Love Jihad, le 4.000 “spose” forzate dell’islam violento
Sono ragazze cristiane o induiste: vengono abbordate da coetanei, che le rapiscono e le violentano. E dopo averle minacciate di pubblicare sui social il video dello stupro le costringono a convertirsi. Tutte vittime della Love Jihad, la “Guerra santa dell’amore” che sta sconvolgendo il Kerala. La Chiesa indiana denuncia il metodo di reclutamento dell’Isis, ma anche tra i cattolici ci sono progressisti che negano o minimizzano
Una passeggiata al parco con amici che si trasforma in un incubo senza fine. È quello che è successo a una studentessa cristiana diciannovenne di Kozhikode, città indiana del Kerala, dopo essersi fermata a bere un drink con la sua comitiva. Quel bicchiere è l'ultima immagine di una vita fino ad allora normale: uno dei suoi conoscenti, infatti, l'ha drogata, rapita, violentata e poi filmata a scopo di ricatto.
Per non pubblicare le immagini dello stupro sui social media, il violentatore ha posto una precisa condizione alla sua vittima: la conversione all'islam. Un anno dopo e nonostante la denuncia fatta alle autorità, non solo l'uomo non è stato arrestato ma il padre della studentessa è stato anche sollecitato dagli inquirenti a mettere da parte la sua sete di giustizia.
Nella sua indagine privata, però, il genitore ha scoperto che la figlia è solo una delle molte vittime del gruppo di fondamentalisti islamici a cui appartiene il suo stupratore. Quello di Kozhikode non è un isolato episodio di cronaca nera, ma uno dei tanti casi di un fenomeno in tragica espansione nel Kerala conosciuto con un ossimoro: Love Jihad.
I giornali indiani la chiamano “Guerra santa dell'amore”, ma - come dimostra questa vicenda appena raccontata - non c'è alcuna traccia di amore nella piaga che sta rovinando la vita a migliaia di giovani e alle loro famiglie. La Love Jihad è affiorata soltanto marginalmente sui media di casa nostra per raccontare le fughe più o meno volontarie di ragazze occidentali, spesso minorenni, sedotte via social da miliziani e propagandisti dell'Isis in grado di convincerle a trasferirsi per sempre in Siria o in Iraq. Vanno incontro ad un destino tragico: foreign fighters o schiave sessuali del Califfato, uccise barbaramente se si pentono della loro scelta, come accaduto a Samra Kesinovic, diciassettenne austriaca massacrata di botte in Siria perché cercava di tornare a Vienna.
Nel Kerala, però, il modus operandi dei fondamentalisti islamici non fa leva sull'imprudenza, ma sul senso di vergogna ancora radicato nella società indiana. Qui, infatti, la maggior parte dei casi della cosiddetta Love Jihad ha come vittime ragazze cristiane o induiste che vengono rapite e violentate e che, sotto ricatto, si sentono costrette ad abiurare la fede d'origine e a cedere a matrimoni forzati con lo stupratore musulmano. Una persecuzione religiosa dilagante perpetuata sul corpo delle donne che si regge sul senso di impunità alimentato dall'indifferenza delle autorità e delle comunità locali.
Molto spesso le stesse famiglie colpite da questa tragedia, a causa di un insano senso di vergogna difficile da sradicare in una società che conserva diffuse sacche di maschilismo, se ne fanno una ragione. Il padre della studentessa di Kozhikode, invece, ha avuto il coraggio di andare avanti da solo, ignorando gli inviti alla desistenza formulati dagli stessi inquirenti e, sempre da solo, ha scoperto che altre 52 giovani cristiane - tra cui altre sei studentesse universitarie - hanno subito le stesse ritorsioni per mano del gruppo jihadista a cui era legato lo stupratore di sua figlia.
Il fenomeno sta assumendo proporzioni preoccupanti in questa parte dell'India: la Conferenza episcopale del Kerala ha quantificato in oltre 4.000 i casi della cosiddetta Love Jihad avvenuti tra il 2005 e il 2012. Questi numeri sono da incrociare con quelli forniti dai report degli 007 dello Stato che attestano come tra il 2011 e il 2015 ci siano state 5.793 conversioni all'Islam, metà delle quali di donne che nel 76% dei casi hanno meno di 35 anni. Un boom di conversioni su cui potrebbe aver influito pesantemente la tragica diffusione della strategia criminale dei gruppi jihadisti locali ai danni delle ragazze cristiane e induiste.
Nell'ultimo anno la Chiesa cattolica indiana ha più volte cercato di sollevare l'attenzione sul problema: i vescovi siro-malabaresi hanno emanato una dichiarazione al termine del loro sinodo, denunciando quanto la cosiddetta Love Jihad stia “diventando una minaccia per l'armonia sociale e religiosa” nel Kerala e sottolineando come sia “un dato di fatto che le ragazze cristiane vengano prese di mira (...) molestate e (...) costrette a convertirsi minacciando di rendere pubbliche le immagini dell’abuso”.
Lo scorso gennaio nelle chiese siro-malabaresi è stata letta una lettera dell’arcivescovo maggiore, il cardinale George Alencherry, per aumentare la consapevolezza dei fedeli sul pericolo rappresentato dalla cosiddetta Guerra santa dell’amore, strumento scelto dalle “organizzazioni terroristiche come l’Isis” per “reclutare le ragazze cristiane”.
Tra i cattolici indiani, però, c’è chi nega l’esistenza del fenomeno: alcuni sacerdoti e gruppi considerati d’inclinazione progressista non hanno letto la lettera del cardinale e hanno invitato a non generalizzare i casi avvenuti per “distogliere l’attenzione della gente dall’occuparsi di altre questioni urgenti”. Una risposta indiretta a queste posizioni dissidenti è arrivata dal sinodo dei vescovi siro-malabaresi nel corso del quale è stato ricordato che “le statistiche mostrano che la Love Jihad non è un’illusione”. Basti una statistica tra tutte le altre fornite dall’intelligence nell'apposito report sul terrorismo: dei 21 foreign fighters partiti lo scorso anno dal Kerala, per trasferirsi nelle terre controllate in Siria dall'Isis, la metà sono giovani cristiane convertite all’islam.