IL CASO
Ma davvero gli Ebrei ritornano alla poligamia?
Nelle sinagoghe israeliane starebbe circolando una curiosa propaganda per la poligamia. Ma per ragioni storiche e culturali è molto improbabile.
Cultura
13_08_2011
Se lo chiese già Napoleone (1769-1821), il quale nel garantire i diritti della minoranza ebraica in Francia si preoccupò di non autorizzare con tali garanzie la pratica della poligamia. Il Concistoro degli ebrei francesi, rispondendo a precise domande di Napoleone, s'impegnò a uniformare gli usi e costumi degli ebrei alla legge francese, dichiarando in particolare che gli ebrei in genere non praticano la poligamia. Era un’affermazione politicamente necessaria, ma non del tutto esatta se riferita alle comunità orientali di origine sefardita dove la poligamia all’epoca continuava a esistere, benché fosse vietata in Europa da un famoso responso del rabbino Gershom (960-1040), sulla cui portata si discute e che comunque è da molti considerato applicabile ai soli ashkenaziti. Le comunità sefardita, in particolare quella dello Yemen, hanno continuato a praticare la poligamia fino ai giorni nostri.
Qualche anno fa destò un certo scalpore una relazione dell'antropologo israeliano S. Zev Kalifon al convegno annuale del 2001 della American Anthropological Association, secondo cui in Israele esiste ancora oggi nella comunità sefardita una pratica clandestina della poligamia, per di più anche con un numero di mogli superiore alle due previste da un tradizionale consiglio dei rabbini sefarditi. C'è poi il caso della Original Hebrew Israelite Nation, uno dei vari gruppi "black Jews" che, contrapponendosi ai "musulmani neri" statunitensi, sostengono che gli afro-americani sono di lontana origine etnica ebraica e devono convertirsi all'ebraismo.
Il gruppo nasce a Chicago nel 1966 quando l’Arcangelo Gabriele sarebbe apparso in sogno a un operaio che lavora nelle fonderie, Ben Ami Carter, e gli avrebbe rivelato che gli afro-americani sono in effetti discendenti delle tribù perdute di Israele. Carter raduna una trentina di seguaci e li porta con sé nel 1967 in Liberia. L’esperimento liberiano non è felice, e Carter dichiara che si tratta in ogni caso di un "periodo di purificazione" temporaneo e preparatorio all’ingresso in Israele. Nel 1969 il piccolo gruppo si trasferisce in Israele, dove i membri ottengono un permesso di residenza turistico e sono avviati dalle autorità nella cittadina desertica di Dimona, nel Sud del paese. Sono raggiunti da numerosi aderenti del movimento, che nel frattempo prospera a Chicago, ma nel 1974 il rabbinato israeliano dichiara che non si tratta di autentici ebrei; come conseguenza, i coloni di Dimona non hanno diritto alla cittadinanza israeliana in base alla Legge del Ritorno. Tuttavia sopravvivono e continuano a crescere con vari espedienti (non tutti legali).
Nel 1980 il rapporto di una commissione istituita dal Ministero degli Interni e guidata dal parlamentare David Glass conferma che non sono ebrei e ne segnala aspetti problematici, ma raccomanda di inserirli comunque nella società israeliana per ragioni umanitarie. In seguito, i Black Hebrews di Dimona si rendono popolari in Israele come musicisti: nel 1999 sono due cantanti della comunità a rappresentare Israele al festival annuale dell’Eurovisione, e nel 2002 il gruppo di Carter ha anche il suo primo martire, un cantante ucciso in un attacco palestinese durante uno spettacolo per le Forze Armate nella cittadina israeliana di Hadera. D’altra parte, proprio la pratica della poligamia (fino a sette mogli) e l’insistenza su una dieta strettamente vegetariana confermano agli occhi di molti israeliani che si tratta di "ebrei" un po’ particolari. Il sostegno di figure pubbliche negli Stati Uniti – dal predicatore e uomo politico Jesse Jackson alla cantante Whitney Houston, entrambi peraltro cristiani – ottiene risultati presso il governo israeliano, che nel 1990 concede ai membri della comunità un permesso di residenza provvisorio rinnovabile e una scuola propria (finanziata anche con aiuti statunitensi).
Al termine di un lungo processo, nel 2003 il governo israeliano trasforma il loro status (a fronte dell’impegno di conformarsi alla legge israeliana, anche in materia di poligamia) in quello di "residenti permanenti", con la possibilità di diventare cittadini dopo un certo periodo di tempo. I 2.500 membri israeliani vivono, oltre che a Dimona, negli altri villaggi del Sud di Arad e Mitzpeh Ramon; circa tremila membri rimangono a Chicago. La pratica della poligamia non sembra però scomparsa. Per numerosi motivi, l'argomento è di rado trattato in pubblico, ma nelle fila del partito sefardita Shas non sono mai mancate voci favorevoli a un limitato riconoscimento legale della poligamia in Israele. Che il responso di Gershom non vincoli gli ebrei orientali sefarditi è generalmente ammesso dagli studiosi.
Ma dal punto di vista sociale e culturale che una poligamia praticata da ebrei possa essere accettata nella cultura israeliana contemporanea è molto improbabile. L'intera questione ricorda ai cristiani che il matrimonio monogamico e indissolubile non è un portato culturale di questo o quel popolo o periodo storico - come vorrebbe il relativismo dominante - ma un'esigenza della legge naturale, che la ragione umana può di per sé riconoscere ma che il cristianesimo rafforza e diffonde elevando il matrimonio a sacramento. Come insegnava il beato Giovanni Paolo II (1920-2005) l'insegnamento di Gesù Cristo sul matrimonio non costituiva un'innovazione, ma una restaurazione del piano originario di Dio, presente "fin dal principio" ma perduto nelle mutevoli vicissitudini della storia.