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BIELORUSSIA

Lukashenko di nuovo presidente, ma stavolta le piazze insorgono

In Bielorussia, il presidente Lukashenko proclama la sua sesta rielezione di fila dal 1994. La regolarità del voto è universalmente contestata e lo scontro con le opposizioni stavolta è molto duro. La leader democratica, Svetlana Tikhanovskaya, è in esilio in Lituania

Esteri 12_08_2020
Minsk, carica della polizia

In Bielorussia, il presidente in carica Aleksandr Lukashenko si appresta a diventare leader eterno del Paese, dopo essere stato eletto per la sesta volta consecutiva dal 1994. Ma la regolarità delle elezioni in Bielorussia, dove non è ammessa alcuna verifica imparziale, è ora fortemente contestata anche in patria e non solo dagli organismi internazionali.

Aleksandr Lukashenko, ex commissario politico nell'esercito sovietico e poi direttore di una cooperativa agricola, si fece eleggere per la prima volta nel 1994 sull’onda della nostalgia dell’Urss. Contrariamente ai vicini Paesi baltici e alla Russia, le riforme economiche non decollarono mai, la maggioranza elesse il candidato che esplicitamente si richiamava al comunismo sovietico. Non solo nella simbologia e nei nomi (i servizi segreti nazionali si chiamano ancora Kgb, piazze, vie e monumenti sono ancora quelli dell’Urss), ma anche nel sistema economico, interamente controllato dallo Stato. Solo recentemente, dal 2016, sono state introdotte riforme economiche importanti, con maggior libertà di impresa, meno tasse, più apertura del mercato. Ma tuttora lo Stato controlla il 70% della produzione nazionale, un po’ meno che ai tempi dell’Unione Sovietica. Da un punto di vista internazionale, la Bielorussia è sempre stata la “migliore alleata della Russia”, come ha ribadito Lukashenko anche il mese scorso. Ma non si è mai unificata alla Federazione, un progetto di cui si parla fin dalla fine degli anni ’90.

Le elezioni e rielezioni di Lukashenko, dopo il 1994, non sono mai state realmente competitive. In questo caso, tuttavia, il presidente deve aver sentito tremare un po’ la terra sotto i piedi. Alcuni sondaggi non ufficiali lo davano anche perdente. E così le misure repressive e preventive sono state straordinarie. Il popolare blogger di opposizione Sergej Tikhanovskij è stato arrestato poco dopo che si era candidato per correre contro Lukashenko. Il Comitato elettorale ha escluso Valerij Tsepkalo e Viktor Babariko, altri due leader dell’opposizione democratica. Una volta che i ranghi degli oppositori sono stati decimati, Lukashenko si è presentato come il salvatore della patria… contro i russi. Stranamente, il “miglior alleato della Russia” ha accusato Putin di aver infiltrato mercenari della Wagner (gli stessi che combattono in Siria e Libia) nel suo Paese, per alimentare sommosse. E così ha chiesto il voto dei patrioti e dei democratici anti-russi per salvare la patria da una possibile invasione. Mosca ha negato e commentato con imbarazzo questa improvvisata svolta geopolitica.

L’opposizione si è riorganizzata attorno alle mogli e collaboratrici dei candidati incarcerati ed esclusi: Svetlana Tikhanovskaja, moglie di Sergej Tikhanovskij è diventata la candidata presidenziale unica delle opposizioni democratiche, supportata da Maria Kolesnikova, portavoce di Viktor Babariko e dalla moglie di Tsepkalo, Veronika. Dopo un inizio di campagna elettorale poco promettente, dove è apparsa come una donna debole e poco carismatica, la Tikhanovskaja ha iniziato ad assumere, anche suo malgrado, il ruolo di moglie-coraggio e in breve è diventata il volto dell’opposizione. Alla vigilia del voto, a mo’ di intimidazione, anche la responsabile della sua campagna elettorale, Maria Moroz, è stata arrestata.

Il voto in Bielorussia è sempre un processo misterioso, i dati non sono verificabili. Ue e Usa sono ancora una volta unanimi nel definire questa tornata elettorale "né corretta, né libera" e contestano apertamente il risultato. Ma mai come in queste ultime presidenziali si registra una distanza così grande fra i dati ufficiali e quelli diffusi dall’opposizione. Secondo i dati del governo l’80% avrebbe votato per Lukashenko, mentre solo il 10% per la Tikhanovskaja. Secondo i dati non ufficiali diffusi dall’opposizioni, il risultati sono invece l’esatto contrario: il 70% avrebbe votato per la candidata democratica.

Dopo la chiusura delle urne e la diffusione dei risultati ufficiali, le opposizioni sono scese in piazza a Minsk. Le autorità inizialmente hanno negato l’esistenza di disordini, ma le immagini della sommossa e della repressione sono circolate subito anche all’estero, tramite fonti indipendenti. Secondo un primo bilancio vi sarebbe un morto (fra i manifestanti) e 90 feriti, metà dei quali poliziotti. Le autorità avrebbero mobilitato anche le truppe speciali, gli Spetsnatz, al deteriorarsi della situazione. Questo rende l’idea della durezza dello scontro in atto. Internet, in ogni caso, è stata oscurata e i giornalisti stranieri non sono ammessi, dunque capire qualcosa di più di quel che sta avvenendo è finora impossibile.

Di certo si sa che la Tikhanovskaja si è auto-esiliata in Lituania. O meglio: ha dovuto auto-esiliarsi, probabilmente in cambio della sua stessa incolumità. Il suo messaggio video suona come una resa e un invito a gettare le armi. Candidamente ammette di non essere adatta al suo ruolo, di aver creduto di essere diventata forte, ma di essersi scoperta una fragile donna e madre di famiglia. Difficile pensare, tuttavia, che un’opposizione così agguerrita e già in piazza sulle barricate sia disposta a tornare a casa dopo il primo appello alla calma.