L'ultima dell'Onu: accusa la Svezia di razzismo
L’Onu è da poco andata in Svezia, ha redatto un rapporto e bacchettato (per razzismo) il Paese dell’accoglienza. Il rapporto della polizia svedese di quest'anno, al contrario, fotografa una realtà in cui lo Stato sta perdendo il controllo di intere aree, finite nelle mani di criminali e radicali islamici.
EDUCAZIONE SESSUALE PER IMMIGRATI di R. Cammilleri
L’Onu è da poco andata in Svezia, ha redatto un rapporto e bacchettato il Paese simbolo per eccellenza dell’accoglienza e della generosità statale nei confronti degli immigrati. Per le Nazioni Unite gli svedesi sarebbero, infatti, colpevoli di eccessivo razzismo e discriminazione ai danni dei nuovi arrivati a cui il Paese ha aperto le porte ormai oltre quindici anni fa. Musulmani e rumeni sarebbero le vittime per eccellenza in una spirale di crimini d’odio razzisti che si è imposta in Svezia.
Il rapporto disegna scenari da incubo per le donne musulmane ora residenti in Svezia e per gli islamici in generale, ormai non più al sicuro nemmeno nelle moschee, perché vittime di una visione della realtà troppo “stereotipata”. L’Onu, allora, ha invitato i giornalisti che usano scrivere di immigrazione, ad essere meno duri, per evitare di risultare, poi, colpevoli di anche “reati d’odio online”. Il rapporto a firma Onu chiede, inoltre, che gli immigrati non siano più discriminati in termini di occupazione. Le Nazioni Unite hanno infatti criticato il Paese per la bassa assunzione di rumeni e per il fatto che i campi rom non sono in buone condizioni. Il che “non è accettabile”, dicono. Alla Svezia, quindi, è stato concesso un anno di tempo dalla pubblicazione del rapporto per cambiare radicalmente il clima nazionale.
Eppure solo lo scorso anno la polizia svedese rendeva pubblico un altro rapporto destinato a denunciare l’esistenza di ben sessantuno ‘no-go-zone’. Aree senza legge abitate da “immigrati non occidentali, principalmente musulmani” – si legge – e nelle quali sono stati individuati ben 5000 criminali. Ventitré, in particolare, delle sessantuno risultano più pericolose: sono i bambini, di soli 10 anni, ad essere coinvolti in gravi crimini. Un nuovo rapporto pubblicato, invece, proprio in questi giorni dal Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità (BRÅ) – che fa capo al Ministero della Giustizia - e riguardante i primi mesi del 2018, ha mostrato il pericolo di queste aree in cui è ormai vietato rivolgersi alla polizia e muoversi liberamente: i residenti temono ripercussioni dei criminali locali, e non solo contro loro stessi, ma anche contro le proprie famiglie. Secondo il BRÅ, oltre ad un vero e proprio “sistema giuridico parallelo”, è “l’omertà” ad essere “norma consolidata” per chi abita quelle zone off limits. Una vera e propria mafia islamica. Il rapporto, d’altronde, rivela che è a questi ‘criminali’ che ormai i residenti si rivolgono, invece che alle autorità, quando hanno bisogno di qualcosa. Per quanto riguarda, poi, ogni tipo di questione riguardo divorzi, custodia dei minori e problemi familiari, è direttamente la moschea locale ad occuparsene.
Di recente, un tribunale svedese si è pronunciato secondo principi allineati alla legge della sharia, quando la corte - che aveva come imputati due musulmani - ha giudicato come “comune” che una donna, violentemente abusata da suo marito, mentisse sugli abusi. E la giuria le ha anche rimproverato di aver coinvolto la polizia, invece di risolvere il problema consultando la famiglia del marito. Sempre recentemente la stampa ha raccontato la storia di una dodicenne musulmana, residente in Svezia, portata con la forza in Iraq e costretta a sposare suo cugino di 22 anni, che, secondo quanto riferito l’avrebbe anche precedentemente violentata. Dopo essere tornata in Svezia, ha dato alla luce due gemelli, ma la famiglia ha deciso che la soluzione migliore fosse, a quel punto, il divorzio e che i bambini crescessero con il padre in Iraq.
Dal 2005, quando è stato pubblicato il primo dei sopracitati rapporti del BRÅ, ci si è sempre rifiutati di rilasciare l’identità etnica dei ‘criminali’. Solo recentemente si inizia a fare loro riferimento definendoli ‘immigrati’ e, per di più ‘islamici’.
A febbraio, Peter Springare, ufficiale della polizia svedese, affermava che gli “stupri di gruppo sono un nuovo fenomeno culturale in Svezia, una conseguenza degli ultimi 10-15 anni di politica di immigrazione”. Ma per queste considerazioni Springare è stato segnalato alla polizia e sottoposto ad un’indagine interna. “Troppo razzismo in quelle parole”, è stato il commento di Anne Ramberg, segretario generale della Swedish Law Society. Del resto se è considerato “discutibile” in Occidente parlare delle conseguenze reali della immigrazione, in Svezia è da un pezzo considerato un vero e proprio crimine.
Intanto al governo svedese stupri e violenza non sembrano preoccupare troppo. Infatti, ai 9.000 minori non accompagnati e principalmente di sesso maschile - circa 7000 dei quali, secondo quanto riferito, risultano avere più di 18 anni e quindi niente affatto minori -, che hanno visto le domande di asilo respinte, è stato proposto il permesso di soggiorno temporaneo in Svezia, a patto che vadano a scuola. Sia la polizia che i tribunali migranti svedesi hanno fortemente criticato il governo, soprattutto perché la proposta è in netto contrasto con la legge svedese che richiede la possibilità d'identificare chi intende fermarsi nel Paese. E se questo requisito sarà sostituito con un fantomatico desiderio di istruzione, le autorità non sapranno mai più chi vive nel Paese.
Sempre nelle ultime settimane la moschea della città di Bishop Modeus ha chiesto il permesso di trasmettere le sue chiamate alla preghiera in filodiffusione per le strade cittadine, per tre minuti, due volte al giorno, il venerdì. Del resto ci sono già due moschee in Svezia che lo fanno, una a Botkyrka - dove il permesso è stato concesso nel 2013 -, e una a Karlskrona. Il leader musulmano locale, imam Ismail Abu Helal, ha giustificato la pretesa dichiarando che l'invito alla preghiera consentirebbe ai musulmani d'integrarsi meglio nella società svedese. Il tipo di 'integrazione' che piace ai musulmani svedesi prevede, inoltre, l’invito a non partecipare alle feste religiose dei ‘miscredenti’ – i cristiani; parlare di ebrei come dei “nemici di Allah” e incoraggiare le donne a non vestirsi all’“occidentale”, ma a “vestirsi decentemente fin dall'infanzia”.
Ora resta solo da capire chi tra l’Onu o il BRÅ abbia prodotto il rapporto più fedele alla realtà. E comunque non è tutto. La Svezia, il paese europeo preso da tutti a modello per la sua generosa politica d'integrazione nei confronti dei richiedenti asilo, sta lanciando il suo disperato grido d’allarme anche in termini economici. Quel welfare sostenibile tanto celebrato e famoso per i generosissimi benefit ai nuovi arrivati, sta infatti oggi presentando il suo salatissimo conto. Quelli di Bloomberg segnalano che il Paese spera di aumentare la propria forza lavoro con, almeno, 207.000 persone. Eppure occorrerebbe un numero di gran lunga superiore per non mandare in bancarotta il suo “favoloso stato sociale”. Il deficit di lavoratori potrebbe aggravare i servizi e aumentare, di tanto, i costi del lavoro. E le tasse.
L'invecchiamento della popolazione e la crescente integrazione degli stranieri stanno accumulando pressione sul suo stato sociale. Gli stranieri residenti, infatti, non hanno alcuna voglia di lavorare, anche perché, nel frattempo, è lo Stato che provvede.