivo dell’islam era solita muoversi sul cammello. Il Profeta Maometto – la pace e le benedizioni su di lui – disse: ‘Le donne che cavalcano meglio il cammello sono le donne della tribù dei Coreisciti; sono le più clementi con i figli e le più attente con le ricchezze dei mariti.’ Tuttavia, una donna deve rispettare le usanze islamiche quando va in bicicletta, essere quindi abbigliata in modo islamicamente corretto ed evitare il contatto fisico con gli uomini. Quando alla possibilità che le adolescenti perdano l’imene: è importante tenere conto di questa possibilità. Se risulta essere un evento raro, allora l’islam ha stabilito che una regola non possa basarsi su un evento raro. Tuttavia, se è probabile che la ragazza perda l’imene se va in bicicletta e nulla può prevenire ciò, allora alla giovane musulmana dovrebbe essere impedito di andare in bicicletta, di modo che la gente non pensi male di lei e non sia accusata di ciò che non ha commesso. Tuttavia se andare in bicicletta è una vera esigenza per la ragazza, per esempio per andare a scuola o per svolgere un lavoro importante, allora la necessità consente ciò che è proibito.”
Una fatwa colma di “ma” che servono ad addolcire il fatto che alla donna, in linea di massima, non s’addice andare in bicicletta. Ebbene, Ali Abu Shwaima appartiene all’ambito ideologico da cui nasce la suddetta fatwa.
Come si legge sul sito del Centro Islamico, Abu Shwaima – nato in Giordania nel 1950 e giunto in Italia diciannove anni dopo - “è nel gruppo promotore della realizzazione di un Ente nel quale i Musulmani delle numerose presenze organizzate sul territorio della Repubblica trovino la loro rappresentanza unitaria dell'Islàm in Italia nei rapporti con lo Stato italiano. Viene così fondata l'Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia (U.C.O.I.I.) di cui Ali Abu Shwaima viene eletto primo Segretario Generale il 9 gennaio 1990 ad Ancona”. Nel 1989 viene fondato “l'Ente di Gestione dei beni immobili islamici in Italia (al-Waqf al-Islami fi Italia), di cui Ali Abu Shwaima è il primo presidente”.
Tuttavia la carriera dell’imam di Segrate non si limita all’Italia e ben presto diventa una figura di spicco dell’islam politico, ideologicamente affiliato alla Fratellanza musulmana, a livello europeo. “Sempre negli anni Novanta partecipa alla costituzione della Federazione delle Islamiche Organizzazioni in Europa (F.I.O.E.) e ne è attualmente membro del Direttivo con la responsabilità della Sezione Culturale” ed “membro fondatore dell'Istituto Europeo di Scienze Umane (I.E.S.H) con sede in Francia, di cui fu Presidente dal 1999 al 2000 e direttore responsabile della rivista islamica in lingua araba AL-URUBIYA (L'Europeo) con diffusione a livello europeo”. Non solo, Abu Shwaima figura ancora oggi nel Board of Trustees di Europe Trust, ovvero il Waqf europeo. Ebbene la FIOE, che è l’espressione europea della Fratellanza Musulmana, è all’origine della creazione sia dello IESH, nel 1992, sia di Europe Trust nel 1994 e del European Council for Fatwa and Research, nel 1997.
D’altronde l’approccio di Abu Shwaima alla donna è del tutto simile a quello del Consiglio dublinese. Il 2 gennaio il profilo Facebook della moschea Al Rahman da lui diretta pubblica le immagini di un gruppo di ragazzine, apparentemente tra i nove e dieci anni, velate di tutto punto con il Corano in mano. Sarebbe lecito domandarsi se le ragazzine, a prescindere dalla loro voglia di imparare il testo sacro, abbiano scelto liberamente di indossare il velo. La fatwa 6 del Consiglio Europeo per la Fatwa e la ricerca, che al pari della FIOE è segnalato come partner dell’UCOII, sentenzia chiaramente:
“Dobbiamo convincere la sorella che coprirsi il capo è un obbligo religioso decretato da Allah – Egli è l’Altissimo – e dal Suo Inviato Maometto – la pace e la benedizione su di Lui – sul quale regna il consenso di tutta la umma.”
La posizione di Abu Shwaima potrebbe corrispondere a questa fatwa, ma potrebbe essere anche più severa vista la sua vicinanza a Omar Abdelkafy – con il quale è ritratto in fotografia nel 2014 unitamente a Abulkheir Breigheche, ex vice-presidente UCOII e responsabile della Comunità islamica del Trentino – che, come è risaputo, ritiene che le donne che in vita non hanno indossato il velo saranno appese per i capelli nell’aldilà.
I responsi giuridici del Consiglio Europeo auspicano che la donna non si tagli i capelli senza l’autorizzazione del marito (Fatwa 21), che “un uomo possa vietare alla moglie di visitare una donna specifica, che sia musulmana o no, qualora si renda conto che questo possa avere un effetto negativo sulla moglie, sui bambini o la vita coniugale in generale” poiché “un uomo è responsabile in ultima istanza per il benessere e la protezione della famiglia, anche si tratta solo di un sospetto.”
La posizione di Abu Shwaima sulla bicicletta è quindi solo la punta dell’iceberg di una visione conservatrice della donna musulmana che affonda le radici nell’interpretazione cara alla Fratellanza musulmana e al Consiglio Europeo cui fa riferimento anche tutta la galassia UCOII e anche Sumaya Abdel Qader, la responsabile del Progetto Aisha e della sezione Giovani e Studenti della FIOE. E’ probabile altresì che la Abdel Qader - attivista, madre, moglie - non condivida la visione della donna di Abu Shwaima. E chissà se avrà il coraggio di iniziare le attività del progetto sulla violenza sulle donne proprio da Segrate e da altre associazioni legate ideologicamente all’UCOII per fugare ogni dubbio su doppio linguaggio e doppie strategie delle organizzazioni cui appartiene o è appartenuta.