Ma come si fa a chiamare dono la vita violata?
Carissimo direttore, domenica, tra le due messe del mattino e quella della sera, mi arriva l’invito del tuo collaboratore a commentare l’articolo sulla Repubblica, nel quale Michela Marzano promuove da pari suo la procreazione eterologa, richiamando non solo l’altruismo, ma i concetti del dono e della compassione di cristiana memoria.
Carissimo direttore, domenica, tra le due messe del mattino e quella della sera, mi arriva l’invito del tuo collaboratore a commentare l’articolo sulla Repubblica, nel quale Michela Marzano promuove da pari suo la procreazione eterologa, richiamando non solo l’altruismo, ma i concetti del dono e della compassione di cristiana memoria. Non ho particolari competenze in campo morale, né conoscenze specifiche sull’argomento. Subito mi è venuto alla memoria un recente incontro svolto in un ambito parrocchiale, nel quale una dottoressa sedicente di formazione cristiana presentava le tecniche della procreazione omologa ed eterologa come si trattasse del soccorso stradale agli incidentati: nel caso sarebbero i genitori sterili, “bisognosi”di un figlio e quindi propensi a farselo fabbricare, possibilmente su misura. Che cosa c’è di meglio se non un’esortazione alla “cristiana” solidarietà in loro favore, attraverso la generosità dei “donatori”che purtroppo latitano? Ci pensa appunto l’articolo di Repubblica.
Resto allibito, stralunato, tramortito. Non trovo argomenti di rèplica, perché me ne si affollano troppi alla mente e al cuore. Qui non si tratta di donare qualcosa di sé, il sangue, un arto o un rene. Chi propone e favorisce la procreazione eterologa e “il dono” dei gameti o degli ovociti, non si rende conto di mettere in gioco il principio stesso della vita, il punto che genera un’altra persona, la stella sorgiva del mattino dell’uomo. Viene sovvertita l’intera dinamica del rapporto tra persone umane fin dal loro sorgere, viene abolita l’identità paterna e materna, viene evacuata l’origine identitaria dell’essere umano. Credo che l’insufficienza numerica dei donatori o addirittura la loro assenza, sia determinata da un più o meno consapevole sussulto di coscienza, che arretra di fronte allo sconvolgimento umano provocato da queste cosiddette tecniche procreative. Al fondo della propria anima ogni uomo scopre un mistero invalicabile, che è cosciente di non poter possedere o manipolare.
Non ha senso parlare di “compassione” verso chi non riesce ad aver figli, se i figli dovrebbero poi nascere da una serie sconvolgente di manipolazioni del corpo dell’uomo e della donna, senza contare l’innumerevole serie di equivoci, inganni e ricatti che – da Oriente a Occidente, dalle cliniche private a quelle pubbliche, dalle banche di soldi a quelle del seme - stanno in agguato, voluti e non voluti.
La fabbrica degli uomini di sapore orwelliano dev’essere chiusa e smantellata, e il soccorso alle coppie che non possono aver figli dev’essere ricercato in altra direzione. Anzi, non di soccorso al vuoto di maternità e paternità si deve parlare. Il compimento del proprio bisogno umano non viene dal diventare possessori di una vita altrui – tanto meno appositamente programmata - ma dal dono di sé a chi esiste e ha bisogno di ricevere amore e “compassione”, come condivisione del destino della vita. Riprendiamo pure le parole più sacre, ma usiamole non per innalzare il castello degli orrori, ma per costruire la casa dell’uomo, per ogni bambino già nato o che dovrà nascere. Con tanta cordialità, scusandomi per la fretta e per l’approssimazione dei miei concetti e informazioni sulla specifica materia…