Luca, uno storico diventato cronista
L'autore degli Atti degli Apostoli seguì san Paolo nei suoi viaggi, giugendo con lui fino a Roma. Di ogni singolo fatto offre descrizioni in presa diretta.
Il cristianesimo è fondato sui fatti, quindi con date e persone precise. Ai suoi detrattori fa comodo riferirlo a filosofie, scuole, elaborazioni posteriori di comunità non ben identificabili. Intristisce sapere che anche i cristiani alimentano questo approccio, sganciato dal doversi misurare e farsi carico immediatamente della cruda realtà e degli imprevisti della storia.
Gli Atti degli Apostoli costituiscono un valido antidoto a tali venefiche tossine. Il testo, proposto in abbondanza dalle letture delle sante messe post-pasquali, presenta una scansione cronologica lineare che copre un periodo che va dai mesi a immediato ridosso dell’epilogo dei Vangeli (nella primavera del 33) ai due anni di arresti domiciliari di Paolo a Roma (conclusi attorno al 60).
L’autore è san Luca, che inizia (At 1,1-2) il racconto dichiarandolo posteriore al suo Vangelo e che compone gli Atti non solo da storico, ma anche da cronista (dal capitolo 16) e scrive quel che accade usando il “noi”, essendo compagno di viaggio di Paolo. Il libro si chiude con la citazione della detenzione romana. Paolo in seguito riprese a viaggiare e Luca era ancora con lui: è logico ipotizzare gli Atti terminati prima del martirio di Giacomo il minore (61) e poi di Pietro e Paolo (67)
I primi capitoli, raccontati in terza persona, sono in uno stile molto simile al terzo Vangelo e adesso saldati: Gesù ordinò agli apostoli di non allontanarsi da Gerusalemme, attendendo l’adempimento della promessa del Padre (Lc 24,49). Tra la Risurrezione (16 nisan) e la Pentecoste (6 sivan) passano 50 giorni. Di questo lasso di tempo si occupano i primi due capitoli degli Atti degli Apostoli, culminanti in un magistrale discorso di Pietro (At 2,14-40), più che mai ispirato e riconosciuto capo e guida della Chiesa nascente a nemmeno due mesi dal mortificante rinnegamento di Gesù del 14 nisan.
Dallo studio della Lettera ai Galati (Gal 1-11-2,21) è stato possibile datare la conversione di Saulo/Paolo al 34 e negli Atti la troviamo al capitolo 9. Il martirio di Stefano è anteriore e si trova al capitolo 7. Nei capitoli dal 3 al 6 leggiamo episodi avvenuti nella seconda metà del 33.
Le affermazioni di Pietro ai capitoli 3, 4 e 5, rafforzate dai miracoli degli apostoli (At 3,6; At 5,12) ci illustrano i primissimi passi dell’annuncio del vangelo affidato agli uomini che hanno riconosciuto la rivelazione del Padre nel Figlio Gesù. Nel 33 gli argomenti usati da Pietro (Gesù è il predetto dalle Scritture; l’adempimento delle promesse di Dio; la necessità di accogliere Gesù fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose; l’universalità della benedizione alla discendenza di Abramo) gettano le basi di ciò che sarà poi l’apostolato di Paolo (partire dalle sinagoghe, collegare la realtà di Gesù alla Legge ed ai profeti, aprire ai pagani, ricapitolare tutte le cose in Cristo Gesù). Sono quelli che la Chiesa (quella vera) afferma ancora oggi: «Gesù, la pietra scartata dai costruttori, è divenuta testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza (At 4,11-12)». È il succo della Dominus Iesus, redatta dall’allora card. Joseph Ratzinger, che ha inteso seguire l'esempio dell'Apostolo Paolo ai fedeli di Corinto: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto» (1 Cor 15,3).
La persecuzione verso la Chiesa nascente (At 8,1) avviene mentre a Gerusalemme sono ancora al loro posto sia Pilato che Caifa (rimossi nel 36 d.C.). Tre anni dopo la sua conversione, Paolo fece ritorno in città (Gal 1,18 e menzione anche in At 9,26) per conoscere Cefa/Pietro, senza più Caifa ma non senza rischi (At 9,29): è probabilmente l’inizio del 37 d.C., quando Tiberio era ancora vivo e Vitellio, suo incaricato, aveva rimesso ordine nell’area scossa da violenti scontri interni (esecuzione illegale di Stefano, una strage di Samaritani) ed esterni (morto Filippo, ci fu la guerra tra Areta ed Erode Antipa).
Il periodo tranquillo (At 9,31) è breve: nel marzo del 37 muore Tiberio e Caligola complica le cose. Quando Paolo si reca a Tarso (At 9,31), sua città natale, siamo all’epilogo di una fase favorevole alla diffusione del cristianesimo. I capitoli 10 e 11 descrivono l’apertura missionaria dell’evangelizzazione dei non ebrei, trasmessoci da altri due celeberrimi discorsi di Pietro (At 10,34, poi giustificato ai meno propensi in At 11,4-17). Ormai la Chiesa è allargata ai pagani. Antiochia, terza città (dopo Roma ed Alessandria d’Egitto) per importanza dell’impero romano, è la culla del primo nucleo visibile di credenti che furono chiamati cristiani (At 10,26). Da notare che tutta questa fase è anteriore al 40 (la data più probabile è il 37-38) e vede Pietro indiscusso protagonista.
Il racconto degli Atti, fin qui molto lineare e senza salti, si fa molto frammentario. Il capitolo 12, dall’inizio del 41 alla Pasqua del 44 (regno di Erode Agrippa a Gerusalemme), descrive la nuova persecuzione anti-cristiana, con il martirio di Giacomo il maggiore e la miracolosa fuga di Pietro dalla prigione. E’ isolato dal resto, con un “buco” di circa tre anni (38,39,40) prima e di altri tre (44-45-46) dopo. In questo lasso di tempo sono accadute cose di cui non sappiamo quasi nulla. Non deve sfuggire la stranezza di un testo fin lì molto dettagliato (11 capitoli per gli anni dal 33 al 37) e che tornerà ad esserlo (16 capitoli, dal 13 al 28, per gli anni dal 47 al 60) con quest’unico capitolo, il dodicesimo, in rappresentanza di 9 anni (dal 38 al 46) ragionevolmente altrettanto ricchi di fatti.
Dal capitolo 13 è narrato il primo viaggio di Paolo, databile al 47, avendo notizia da Giuseppe Flavio di una grave carestia che colpì la Palestina nel 46-47 (sotto Tiberio Alessandro) che costrinse a inviare aiuti alimentari dall’Egitto e fichi da Cipro. Il concilio di Gerusalemme (49) sembra una diretta conseguenza dello scontro tra i cristiani più legati alla tradizione ebraica e quelli provenienti da altre culture (Gal. 2,11-21). L’episodio scatenante è una visita di Pietro ad Antiochia, dove Paolo giunse di ritorno dal primo viaggio (tra l’altro in Galazia, regione che storicamente comprendeva la Licaonia, una delle terre visitate da Paolo dopo essere stato a Cipro). Dopo il Concilio di Gerusalemme (in cui non si nomina Maria, la cui assunzione è collocabile negli anni in cui gli Atti sono più lacunosi) Paolo riprende a viaggiare, già dalla fine di quello stesso 49, dopo un altro dissenso stavolta con Marco (At 15,39). Sono dettagli importanti per fare degli Atti (e prima ancora dei vangeli) dei testi di cronaca, con tutte le umane fragilità del caso, più che degli elaborati di pastorale e di teologia, ad opera di comunità, nei decenni: non avrebbero mai scritto in questo modo!
Dal capitolo 16 Luca scrive in prima persona, quale cronista che segue l’apostolo nel suo peregrinare (At 16,10). Salvo durante la prigionia a Cesarea, Luca sarà con Paolo fino a Roma. Questo secondo stile narrativo, per le considerazioni fin qui fatte, dovrebbe suggerire che la prima parte degli Atti abbia avuto una genesi anteriore alla seconda, retrodatando ancor più l’epoca in cui Luca scrisse la prima parte dei suoi testi neotestamentari. La mancanza di un’integrazione alle informazioni relative agli “anni oscuri” è una prova in più del grande rispetto sempre avuto per i testi canonici: chiunque avesse scritto trenta-quarant’anni dopo si sarebbe preoccupato di colmare, almeno per sommi capi, le evidenti “zone d’ombra”. Invece qui il testo ci è pervenuto così come è, silenzi compresi, evidentemente voluti. Non ha proprio alcun senso che Luca abbia scritto, da storico prima e da cronista poi, con due stili tanto differenti, addirittura dopo l’80 o comunque dopo la distruzione di Gerusalemme (70) e senza farne cenno, così come, già prima, del martirio di Pietro e di Paolo.
Non sfugga il passo della seconda Lettera ai Corinzi 8,18-19: Paolo ci parla proprio di Luca? Dunque ci sarebbe già uno scrittore «che ha lode in tutte le chiese a motivo del vangelo», «designato compagno» di Paolo, di cui questi fa pubblico elogio prima della fine del suo terzo viaggio, proprio quello dove Luca negli Atti degli Apostoli usa più frequentemente il “noi”. Siamo attorno al 56, dopo i “fattacci” di Efeso: se Luca era così noto, il suo Vangelo doveva già avere qualche annetto.
Successivamente Paolo si è anche ammalato di qualcosa. Lo troviamo nella lettera ai Colossesi (Col 1,24) e poi in 4,14 dove Luca è detto «caro medico». La lettera è del 60, durante la prigionia a Roma. Paolo cita Luca anche come «collaboratore» (Fil 1,24). Anni dopo, carcerato in attesa della morte (67 d.C.), Paolo scrive a Timoteo (2Tim 4,11) che ormai tutti lo hanno abbandonato, meno uno: «solo Luca è con me». È l’ultima notizia che abbiamo dell’evangelista: se poco prima del martirio di Paolo gli è così fedele, perché non dovrebbe aver scritto nulla - sempre da cronista - delle vicende successive al 60? Infatti non dice niente già della morte di Giacomo a Gerusalemme (nel 61).
Evidentemente gli Atti così come li conosciamo a quel punto c’erano già e i Vangeli anche prima.