L'Ue rafforza i debiti, ma non le capacità militari
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Il Rearm Europe non è un piano militare, ma finanziario che indebiterà ulteriormente gli stati membri e diminuirà la sovranità delle nazioni. E a Kiev andrebbe soltanto il 20% del piano che sarà comunque insufficiente. Il tutto per paura di un'aggressione russa che non è nemmeno nei rapporti di intelligence.

Volodymyr Zelensky non porgerà le scuse al presidente degli Stati Uniti Donald Trump dopo la rissa del 28 febbraio alla Casa Bianca, perché ha avuto «assolutamente ragione nella forma e nel contenuto» durante il colloquio. Lo ha dichiarato ieri il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak. «Non si può fare nulla senza mettere sotto pressione la Russia. È impossibile ottenere risultati positivi aspettandosi che Mosca faccia deliberatamente delle concessioni... Ecco perché non ci scuseremo per un errore che non è mai esistito», ha detto Podolyak, riaprendo le tensioni con Washington dopo che Zelensky aveva espresso “rammarico” per il pessimo esito del vertice alla Casa Bianca. Le dichiarazioni di Podolyak lasciano intendere che Kiev stia puntando sull’Europa per ottenere forniture militari e garanzie di sicurezza dopo lo stop degli USA alle consegne di armi, munizioni, informazioni d’intelligence e supporto satellitare.
L'Ucraina ha chiesto chiarimenti al Pentagono circa lo stop agli aiuti militari e l’inviato statunitense per l'Ucraina, Keith Kellogg, parlando al Council on Foreign Relations di Washington ha difeso la decisione di Trump di sospendere gli aiuti e la condivisione di intelligence con Kiev, sottolineando che si tratta di «una pausa, non di uno stop definitivo. Il motivo per cui Zelensky è venuto alla Casa Bianca era per firmare un documento che stabilisse il percorso da seguire. Ma quel documento non è stato firmato», ha detto Kellogg. «La mia opinione personale è che non si procede finché non c'è un documento firmato. C'è una differenza tra dire che vuoi farlo e farlo davvero. Firma il documento».
Secondo l'inviato, solo dopo la firma si potrà parlare di ripresa degli aiuti e della cooperazione militare. «Abbiamo visto troppi falsi inizi. La vera questione è: quanto siete seri nel voler avviare discussioni di pace?».
Gli aiuti militari statunitensi (la cui assenza contribuirebbe a fiaccare il morale già basso delle truppe ucraine secondo un reportage del giornale britannico Telegraph) dipendono quindi dall’accordo che pone in mano agli USA risorse minerarie e infrastrutture ucraine. Risorse che secondo alcune fonti Kiev avrebbe già assegnato alla Gran Bretagna in base ad un accordo segreto siglato durante la recente visita di Starmer a Kiev. Ipotesi che spiegherebbe l’attivismo di Londra nel fornire per quanto possibile garanzie all’Ucraina.
Se gli USA appaiono infastiditi dalla posizione dell’Ucraina e puntano a gestire la trattativa di pace con la Russia, con un asse Mosca-Washington che sembra prendere forma di giorno in giorno, la fiducia riposta dal governo di Kiev negli europei sembra confermata anche dall’approvazione del piano “Rearm Europe” proposto nei giorni scorsi da Ursula von der Leyen, che prevede una dotazione di 800 miliardi di euro per rafforzare la spesa militare nei prossimi anni.
Il piano prevede cinque punti per il riarmo dell'Europa e il sostegno militare all’Ucraina ed era già stato anticipato alla Conferenza della Sicurezza di Monaco.
Al primo punto prevede l'attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità per permettere agli Stati membri di poter spendere per la difesa anche sforando il 3% del deficit. «Se gli Stati membri aumentassero la loro spesa per la difesa dell'1,5% del Pil in media, ciò potrebbe creare uno spazio fiscale di circa 650 miliardi di euro in un periodo di quattro anni», ha spiegato von der Leyen.
Il secondo punto è un nuovo strumento per fornire 150 miliardi di euro di prestiti agli Stati membri attivabili nei prossimi 5 anni per investimenti nella difesa da destinare per un quinto al rafforzamento dell’Ucraina.
Secondo Politico «non si tratta di denaro già presente nei bilanci, ma implicherebbe che la Commissione utilizzi il suo peso finanziario per prendere in prestito denaro che poi presterà ai singoli governi e che alla fine dovranno restituire». Inoltre il giornale statunitense rileva che 150 miliardi in 5 anni tra tutti i 27 paesi della UE sono in fondo poca cosa: tuttavia va considerato che probabilmente non tutti i partner europei accederanno al prestito e che tali fondi andrebbero aggiunti agli stanziamenti già presenti dalle singole nazioni per la Difesa.
Nel complesso quindi tra prestiti (150 miliardi) e spese militari non più computate nel rapporto deficit/PIL si raggiungerebbero gli 800 miliardi in 4/5 anni.
Il terzo punto prevede la flessibilità nel bilancio europeo per permettere agli Stati che lo vorranno usare programmi di politica di coesione per aumentare la spesa della difesa. Gli ultimi due punti mirano a mobilitare il capitale privato accelerando l'Unione del risparmio e degli investimenti e attraverso la Banca europea per gli investimenti.
La possibilità dei singoli stati di spendere a debito per gli armamenti, escludendo tali stanziamenti dal calcolo del rapporto deficit/PIL, ha sollevato diverse critiche perché tale elasticità non è stata mai approvata dalla Ue per spese di welfare, sanità e scuola. Un aspetto che, in un’Europa sempre più travolta da crisi economica, energetica e sociale, non porterà molti consensi all’Unione.
Inoltre, si tratta di un piano finanziario non militare: ciò significa che indebitare ulteriormente gli stati membri diminuirà la sovranità delle nazioni e potenzierà la Commissione ma in termini militari non rappresenterà un potenziamento delle capacità anche se favorirà il riequipaggiamento di Kiev a cui dovrebbe essere dedicato il 20 per cento degli stanziamenti del piano.
Occorrerebbe aumentare gli organici delle forze europee (di almeno 300 mila uomini secondo alcuni studi), ma in tutto l’Occidente si assiste da anni alla fuga dall’uniforme e vengono regolarmente mancati gli obiettivi di reclutamento previsti dalle forze armate.
Da un lato è quindi evidente il rischio di acquisire mezzi e armi senza avere il personale per impiegarli, dall’altro esiste l’incognita di finanziare a debito non tanto commesse all’industria europea, già al limite dello sforzo produttivo, ma a quella statunitense, ben determinata a occupare il mercato europeo della Difesa in cui le importazioni dagli USA sono cresciute di oltre il 30 per cento dal 2022.
Non è casuale che tutti i big della finanza, inclusi i maggiori fondi d’investimento, stanno immettendo miliardi nelle aziende del settore Difesa in pieno boom borsistico, mentre Trump ha detto chiaramente che l’Europa dovrà acquistare più armi dagli USA se vuole evitare i dazi commerciali.
Se a queste valutazioni si aggiunge che Trump prevede di ridurre in quattro anni di 300 miliardi su 900 il bilancio annuale del Pentagono per tagliare lo spaventoso debito pubblico statunitense, appare evidente che nei piani di Washington e della Commissione Ue spetterà agli europei assorbire le acquisizioni di armamenti “made in USA” che gli americani non acquisiranno in futuro. Con un curioso paradosso di un’Europa che si indebiterà sempre di più per aiutare gli USA a ridurre il loro debito.
Il piano “Rearm Europe” si presta poi a due ulteriori valutazioni. Le attuali condizioni economiche (alti costi energetici, carenze di materie prime e recessione) non sono certo ideali a varare piani di riarmo che sarebbe più conveniente varare una volta chiuso il conflitto in Ucraina e ripristinati i flussi di energia, auspicabilmente a prezzi convenienti, dalla Russia.
Del resto la UE impone il riarmo proprio per scoraggiare un attacco russo che in molti prevedono avverrà entro tre, quattro o cinque anni ma di cui non vi è traccia in nessun rapporto d’intelligence, che non appare credibile sul piano militare e geopolitico e che in realtà non sembra essere in cima alle preoccupazioni dei cittadini europei.
«Noi vediamo che l'Unione Europea discute attivamente di militarizzazione, seguiamo questo processo da vicino, perché l'Ue posiziona la Russia come suo nemico principale», ha commentato il portavoce della presidenza, Dmitry Peskov, denunciando «la retorica del confronto» che si oppone «alla ricerca di una soluzione» del conflitto in Ucraina. «Questo potrebbe essere potenzialmente un tema di nostra profonda preoccupazione e sollevare la necessità di prendere misure di rappresaglia appropriate per assicurare la nostra sicurezza», ha affermato ancora. «La Russia non parteciperà alla corsa agli armamenti» ha aggiunto Peskov. «I paesi europei non riusciranno a vincere una corsa agli armamenti contro la Russia perché Mosca non ha intenzione di parteciparvi, scegliendo invece di concentrarsi sulla salvaguardia dei propri interessi».
L’accordo su riarmo approvato al Consiglio Europeo non è indenne da riserve e valutazioni critiche come quelle espresse dall’Italia, scettica verso nuove forme di indebitamento ma soddisfatta per lo scorporo delle spese militari dal rapporto di bilancio deficit/PIL che era stato da tempo un cavallo di battaglia del governo Meloni. Il Consiglio ha approvato anche il sostegno militare a Kiev (senza il voto dell’Ungheria).
«Alla luce dei negoziati per una pace globale, giusta e duratura, l'Unione europea e gli Stati membri sono pronti a contribuire ulteriormente alle garanzie di sicurezza basate sulle rispettive competenze e capacità, in linea con il diritto internazionale, anche esplorando il possibile utilizzo di strumenti di politica di sicurezza e difesa comune. Le garanzie di sicurezza dovrebbero essere intraprese insieme all'Ucraina, nonché con partner che condividono gli stessi ideali e con la NATO" si legge nelle conclusioni del vertice Ue.
Di fatto un impegno teorico che non vincola nessuna nazione della UE a interventi militari a supporto di Kiev mentre anche il lungo dibattito sull’invio di forze di pace europee in Ucraina dopo la firma di accordi di pace, caldeggiato da Gran Bretagna e Francia (con Parigi pronta addirittura a mettere in campo il proprio deterrente nucleare) sembra destinato a restare lettera morta dopo la reazione di Mosca.
«La Russia non resterà inerme di fronte all'eventuale presenza di truppe della Nato in Ucraina con il pretesto di mantenere la pace e non tollererà tali azioni da parte dell'Occidente», ha dichiarato il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, sottolineando che «considereremo la presenza di queste truppe sul territorio ucraino nello stesso modo in cui abbiamo considerato la potenziale presenza della Nato in Ucraina, perché non importa con quali bandiere sia coperta questa operazione: bandiere dell'Unione Europea, bandiere nazionali dei Paesi che forniscono i contingenti» ma «queste saranno comunque truppe della Nato, truppe dei Paesi della Nato».
L’Europa finge di non sentire, ma Lavrov ha così seppellito due mesi di dibattito europeo sulle forze di pace Ue in Ucraina.