Lotta contro la burocrazia: il governo ci prova
Tutti i governi ci provano, nessuno ci riesce. Ora la sfida la raccoglie anche Renzi. E’ la battaglia più difficile: quella di sconfiggere l’elefantiasi burocratica che tarpa le ali allo sviluppo industriale e all’esecuzione delle opere pubbliche. Secondo la Cgia costa di più l'inefficienza della pubblica amministrazione che l'evasione.
Tutti i governi ci provano, nessuno ci riesce. Ora la sfida la raccoglie anche Renzi. E’ la battaglia più difficile: quella di sconfiggere l’elefantiasi burocratica che tarpa le ali allo sviluppo industriale e all’esecuzione delle opere pubbliche e rallenta i ritmi dell’innovazione della pubblica amministrazione.
D’altra parte la Cgia di Mestre ha snocciolato cifre assai eloquenti: gli effetti economici derivanti dall’inefficienza della pubblica amministrazione sono superiori al mancato gettito dell’evasione fiscale, che pure sottrae tra i 90 e i 120 miliardi di euro alle casse dello Stato. Inoltre, il peso della burocrazia grava sul sistema delle piccole e medie imprese per 31 miliardi all’anno.
Altri dati elaborati dal Dipartimento per le politiche di sviluppo (Dps) aggravano il quadro: ci vogliono in media quattordici anni e sette mesi per realizzare una grande infrastruttura. Sul piano settoriale, sono le infrastrutture di trasporto diverse dalle strade a richiedere i tempi più lunghi. La regione più “lenta” è la Sicilia, la più “rapida” è l’Emilia Romagna. La realizzazione di una grande opera sconta il 60% di tempi morti di ordinaria burocrazia nei passaggi per progettare e approvare l’opera e portarla fino al cantiere. Il che incide sui costi e sulla valorizzazione economica dell’opera stessa, oltre che sulla competitività del “sistema Italia”.
Questo conferma che, al di là della diffusa corruzione e del malaffare che si annida negli apparati istituzionali, c’è un problema sostanziale di ingranaggi appesantiti, che frenano i processi decisionali e disarmano financo le volontà più tenaci.
Venerdì prossimo dovrebbe arrivare in Consiglio dei Ministri il regolamento di delegificazione, insieme con una prima serie di altri decreti attuativi dell’articolo 4 della delega Madia. Obiettivo del provvedimento è quello di portare da 180 a 90 giorni i tempi per la concessione di un’autorizzazione o una licenza industriale, specie in presenza di un grande impianto che risulti strategico per l’impatto economico o occupazionale. In che modo? Anzitutto mettendo fretta ai decisori. Regione e Comune dovranno stilare all’inizio dell’anno una lista dei progetti ritenuti prioritari, che potrà essere arricchita da Palazzo Chigi con l’inserimento di altri progetti. Quindi verrà pubblicato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dpcm), che riduce i tempi dei procedimenti amministrativi per la realizzazione di una infrastruttura. Per autorizzazioni e adempimenti vari verrà impiegata la metà del tempo rispetto ad oggi. La Presidenza del Consiglio, in caso di mancato rispetto di questi termini abbreviati, potrà esercitare poteri sostitutivi e accelerare le procedure. Inoltre, l’eventuale conferenza dei servizi, sempre in un’ottica di compressione dei tempi, si svolgerà senza riunioni fisiche ma solo con l’invio per posta elettronica dei documenti necessari per esaminare un procedimento amministrativo che vede coinvolti più soggetti pubblici. La decisione sulla realizzazione dell’opera arriverà entro 60 giorni. Per le pubbliche amministrazioni che non si esprimeranno, varrà il silenzio-assenso.
Ma i precedenti pesano e lo scetticismo su questa ennesima iniziativa di massiccia sburocratizzazione delle funzioni pubbliche e di semplificazione del rapporto Stato-imprese è più che legittimo. Già la legge obiettivo del 2001, varata all’epoca del governo Berlusconi più longevo della storia d’Italia, fallì su questo terreno. E neppure il decreto “sblocca Italia” dell’agosto 2014 è sin qui riuscito a smuovere le acque e a imprimere una svolta alla materia.
Le difficoltà, infatti, non possono essere rimosse con semplici provvedimenti legislativi. La nostra macchina statale risulta ancora imperniata su strutture obsolete e su risorse umane spesso pletoriche. Il processo legislativo dagli anni sessanta in poi ha prodotto duplicazioni di ruoli, sovrapposizioni di competenze, equivoci e malintesi nel rapporto tra cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. Non c’è mai stato un vero riordino di funzioni ispirato a criteri di efficienza e managerialità. Le logiche clientelari hanno guidato sottilmente tutte le trasformazioni, ponendo serie ipoteche sulla crescita della nostra economia pubblica. Ora i nodi sono venuti al pettine e stiamo scontando le colpe di quelle scelte miopi. La semplificazione e il riassetto della pubblica amministrazione rappresentano un tassello importante per restituire fiducia alle imprese e per rilanciare lo sviluppo del Paese.
Ai cittadini interessa certamente molto di più questa riforma che non quella dell’abolizione del Senato elettivo. E Renzi lo sa.