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LA CRISI

L'Ue getti acqua sul fuoco ucraino

Gli interessi europei non coincidono con quelli statunitensi. L'Ue comprenda le ragioni della Russia e trasformi l'Ucraina in un ponte con Mosca, invece che in una terra di frontiera di una nuova guerra fredda, da cui perderebbero tutti.

Esteri 05_05_2014
Colloqui di Ginevra

Parlando ieri alla folla radunata a Roma in piazza San Pietro  per  la preghiera del Regina Coeli, che nel periodo pasquale sostituisce il consueto Angelus, papa Francesco ha definito “grave” la situazione in Ucraina. Tenuto conto che la diplomazia vaticana è forse la più qualificata ed esperta del mondo, e che quindi riguardo alle crisi in atto sulla scena internazionale il Papa dispone di notizie e di valutazioni quanto mai  complete  ed accurate,  non si può che restare colpiti da tale suo giudizio.  Sembra che appunto la diplomazia vaticana si stia specificamente adoperando perché la crisi ucraina non precipiti, e c’è da sperare vivamente che tale suo impegno abbia successo.

Crisi tanto acute non nascono ovviamente dal nulla per perfida volontà di qualche potente… burattinaio.  Alla loro radice non possono che esservi situazioni di effettivo grande disagio o di effettivo grande squilibrio ovvero sia dell’una cosa che dell’altra. Poi però la loro evoluzione dipende sostanzialmente dall’azione delle grandi potenze, se cioè su focolai del genere chi è in grado di farlo versa acqua o versa benzina.  In questo caso c’è chi versa benzina senza risparmio, e sono gli Stati Uniti del presidente Obama,  mentre chi avrebbe tutto l’interesse a versare acqua, ossia l’Unione Europea, non lo fa perché la sua politica estera, non a caso affidata all’inglese Catherine Ashton, è a rimorchio degli interessi nord-atlantici che anche in questo caso non sono quelli dell’Europa.

Come Rodolfo Casadei ha scritto di recente sul settimanale Tempi, “Ferma restando la genuinità del movimento popolare di protesta di Maidan, non c’è dubbio che gli Stati Uniti hanno alimentato le proteste con tutti i mezzi a loro disposizione per infliggere un duro colpo alla Russia di Putin, che nel corso del 2013 li ha sfidati concedendo l’asilo politico al fuggiasco Edward Snowden – l’uomo che ha rivelato l’estensione delle intercettazioni americane – e salvando l’alleato Assad da un intervento militare occidentale. L’America ha fatto fallire l’accordo di compromesso raggiunto fra Yanukovich e Maidan con la mediazione della Unione Europea perché volevano nell’ordine 1)  creare una frattura irreparabile fra Russia e Ucraina; 2) costringere Putin a reazioni difensive che lo compromettessero a livello internazionale; 3) costringere la Germania a una scelta di campo fra il rapporto speciale con la Russia e l’appartenenza all’alleanza occidentale; 4) spegnere sul nascere le ambizioni di Bruxelles di diventare un soggetto geopolitico vero e proprio”. Non ho niente da aggiungere a questo analisi che condivido pienamente. Resta a questo punto da domandarsi fino a quando l’Unione Europea potrà permettersi di non avere una politica estera adeguata e proporzionata al suo peso e alla sua collocazione geopolitica. Una collocazione che fa di essa, con buon pace della Gran Bretagna e dei suoi vicini, non la marca di frontiera dell’area “atlantica” bensì il crocevia di interessi tanto atlantici quanto baltico-danubiani e mediterranei.

Giusta o sbagliata che fosse la situazione fino a quando nel 1991 la “guerra fredda” si concluse con la disfatta dell’Unione Sovietica, a seguito di essa la Russia ha dovuto subire un’imponente e brusca riduzione della propria area d’influenza. Adesso con l’Estonia la Nato arriva direttamente ai suoi confini, e militarmente a due passi da San Pietroburgo, mentre fino al 1991 si fermava sulle rive del fiume Elba, alla frontiera con una Repubblica Democratica Tedesca oggi assorbita dalla Repubblica Federale di Germania. Svanita la sua presenza nell’Europa centro-orientale, le restano soltanto le “Russie”, ossia la Bielorussia e l’Ucraina, con le quali ha un legame storico sostanziale. Con riguardo in particolare all’Ucraina basti dire che essa è la Rus’, ossia la Russia originaria. Ventilare l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea e nella Nato equivale a far sentire Mosca spinta contro un muro e quindi a provocarla allo scontro. Ciò detto, l’indipendenza politica che l’Ucraina ha raggiunto dopo secolare attesa va garantita e tutelata. Un’Unione Europea non prona a interessi egemonici americani che non sono i suoi, e quindi molto interessata ad evitare che il bacino del Dniepr diventi un altro Medio Oriente, dovrebbe da un lato assicurare Mosca che l’Ucraina non verrà invitata a farne parte, e nemmeno verrà a far parte della Nato, ma dall’altro esigere che la Russia rispetti la sua indipendenza. All’interno poi di un quadro stabile così definito l’Unione potrà e dovrà fare tutta la sua parte perché l’Ucraina con proprio vantaggio diventi positivamente un luogo di scambio e anche d’intreccio tra l’economia russa e quella europea. Ecco un obiettivo di politica europea che il nostro governo farebbe bene a porsi.