L'Ue litiga con Erdogan. E la Russia restaura la Siria
Berlino litiga con i turchi ed Erdogan minaccia nuove invasioni di migranti in Europa. Intanto iniziano a entrare in vigore gli accordi di Sochi, fra Putin ed Erdogan, per la spartizione della regione curda al confine fra Turchia e Siria. L'esercito di Damasco torna a presidiare gran parte del confine. L'integrità siriana torna a essere restaurata
Berlino litiga con i turchi ed Erdogan minaccia nuove invasioni di migranti in Europa. La ministra della Difesa tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer ha definito l'operazione militare compiuta dalla Turchia nel Nord della Siria una "annessione" suscitando critiche anche in Germania.
La Kramp-Karrenbauer aveva proposto martedì lo schieramento di una forza militare di interposizione lungo il confine turco-siriano, senza peraltro essersi confrontata con la coalizione di governo (e incassando le critiche del ministro degli Esteri, Heiko Maas) ma ovviamente tale proposta può avere un senso solo se la Germania mantiene un approccio neutrale o non aggressivo nei confronti dei contendenti. Per questo in Germania c’è chi accusa il ministro di incompetenza, ricordando che la Turchia vuole una zona "cuscinetto" a protezione del suo confine ed è un alleato della Nato. Il deputato liberale Alexander Graf Lambsdorff sostiene che la Turchia non avrebbe manifestato l'intenzione di occupare stabilmente il territorio siriano, ma di voler combattere le milizie curde, considerate da Ankara un'organizzazione terroristica. "Non abbiamo avuto alcuna richiesta di intervenire come Nato" nel nord-est della Siria. Per attuare la proposta della ministra tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer "occorre una decisione dell'Onu", ha tagliato corto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg arrivando alla riunione dei ministri della Difesa dell'Alleanza.
Gli stati Uniti hanno espresso sostegno ma non condivisione dell’impegno militare alla proposta. "La sosterremo politicamente, ma non invieremo forze all'operazione" ha detto il segretario alla Difesa, Mark Esper. "Penso che questa proposta vada bene per quei Paesi che vogliono rafforzare la sicurezza in quella parte del mondo". Un maggiore contributo "è quanto chiediamo ai partner europei da tempo", ha aggiunto Esper. Durissima invece la reazione di Ankara con Erdogan che è tornato ad attaccare l'Europa dopo le critiche all'intervento militare accusando l'Ue di ipocrisia e minacciando nuovamente di aprire il confine al passaggio di migranti e profughi siriani.
"La nostra richiesta di istituire una safe zone non è certo una novità ma risale dai tempi di Barack Obama. Per questo motivo non merita nessuna considerazione da parte nostra l'enorme quantità di parole ipocrite che sono arrivate dall'Europa, che si attiva solo quando diciamo che apriremo il confine ai profughi. Non si preoccupino, al momento opportuno apriremo il confine e allora l'Ue smetterà di compiere questi voltafaccia", ha dichiarato ieri Erdogan. In questo contesto l’Italia si è ieri espressa a Bruxelles favore di una soluzione politica della crisi, ma ha reso noto il ritiro del suo piccolo contingente schierato dal 2016 nel sud della Turchia, 130 militari e una batteria di missili da difesa aerea Samp-T impiegati nell'ambito della missione Nato Active Fence e il cui ritiro era già previsto per dicembre.
Mentre turchi ed europei litigano, Mosca ha già messo in atto una forza di monitoraggio schierata lungo il confine composta dalla polizia militare, divenuta ormai un vero corpo militare per le operazioni di peacekeeping. Alle forze già presenti in Siria si aggiungeranno presto ulteriori rinforzi con 276 militari e 33 mezzi blindati. A conferma del ruolo sempre più pesante ricoperto da Mosca nell’attuale crisi, ieri i vertici delle milizie curde hanno accettato di integrare le loro unità di protezione popolare (Ypg) nell' esercito regolare siriano che già oggi controlla ampi settori del confine con la Turchia. In base a quanto reso noto dall' agenzia russa Ria Novosti oggi, le milizie curde stanno abbandonando l’area di confine fino a 32 chilometri di propfondità lasciandola sotto il controllo dei militari di Mosca e di Damasco. Un ritiro a sud stabilito dall'accordo concluso tra il presidente russo Vladimir Putin e il collega turco Recep Tayyip Erdogan lo scorso 22 ottobre a Sochi, in Russia
L'accordo comporta una sostanziale spartizione dell'area a nord-est della Siria tra l'esercito di Ankara e i militari di Bashar Assad sostenuti da Mosca che tornano dopo 8 anni a presidiare il confine turco. Un accordo in 10 punti che lascia ben poco spazio all’autonomia dei curdi e nessuno al loro sogno di realizzare nella Siria Orientale a est dell’Eufrate uno stato indipendente protetto dagli Stati Uniti. Il ministero della Difesa russo ha ieri annunciato che 15 punti di controllo saranno istituiti lungo il confine turco-siriano, a est dell'Eufrate e gestiti dall' esercito di Damasco. Un' area fino a pochi giorni fa sotto il controllo delle milizie curde YPG, sostenute dagli americani, è praticamente passata sotto il controllo dell'esercito di Damasco, sostenuto dai russi. I 15 check point che Mosca costituirà per Assad sono previsti a est e ovest dell'area compresa tra le città di Tel Abyad e Ras al Ayn, un territorio di 120 chilometri di estensione e 32 di profondità' che rimane sotto il controllo dell' esercito turco, al cui interno Ankara vuole istituire 12 check point. Nell' intera area di confine di 440 chilometri di estensione e 32 di profondità non vi saranno milizie dell’YPG né truppe statunitensi.
Anche per questo il presidente siriano Bashar al Assad ha espresso pieno sostegno all’accordo Putin-Erdogan di Sochi, come ha reso noto il portavoce del presidente russo, Dmitry Peskov. Assad ha anche assicurato la disponibilità “delle guardie di frontiera siriane di pattugliare insieme alla polizia militare russa il confine. Gli accordi di Sochi, del resto, precisano che la “principale priorità consiste nel restaurare l’integrità territoriale della Siria”, ma hanno anche confermato gli accordi di Adana siglati nel 1998 da Hafez al-Assad (padre di Bashar) con cui la Siria garantiva che le milizie curde non avrebbero attaccato la Turchia dal territorio siriano. “Cambiare i termini dell’accordo di Adana non è mai stato in discussione.
Come ha ricordato ieri l’agenzia di stampa AGI, nei negoziati, mai concretizzatisi, tra Usa e Turchia, era stata invece ipotizzata nei mesi scorsi la formazione di forme di amministrazione e governo locale, opzione sparita dagli accordi di Ankara con Mosca, che spianano la strada al controllo da parte del regime di Damasco, tornato negli ultimi giorni a presidiare Kobane, Manbij, Tal Amir, Ayn Isa e Tabka, città che Assad era stato costretto ad abbandonare tra il 2011 e il 2012. Sul piano politico, Damasco ha già annunciato che riconoscerà ai curdi-siriani autonomia culturale, linguistica e amministrativa, ma le milizie dell’YPG sembrano destinate a venire inglobate nell’esercito arabo siriano e a costituire un corpo di polizia regionale. Solo la città di Qamishli, la più abitata della regione vicina al confine iracheno (a est della “safe zone”) resta esclusa dai pattugliamenti russo-turchi. In questo centro urbano, che l’Isis non è mai riuscito a espugnare alle truppe siriane, Damasco potrebbe garantire ai curdi una sorta di presenza autonoma lungo il confine turco tenuto conto che a Qamishli (come ad Hasaka) è sempre rimasta una guarnigione di truppe siriane.