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POPULISMO

Lula getta la maschera e promuove l'aborto in Brasile

Oltre a reprimere l'opposizione e cercare di rendere ineleggibile Bolsonaro, il nuovo presidente Lula ha ritirato il Brasile dal Consenso di Ginevra, a suo tempo promosso da Trump contro l'aborto. Ed ha aderito, invece, ad altre convenzioni che promuovono i "diritti sessuali e riproduttivi" fra cui l'aborto. Insomma una giravolta contro la vita.

Vita e bioetica 21_01_2023
Lula

Lula, attraverso i suoi Ministri, inizia ad imporre l’abolizione delle opposizioni e a pagare le ‘cambiali’ contratte in campagna elettorale con le multinazionali abortiste. A nemmeno un mese dalla entrata in carica, il Presidente del Brasile Lula da un lato prosegue con imputazioni, carcerazioni, blocco dei beni dei sospetti finanziatori di Bolsonaro e delle manifestazioni (l’arresto dell’ex Ministro della Giustizia Anderson Torres è di sabato 14 gennaio), dall’altro spinge per marcare la differenza anche sul tema della tutela della famiglia naturale e della vita del concepito con il suo predecessore.

Sul primo fronte, Lula vuole bandire Bolsonaro dalla vita politica del paese, lo abbiamo scritto nelle scorse settimane su LaBussola e, proprio in questi giorni il partito di Lula sta forzando i tempi del procedimento in corso alla Corte Suprema Federale del Tribunale elettorale presieduta da  Alexandre de Moraes per dichiarare ineleggibile Jair Bolsonaro per i prossimi 8 anni.  Incurante delle reazioni interne, nei giorni corsi il Governatore dello Stato di Minar Gerais Romeu Zema (il secondo per estensione) ha  accusato Lula di aver favorito i disordini di Brasilia per poter imbavagliare le opposizioni, mercoledì 18 gennaio è trapelata la volontà del Governo di creare un "codice penale" parallelo per inasprire e accelerare le pene contro coloro che presumibilmente commettono crimini contro lo stato di diritto democratico, anche attraverso la istituzione di una nuova forza di sicurezza pubblica per ‘proteggere’ la popolazione. Insomma, Lula e i suoi sostenitori internazionali, non hanno tempo da perdere: cancellare Bolsonaro e l’opposizione ed imporre una nuovo regime, dove aborto e famiglie multicolori abbiano piena cittadinanza.

Martedì 17 gennaio, il governo Lula ha ritirato il Brasile dalla dichiarazione internazionale contro l'aborto conosciuta come dichiarazione del ‘Consenso di Ginevra’, promossa dalla Amministrazione Trump ed in particolare dall’allora Segretario di Stato Mike Pompeo, che impegna i paesi aderenti a promuovere i diritti del concepito, la difesa della vita e della famiglia naturale, contrastando ideologia LGBTI ed aborto, nei consessi internazionali. L'accordo era stato sottoscritto nell'ottobre 2020, dal governo dell'ex presidente Jair Bolsonaro. Allora pder il governo Bolsonaro la firma dell’accordo aveva il significato di difendere la centralità della famiglia come unità fondamentale della società e rifiutare categoricamente l'aborto come metodo di pianificazione familiare, così come qualsiasi iniziativa a favore di un diritto internazionale all'aborto, o che insinui questo diritto, anche se surrettiziamente.

L'attuale governo del Partito dei Lavoratori (PT) ha dato chiari segnali, in meno di tre settimane, che vanno nella direzione diversa e sono chiaramente un tentativo di legalizzare e ampliare l'aborto nel Paese. Per giustificare il ritiro del Brasile dall'accordo pro-vita, i ministeri dei Diritti umani e della cittadinanza (MDHC), delle Donne, della Salute e degli Affari esteri hanno pubblicato una nota congiunta ufficiale in cui si dice, tra l’altro, che : “...Il governo brasiliano ha deciso di dissociarsi dalla Dichiarazione di consenso di Ginevra sulla salute delle donne e il rafforzamento della famiglia. Il Brasile ritiene che questo documento contenga una comprensione limitante dei diritti sessuali e riproduttivi e del concetto di famiglia... Il Governo ribadisce il suo fermo impegno a promuovere l'effettiva e completa garanzia della salute delle donne, in linea con la legislazione nazionale e le politiche sanitarie vigenti in materia, nonché il pieno rispetto delle diverse configurazioni familiari”. Inoltre, prosegue il comunicato, il Brasile dichiara di aderire in particolare “all’Impegno di Santiago (‘Uno strumento regionale per rispondere alla crisi COVID-19 con l'uguaglianza di genere’), adottato il 31 gennaio scorso, in occasione della XIV Conferenza regionale sullo status delle donne in America Latina e nei Caraibi (CRM/CEPAL), nonché la Dichiarazione di Panama (‘Costruire ponti per un nuovo patto sociale ed economico gestito dalle donne’), approvata dalla 39ª Assemblea dei delegati della Commissione interamericana delle donne (CIM/OAS), tenutasi il 25 e 26 maggio 2022”.

Entrambi gli strumenti prevedono chiaramente la promozione (anche sul piano educativo) dei diritti sessuali e riproduttivi, incluso l’aborto, e l’educazione al gender. Scontati gli applausi delle organizzazioni femministe. Non saranno certamente felici gli elettori evangelici che ormai superano i cattolici e che, secondo uno studio di ISPI del 17 gennaio, rimarrebbero convinti dei brogli elettorali che hanno portato alla vittoria di Lula e della necessità di un intervento delle forze armate per riportare legalità e rispetto della democrazia nel Paese. Il ritiro del Brasile dalla dichiarazione di ‘Consenso di Ginevra’, già grave di per sé, non è però l’unico segnale di ammiccamento che Lula ha inviato agli abortisti in questi giorni.

Lo scorso venerdì 13 il Ministro della Salute Nísia Trindade ha abrogato l'ordinanza del Governo Bolsonaro che stabiliva che i servizi sanitari comunicassero alle autorità di polizia i casi di aborto derivanti da stupro e conservassero materiali che potessero aiutare nell'identificazione dell'aggressore. Ora sarà più difficile che i reati di stupro possano essere indagati e puniti e, contemporaneamente, sarà più facile praticare l'aborto in casi non consentiti dalla legge, con false accuse di stupro. Il "Lula pro-vita" è sempre stata una trovata pubblicitaria, utilizzata per cercare di accattivarsi le simpatie incaute dell’episcopato cattolico, un’episcopato che in larga parte anche negli USA votò due anni orsono per l’abortista Biden.