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L'INTERVISTA

Lottieri: "Né lira, né euro. Era meglio l'oro"

Nel dibattito sulla valuta comune europea si rischia di perdere un concetto fondamentale: sia l'euro che la lira sono monete fiduciarie, emesse con criteri politici e non di mercato. Ma la moneta è sempre un mezzo di scambio. Intervista a Carlo Lottieri.

Economia 15_05_2014
Pesatura

Tutta la campagna elettorale per le Europee 2014 ha creato una principale linea di demarcazione: pro e contro l’euro. C’è chi non è d’accordo con alcuno dei due. Uno è il professor Carlo Lottieri, co-fondatore (assieme ad Alberto Mingardi e Carlo Stagnaro) del think tank Istituto Bruno Leoni e docente di Filosofia del diritto e Filosofia delle scienze sociali alla Facoltà di Teologia di Lugano e Dottrina dello Stato all’Università di Siena. In Italia è uno dei maggiori conoscitori della genesi e sviluppo dello Stato moderno. Di quel misconosciuto e delicato periodo, durato secoli, in cui l’Europa, con i suoi feudi, comuni, città libere e repubbliche marinare, venne trasformata gradualmente in un insieme di monarchie assolute prima e Stati nazionali unitari poi, fino ad arrivare all’unità continentale odierna. Un processo in cui l’unificazione monetaria ha svolto un ruolo determinante.

Professor Lottieri, l’euro, a suo avviso, è la causa della nostra crisi?
No, mi sembra evidente che la causa sia il nostro debito pubblico, non la valuta europea. In generale, la causa è il volume eccessivo di leggi sulla tassazione, la regolamentazione e la spesa pubblica che caratterizzano tutta l’Europa continentale, ma in particolar modo l’Italia. C’è un dibattito falsato su questi temi, perché si tende a spostare il discorso su fattori che non c’entrano, come l’euro appunto. Da una parte abbiamo gli euro-entusiasti acritici, dall’altra dei populisti che usano argomenti sbagliati e propongono politiche addirittura peggiori rispetto a quelle attuali.

La proposta degli anti-euro è quella di tornare alla lira. Ma la lira stessa non è eterna: la nostra ex valuta nazionale è nata da un processo di unificazione politica e valutaria, come l’euro…
Non solo. La lira, come le altre valute nazionali che noi conosciamo (compreso il dollaro), è il risultato della sottrazione della moneta da quello che era il suo ambito naturale, quello del mercato, per diventare una “fiat money”, una moneta fiduciaria, protetta politicamente dalla concorrenza (attraverso il corso legale, che dà monopolio di emissione a una sola banca centrale, ndr) il cui valore è sganciato da ogni bene fisico. Questo è un problema che riguarda sia la lira che l’euro e costituisce, attualmente, il più grande limite della valuta comune europea. Quelli che vogliono tornare alla lira, a cosa mirano? Non siamo in Germania e non abbiamo degli euroscettici che vogliono tornare al marco, cioè a una moneta solida e stabile. Da noi si vorrebbe tornare alla lira, al contrario, per inflazionarla, per usare la leva monetaria, per praticare una redistribuzione dagli attuali creditori ai debitori, (svalutando gli interessi, i primi ci perdono e i secondi devono pagare meno, ndr). Una proposta assurda che distruggerebbe la nostra economia.

Prima della lira e delle altre monete fiduciarie, come funzionava il mercato della moneta?
Storicamente parlando, l’Europa fu costruita da un sistema monetario che, nominalmente era plurale, ma in pratica era già unificato. C’erano tantissime monete, emesse da banche locali, in concorrenza fra loro, ma tutte queste corrispondevano a un determinato quantitativo d’oro. Sterlina, fiorino, corona, ducato e tutte le altre erano tutte, di fatto, monete d’oro. Non c’era alcuna banca centrale, nessuna possibilità, da parte di un governo, di usare la leva monetaria per prelevare risorse da alcuni e ridistribuirle ad altri, come invece avviene oggi. Contravvenendo la legge stessa, perché, in teoria, non si può modificare la tassazione senza una norma approvata dal parlamento, mentre in realtà le banche centrali operano redistribuzioni in continuazione tramite la svalutazione. Il cambiamento da un sistema all’altro, è avvenuto fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e penso sia il principale problema del capitalismo contemporaneo: gli scambi avvengono, non più con una moneta di mercato, valutata dalla legge della domanda e dell’offerta, ma con una moneta artificiale, il cui valore viene determinato anche dai governi con le loro politiche monetarie. La Banca d’Italia venne istituita nel 1893, ben dopo l’unificazione della Penisola. Lo scandalo della Banca Romana favorì questo processo di accentramento monetario. Le altre due banche emittenti (Banco di Napoli e Banco di Sicilia) vennero spogliate della facoltà di emissione solo nel 1926. Non era un percorso inevitabile. È la concorrenza che garantisce al meglio la tenuta di un sistema economico. Anche in tempi più remoti, in Scozia, vi era completa libertà di emissione, il free banking. Nacquero spontaneamente meccanismi di compensazione fra le banche: chi sgarrava abusando del proprio potere di emissione veniva espulso dal mercato. Il controllo progressivo sulla moneta è uno prodotto dello Stato moderno e della sua volontà accentratrice. E non si è trattato di un percorso facile, né breve. Ma oggi lo si può considerare un fatto compiuto.

Non c’è alternativa al monopolio statale sulla moneta?
Per ora no. A meno che il cambiamento tecnologico non faccia emergere altri sistemi monetari, come la valuta virtuale, sganciata da ogni banca centrale. Ma si tratta ancora di fenomeni marginali.

Eppure i critici dell’euro accusano la Bce di essere un’istituzione privata e tesa a garantire interessi privati …
Lo si diceva anche per la Banca d’Italia prima dell’introduzione dell’euro. Ma è un malinteso: non conta chi sia il detentore delle quote azionarie delle banche centrali, quanto il corso legale. Se io non posso fondare una mia banca che emette monete, non posso entrare in quel mercato perché una legge me lo vieta, dunque non posso essere in competizione con la Bce … vuol dire che la Bce è, a tutti gli effetti, un ente monopolista pubblico. La moneta che emette la banca europea è fiduciaria, nel senso che non si aggancia al valore di alcun bene fisico, come poteva essere l’oro in passato. L’euro nasce da una decisione politica presa dai governi degli Stati nazionali europei, con un obiettivo politico ben preciso: l’euro fu adottato come strumento di unificazione continentale. È difficile capire cosa si trovi di “privato” in tutto questo.

Chi vuole la “sovranità monetaria” ritiene che la nuova lira possa corrispondere maggiormente alle esigenze del popolo …
Abbiamo già visto come (non) funziona questo modello. Dal 1960 ad oggi, la lira ha perso il 95% del proprio valore. Chi avesse messo da parte 10mila lire nel 1960, corrispondenti a circa 100 euro attuali, oggi, a parità di potere di acquisto, si ritroverebbe con 5 euro in tasca. Questo è il prodotto di 50 anni di cosiddetta “sovranità monetaria”. Coloro che la rivogliono, dicono esplicitamente di voler svalutare la moneta: proseguire con la stessa politica della Banca d’Italia, probabilmente peggiorandola.

Lei è ottimista sul futuro dell’euro?
No, credo che sarà rapidamente distrutto dal problema dei debiti pubblici degli Stati che non rispettano i parametri. Per cercare di risolvere il problema, si ricorrerà anche a livello europeo, alla leva monetaria. La Bce ha già iniziato da anni a stampare più moneta e a svalutare. Oggi non vediamo molto l’inflazione, perché è mascherata dal crollo dei prezzi dei beni provenienti da Paesi in via di sviluppo, come la Cina. Ma in futuro credo che il suo impatto sarà ancora maggiore.