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FISCO

L'Ue penalizza le scuole cattoliche

Niente più sgravi fiscali per le scuole cattoliche. Lo stabilisce la Corte di Giustizia Europea, con una sentenza che risolve (a sfavore di un istituto cattolico) un contenzioso in Spagna. Le scuole cattoliche sono considerate imprese profit, dunque le esenzioni fiscali sono "aiuto di Stato". E dunque vietate. Si tasseranno tutte le attività della Chiesa finora esenti, d'ora in avanti?

Educazione 05_07_2017
Crocefisso in aula

No alle esenzioni fiscali e alle agevolazioni per le scuole cattoliche. Potrebbe rivelarsi un vero e proprio “vaso di Pandora” quello aperto nei giorni scorsi dalla Corte di Giustizia europea che una scuola religiosa spagnola non ha diritto al rimborso delle imposte imposte comunali. Una scelta che, potenzialmente, potrebbe mettere a repentaglio tutte le agevolazioni fiscali previste nei diversi paesi europei per le scuole cattoliche.

Ma facciamo un passo indietro. Tutto nasce da una causa, cominciata nei tribunali iberici, fra la Congregaciòn des escuelas pias provincia Betania e l'Ayuntamiento di Getafe, a una decina di chilometri da Madrid, per il rimborso di 24mila euro di imposte comunali su costruzioni, impianti e opere relativi a lavori realizzati in un edificio che ospita la sala conferenze di una scuola. Secondo le autorità tributarie spagnole, infatti, quei lavori non rientravano fra le attività strettamente religiose per cui era possibile prevedere un rimborso. Ne è nato così un contezioso proseguito col ricorso della congregazione allo Juzgado de lo Contencioso administrativo di Madrid (simile al nostro Tribunale amministrativo regionale) basato su una serie di accordi conclusi fra la Santa Sede e la Spagna nel 1979, cioè prima dell'adesione di quest'ultima all'Unione Europea. Il giudice spagnolo ha così pensato bene – si fa per dire – di chiedere il parere alla Corte di Giustizia Ue.

Con una sentenza dalla portata storica i giudici di Lussemburgo hanno stabilito che la congregazione religiosa aveva torto in base all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (Trattato sul Funazionamento dell'Unione europea ndr), che stabilisce che “salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. In particolare sono da considerarsi vietati, in qualsiasi caso: 1) l'“intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali” compresi gli “interventi che, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa”; 2) gli aiuti che “favoriscono talune imprese o talune produzioni”, ossia gli aiuti selettivi; 3-4) gli aiuti che “creano pregiudizio per il commercio tra Stati membri e distorsione della concorrenza”. La conclusione della sentenza è a dir poco scontata: “Nella misura in cui la Congregación svolge, in base alle considerazioni che precedono, un’attività economica e deve essere quindi considerata come impresa (75), un’esenzione fiscale come quella controversa nel procedimento principale, deve essere inquadrata come aiuto di Stato per il quale opera il divieto di cui all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE”.

Come abbiamo già accennato la sentenza potrebbe costituire un vero e proprio boomerang. Nel giugno del 2014 il ministro dell’Economia dell'allora governo Renzi, Pier Carlo Padoan, ha firmato un decreto in base al quale non sono tenute a pagare le scuole private che chiedono alle famiglie rette inferiori ai 6.882 euro l'anno (pari al costo medio per ogni alunno di scuola statale calcolato dall’Ocse), le cliniche convenzionate e tutti gli enti non commerciali posseduti dalla Chiesa, come parrocchie, università e musei.

Oggi, con questa sentenza, questo impianto di buonsenso che sgrava delle imposte comunali le strutture che operano a fin di bene o che promuovono attività educative e culturali potrebbe risultare definitivamente compromesso. E il rischio è che non si vadano ad intaccare solo i benefici diretti delle scuole cattoliche, ma anche quelli indiretti come il “buono scuola” che – in linea coi principi delineati dai giudici europei – potrebbero essere classificati come contributi illegittimi. Ovviamente al momento si tratta solo di una possibilità teorica, ma c'è da temere che – vista la crisi di bilancio (in Italia, ma anche in Francia, Spagna e Portogallo) – qualche amministratore possa in futuro pensare di usare la sentenza Ue per rimuovere quelle agevolazioni alle scuole cattoliche.

Un giro di vite su sgravi e contributi potrebbe infatti essere fatale alla sopravvivenza di enti che, oggi, ricevono 575 milioni di euro dallo Stato. Possono sembrare molti ma, in realtà, sono pochissimi se consideriamo che le scuole paritarie in Italia sono 13mila, hanno 100mila dipendenti e oltre 332mila studenti. Di fatto parliamo di contributi che coprono appena 1.700 euro per studente, pari a un quarto del costo complessivo di un alunno in una scuola pubblica. Ciò significa che se, per assurdo, tutti i 332mila studenti delle paritarie si iscrivessero alla scuola statale ci sarebbe un aggravio di spesa di ben 1.7 miliardi di euro. Lo stesso Fatto Quotidiano, non certo noto per simpatie clericali, è costretto ad ammettere che: “Le scuole paritarie private lamentano di avere pochi soldi dallo Stato, ed è vero: dal 2001 ad oggi il finanziamento è aumentato di poco, si è passati da 476 milioni di 15 anni fa ai 575 di oggi. Secondo i dati dell’Oecd in termini di spesa pubblica annuale per studente per le scuole primarie e secondarie siamo il Paese con il maggior gap tra pubbliche e private”.

Insomma: il taglio dei contributi alle paritarie potrebbe essere, per lo Stato, un boomerang anche dal punto di vista economico. Ma non sarebbe la prima volta che il fisco, con i suoi provvedimenti recessivi, si tira la classica “zappa sui piedi”.