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IL LATINO SERVE A TUTTI/XLVI

Lucano, cantore della distruzione delle guerre civili

La lotta tra Cesare e Pompeo non è soltanto civile, ma addirittura tra consanguinei. I due erano uniti da un vincolo reale di parentela. Cesare era, infatti, suocero di Pompeo, avendo quest’ultimo sposato Giulia, figlia di Cesare. 

Cultura 10_02_2019

Negli Annales Tacito racconta la morte di Lucano con queste parole:
Quindi (l’imperatore Nerone) ordina l’uccisione di Anneo Lucano. Questi, mentre il sangue scorreva, appena sentì che i piedi e le mani erano diventati freddi, perché la vita gli stava sfuggendo dalle estremità, mentre il cuore continuava a battere e la mente a funzionare, ricordò di aver scritto un carme su un soldato ferito, che moriva in un modo simile. Perciò recitò proprio quei versi, che quindi furono le sue ultime parole. 

Il poeta morì il 30 aprile del 65 d. C. nel ricordo dell’opera interrotta al libro X, costretto al suicidio dall’imperatore, perché accusato di aver preso parte alla congiura pisoniana. Dal racconto di Tacito, nella prospettiva di evitare la condanna, Lucano denunciò addirittura la madre Acilia ed amici stretti, colpevoli di aver preso parte alla congiura.

Nato nel 39 d. C. a Cordova, figlio di Marco Anneo Mela e quindi nipote di Seneca, si era trasferito a Roma con la famiglia ed era stato educato secondo la filosofia stoica. Suo maestro era stato anche il filosofo Anneo Cornuto. Fino al 60 d. C. i suoi rapporti con l’imperatore Nerone furono improntati ad amicizia. Lucano era entrato nell’entourage di corte, cui appartenevano intellettuali e artisti, aveva addirittura ricoperto la carica di questore, senza che avesse raggiunto l’età minima di venticinque anni. Durante i Neronia del 60 d. C. (feste istituite per celebrare la grandezza dell’imperatore) Lucano aveva declamato le Laudes Neronis

Nel 62 d. C., però, i rapporti erano già deteriorati. Nerone aveva proibito a Lucano di declamare in pubblico e di far conoscere la sua opera. All’origine del decadimento rapido di un rapporto tra due amici pressoché coetanei ci furono ragioni d’invidia per le capacità letterarie di Lucano e motivi di natura politica. Da un lato l’imperatore doveva aver ben presto percepito la superiorità letteraria dell’amico che scriveva l’Iliacon sullo stesso argomento su cui si cimentava lui stesso (il poema epico Troikà). Dall’altro Lucano doveva aver accentuato sempre più l’ideale libertario e filorepubblicano in lui già presente dalla prima educazione stoica.

Il capolavoro di Lucano, intitolato Bellum civile o Pharsalia (come lo stesso autore lo chiama nel testo), mostra il disastro e la rovina cui hanno portato le guerre intestine. La storia avrebbe probabilmente dovuto raccontare lo scontro tra Cesare e Pompeo, con gli spostamenti di eserciti, gli scontri, gli eventi salienti, storici o inventati, dal 49 a. C. fino al 45 a. C., quando la guerra si risolse a favore di Cesare, una volta che anche le ultime truppe pompeiane vennero sconfitte nella battaglia di Munda, in Spagna. Non sappiamo con esattezza fin dove Lucano avrebbe condotto la narrazione, se fino alla battaglia di Munda o alla morte di Cesare o alla sconfitta dei cesaricidi. In realtà, le vicende arrivano fino al 47 a. C. (libro X), quando Cesare è assediato ad Alessandria d’Egitto.

L’Eneide di Virgilio aveva tra le proprie finalità anche quella di far scordare il tragico periodo delle guerre civili. L’imperatore Augusto aveva promosso quella pax che da lui avrebbe preso il nome. Protagonista era l’eroe Enea, dotato di tutte le virtutes del cittadino romano. Scrive Virgilio nel proemio:

Canto le armi e l’eroe, il quale per primo dalle coste di Troia
giunse in Italia, profugo per volere del fato, e alle spiagge
di Lavinio, egli che fu sballottato ampiamente per terra e per mare
dalla potenza degli dei a causa dell'ira memore della crudele Giunone; 
e sopportò molto anche in guerra, pur di fondare la città,
e portare  gli dei nel Lazio, da cui la stirpe latina,
e i padri albani, e le mura dell'alta Roma.
Musa, ricordami le cause, per quale volontà divina offesa,
o perché addolorata, la regina degli dei costrinse un eroe
illustre per devozione ad affrontare tante vicende e
a subire tante fatiche. Così profonda l’ira nell'animo dei celesti?

Il proemio della Pharsalia mostra da subito l’antitesi rispetto all’Eneide virgiliana che cantava la grandezza dell’eroe Enea ed un popolo che avrebbe costruito nel tempo un grande impero. In questo caso, le armi non sono rivolte contro nemici stranieri. Ecco i primi sette versi del proemio lucaneo:

Guerre più atroci di quelle civili sui campi d’Emazia cantiamo
e il diritto trasformato in crimine, e il popolo potente
che si rivolse contro le sue stesse viscere con la destra vittoriosa,
e gli eserciti di consanguinei, e, infranto il patto sui cui si fondava il regno,
la lotta con tutte le forze del mondo sconvolto
per compiere un comune misfatto, e le insegne avversea ostili insegne, aquile contro aquile, armi minacciose contro armi.

La lotta tra Cesare e Pompeo non è soltanto civile, ma addirittura tra consanguinei. I due erano uniti da un vincolo reale di parentela. Cesare era, infatti, suocero di Pompeo, avendo quest’ultimo sposato Giulia, figlia di Cesare. I sette versi che descrivono uno stravolgimento di ogni diritto umano («ius») e divino («fas») trasformati in delitto («scelus»), le armi potenti rivolte contro le proprie viscere («viscera»), parenti schierati contro consanguinei («cognatas»), le alleanze rotte («rupto foedere») sottolineano l’antitesi della Pharsalia rispetto all’Eneide

Nella parte successiva del proemio (vv. 8-66) il poeta mostra la propria contrarietà per il fatto che Roma avrebbe dovuto conquistare gli altri popoli, sottomettere il mondo intero ai Latini e recuperare le insegne perse contro i Parti prima di rivolgere le armi contro di sé. A causa delle guerre civili l’Italia è inarata e mancano le braccia ai campi. Se queste guerre sono servite, però, all’avvento di Nerone, «accogliamo volentieri questi crimini e misfatti», scrive Lucano, «per simile ricompensa». Quando Nerone morirà e sarà assunto in cielo, stia attento a dove si collocherà come stella per evitare che l’asse terrestre possa inclinarsi:

[…] Quando, compiuta la missione,
salirai agli astri tra molto tempo, la reggia del cielo prescelto
ti accoglierà tra la gioia del firmamento. […]
Ma non scegliere per te una sede nel cielo dell’Orsa,
né il luogo in cui il polo caldo dell’opposto Austro si inclina,
da dove vedi la tua Roma con obliqua stella.
Se tu gravassi su una sola parte dell’immenso etere,
l’asse ne sentirebbe il peso. […]

Lucano si lascia andare ad una palinodia, ad un’esaltazione dell’imperatore. Questo iniziale proemio di esaltazione di Nerone non fu eliminato quando peggiorarono i rapporti del poeta con l’imperatore; venne, però, probabilmente corretto e modificato nel suo significato con l’inserzione dei primi sette versi di giudizio molto negativo sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo.

Nella Pharsalia il ribaltamento della classicità dell’Eneide si rafforza con la presenza del macabro e del cruento, con l’assenza di eroi vincenti e della dimensione religiosa sostituita da quella della magia. Nel libro VI della Pharsalia (vv. 695-770), la catabasi (discesa nell’Ade) è ribaltata in anabasi (salita). Un figlio di Pompeo Magno, Sesto, consulta la Maga Eritto per conoscere le sorti dell’imminente battaglia di Farsalo. Il cadavere di un soldato viene richiamato alla vita per poco tempo, quello sufficiente a raccontare il destino dei pompeiani. La Sibilla cumana dell’Eneide, che accompagna Enea nel viaggio nell’aldilà, è qui sostituita da un’orribile maga, proprio nei campi della Tessaglia che all’epoca sono considerati luoghi di grande diffusione della magia.