L’Ucraina ha “nemici” anche ad ovest
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Le elezioni in Slovacchia e le politiche polacche e ungheresi sulla guerra in Ucraina aprono un “fronte mitteleuropeo” che minaccia gli aiuti a Zelensky e rischia di minare un’Ue sempre più inadeguata a gestire le sfide che la attanagliano.
Si aggrava di giorno in giorno la crisi tra l’Ucraina e le nazioni mitteleuropee ai suoi confini occidentali: Polonia, Slovacchia e Ungheria. La vittoria dei socialdemocratici guidati da Robert Fico nelle elezioni slovacche sta determinando un terremoto politico. Nell’Unione europea e pure in Italia i partiti “gemelli” (come il PD) dello Smer-SD slovacco chiedono l’espulsione del partito slovacco dal Partito socialista europeo per le posizioni “filo-russe” assunte già in campagna elettorale.
«Robert Fico, leader del Partito Direzione-socialdemocrazia e vincitore delle elezioni anticipate in Slovacchia è incompatibile con i valori e i principi del socialismo europeo e mi auguro che la dirigenza dei socialisti europei decidano la sua espulsione» ha detto Stefano Graziano, capogruppo del Pd in commissione Difesa della Camera. «Le recenti esternazioni di Fico nei riguardi dell'Ucraina sono gravissime e in profonda contrapposizione con le decisioni assunte in tutte le compagini del socialismo europeo».
Fico, ora impegnato a formare un governo trovando almeno altri 34 parlamentari oltre ai 42 del suo partito, ha ribadito dopo l’affermazione elettorale le posizioni nette sul conflitto in Ucraina basate sullo stop alle forniture militari a Kiev e sull’avvio di trattative con la Russia per concludere il conflitto che tanti danni economici sta determinando soprattutto in Mitteleuropa.
Gli ambienti di Bruxelles sono sempre preoccupati quando il popolo si esprime col libero voto in una nazione dell’Unione e hanno rispolverato per l’ennesima volta l’ombra della disinformazione e degli agenti russi dietro al successo di Fico che ha ribaltato i risultati previsti dagli exit poll.
Sul tema è intervenuto il ministro degli Esteri ungheresi Peter Szijjarto respingendo le accuse di presunta interferenza della Russia nelle elezioni parlamentari in Slovacchia ed accusando Bruxelles di avere etichettato come “spie russe” tutti i politici che non seguono la corrente principale liberal europea. «Quando un politico patriottico o una famiglia politica che mette al primo posto gli interessi nazionali e si oppone alla corrente liberal di Bruxelles vince le elezioni o almeno ha la possibilità di partecipare alle elezioni, Bruxelles inizia immediatamente a esercitare pressioni, attacchi ed etichette», ha detto Szijjarto al quotidiano ungherese Magyar Nemzet.
Non è un caso che l’affermazione dello Smer-SD a Bratislava abbia coinciso con gigantesche manifestazioni a Praga e Varsavia contro i rispettivi governi per il sostegno finora accordato all’Ucraina. Un sostegno che, almeno in Polonia, sembra vacillare in modo rapido da alcune settimane. Dopo le dure reazioni di Kiev allo stop alle importazioni di cereali ucraini in Polonia, il premier Mateusz Morawiecki aveva annunciato lo stop alle forniture militari all’Ucraina, dichiarazione parzialmente rettificata dal presidente Andrzej Duda ma nei fatti probabilmente confermata da un elemento rilevante emerso nei giorni scorsi.
La Polonia non era infatti presente al Forum delle industrie della difesa in Ucraina tenutosi il 29 settembre nei pressi di Kiev che ha raccolto l’adesione di 30 nazioni e circa 250 aziende del settore Difesa. Pur se invitato da Kiev, il governo polacco avrebbe deciso di non partecipare forse per protesta contro i crescenti legami militari tra Ucraina e Germania, inizialmente tempestosi ma ora sempre più stabili e ulteriormente consolidatisi con l’accordo tra l’azienda di stato ucraina Ukrobronoprom e la tedesca Rheinmetall per realizzare in Ucraina uno stabilimento per produrre e riparare mezzi, armi, munizioni e veicoli.
Tutta l’iniziativa politica e strategica polacca è impostata come alternativa alla Germania (i vertici polacchi esultarono alla distruzione dei due gasdotti North stream) e Il 2 ottobre Morawiecki ha messo in guardia l’Ucraina dallo stabilire una stretta alleanza con la Germania.
In un discorso tenuto a Katowice in vista delle elezioni parlamentari del 15 ottobre, Morawiecki ha rivolto un monito a Volodymyr Zelensky. «Sembra che avrà ora una stretta alleanza con la Germania. Lasciate che lo avvisi: Berlino vorrà sempre cooperare con i russi al di sopra dei paesi dell’Europa centrale», ha detto Morawiecki sottolineando che «è stata la Polonia ad accogliere sotto i suoi tetti qualche milione di ucraini: sono stati i polacchi ad accogliere gli ucraini e siamo stati noi ad aiutare di più, quando i tedeschi volevano inviare 5.000 elmetti a Kiev assediata», ha dichiarato Morawiecki. «Vale la pena non dimenticarlo, presidente Zelensky».
Anche l’Ungheria ha assunto toni sempre più duri nei confronti dei leader di Kiev ma anche delle politiche di UE e NATO. Il 25 settembre parlando davanti al parlamento di Budapest, il primo ministro Viktor Orbán ha aspramente criticato il governo ucraino affermando che l’Ungheria «non sosterrà l’Ucraina su nessuna questione internazionale» fino a quando non saranno ripristinati i diritti linguistici di una consistente minoranza ungherese nella regione occidentale della Transcarpazia.
Orban ha poi inferto un altro schiaffo a Zelensky affermando che non verranno estradati i rifugiati ucraini con obbligo di leva militare arrivati in Ungheria, come richiesto da Kiev a tutte le nazioni europee che ospitano rifugiati. «Decine di migliaia di rifugiati dall’Ucraina hanno trovato sicurezza e casa in Ungheria. Gli ungheresi e gli ucraini della Transcarpazia sono ugualmente benvenuti – ha detto Orban -. I rifugiati della guerra hanno trovato sicurezza in Ungheria: donne, bambini e uomini. L’Ungheria non si atterrà alla richiesta del governo ucraino e non rimanderemo nessuno in Ucraina con la forza».
Lo stesso giorno Orban ha contestato decisamente le valutazioni di NATO e UE. Circa la prima ha detto che Budapest «non ha fretta» di ratificare la richiesta della Svezia di aderire all’Alleanza Atlantica sottolineando che «niente minaccia la sicurezza della Svezia» e che l’Ungheria quindi non ha «nessuna fretta» di ratificare la sua adesione alla NATO. Posizione comune a quella della Turchia che non ha ancora ratificato la richiesta di Stoccolma perché chiede in cambio il supporto svedese per l’adesione di Ankara alla Ue e la chiusura dei rapporti con le organizzazioni indipendentistiche curde.
Anche sulla politica della UE e sull’esportazione di cereali ucraini, Orban non ha usato mezzi termini dichiarando che l’Ungheria è stata «ingannata» dal piano dell’Unione. «Bruxelles ha affermato che senza il grano ucraino, una grave carestia minacciava i paesi africani. Dopo che il transito attraverso il Mar Nero è stato reso impossibile dalla guerra, l’Ungheria ha aperto, su richiesta di Bruxelles, un corridoio di transito solidale in modo che il cibo potesse arrivare in Africa dall’Ucraina e attraverso l’Ungheria. Diciamolo chiaro: ci hanno ingannato». Orbán ha sottolineato che il grano ucraino, più economico, ha inondato i mercati ungheresi, creando un eccesso di offerta che ha danneggiato la sua industria agricola. Insieme alla Slovacchia e alla Polonia, l’Ungheria ha istituito il 15 settembre il divieto di importazione di 23 prodotti agricoli ucraini, ma continuerà a consentirne il trasferimento su altri mercati attraverso il suo territorio.
Il 29 settembre Orban, che si è congratulato con il “patriota” Fico per la vittoria a Bratislava, ha messo in guardia Bruxelles dall’apertura dei negoziati per l’adesione dell’Ucraina alla UE. «È opportuno avviare negoziati con un Paese in guerra? Non conosciamo le dimensioni del territorio a causa della guerra in corso, né la dimensione della sua popolazione dato il flusso di profughi», ha dichiarato in un’intervista radiofonica aggiungendo che «senza conoscere questi parametri sarebbe una decisione senza precedenti».
Il 3 ottobre il ministro degli Esteri ungheresi Szijjarto è tornato sul tema criticando l’approccio della Ue al conflitto in Ucraina e le sue conseguenze. «Posso dire che il mondo fuori dall’Europa guarda già con ansia la fine di questa guerra, perché non capisce molte cose. Non capisce, per esempio, come sia possibile che quando la guerra non è in Europa, l’Unione Europea, guardando dall’alto con superiorità morale, invita le parti alla pace, sostiene i negoziati e la fine immediata della violenza, ma quando c’è una guerra in Europa, l’Unione Europea fomenta il conflitto, fornisce armi e chiunque parli di pace viene immediatamente stigmatizzato», ha detto Szijjarto in un’intervista al quotidiano Magyar Nemzet.
Secondo il ministro altre nazioni non capiscono perché l’Europa abbia «reso questo conflitto globale» e perché le persone che vivono in Asia, Africa e America Latina devono pagarne le conseguenze a causa della crescente inflazione, dei prezzi dell’energia e dell’instabilità delle forniture alimentari. Szijjarto ha quindi aggiunto che la posizione dell’Ungheria sulla questione (Budapest non pone sanzioni a Mosca, chiede negoziati di pace e non invia armi a Kiev) è valutata con «grande rispetto» al di fuori dell’Ue, cosa che ha potuto constatare più di una volta durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Nella guerra in Ucraina sembra quindi aprirsi un forse da molti inatteso “fronte mitteleuropeo” che minaccia da un lato la stabilità degli aiuti all’Ucraina e dall’altro rischia di minare un’Unione europea sempre più inadeguata a gestire le sfide che la attanagliano.