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MONDO ARABO

Lotta al jihadismo, la speranza viene dalla Tunisia

Tre bombe sono esplose al Cairo provocando 29 feriti, in Tunisia smantellata una cellula dell'Isis. L'allarme terrorismo è sempre altissimo. Ma in Tunisia scatta la reazione di un migliaio di intellettuali che lanciano un manifesto per contrastare il terrorismo.
- IL MANIFESTO DI TUNISI

Esteri 21_08_2015
Intellettuali tunisini contro il terrorismo

Escalation di terrorismo sulla costa meridionale del Mediterraneo. All’indomani dell’approvazione delle nuove norme anti-jihadiste in Egitto, l'altra notte tre bombe sono esplose al Cairo, colpendo una sede della Sicurezza di Stato e un tribunale nel distretto settentrionale di Shubra el Kheima. L’attentato, rivendicato da un gruppo che si auto-definisce “black block” è, molto probabilmente, opera dell’Isis. Gli stessi jihadisti fedeli al Califfo affermano di essere “penetrati nel cuore del Cairo” e di “aver vendicato i martiri”. Il bilancio provvisorio è di 29 feriti. Continua ad essere alta anche l’allerta terrorismo in Tunisia, dove la Guardia Nazionale ha scoperto e smantellato una cellula dell’Isis a Biserta, ad appena 50 km da Tunisi. (S.M.) 

«Siamo in stato di guerra, ma non ci fermeremo e non smetteremo di pensare. La Tunisia è in pericolo. Dobbiamo salvare la Tunisia». Così Habib Kazdaghli - coraggioso rettore dell’Università della Manouba a Tunisi che nel 2011 ha tenuto testa ai salafiti che si erano violentemente opposti al regolamento dell’ateneo che vietava l’ingresso alle donne in niqab – ha aperto il 12 agosto scorso il Congresso degli Intellettuali Tunisini contro il Terrorismo. Un evento che ha visto radunarsi al Palazzo dei congressi di Tunisi più di mille intellettuali, professionisti e giovani per presentare un manifesto e un primo rapporto contenente proposte per potere arginare l’avanzata del terrorismo nel paese.

Un evento straordinario che vuole essere una risposta propositiva e positiva ai recenti attentati terroristici nel paese, ai circa cinquemila giovani tunisini partiti alla volta della Siria e dell’Iraq, a più di tremila vittime nel periodo post-rivoluzionario, agli attentati politici che hanno ucciso attivisti, avvocati, membri della società civile. 

Non sono state usate mezze parole, non si è cercato di occultare i problemi, non si è evitata l’autocritica e un mea di culpa da parte di chi viene spesso accusato di vivere in una “torre d’avorio”. 

Il poeta tunisino Sghaier Ouled Ahmed ha ribadito che «da sempre il terrorismo è insito nei testi letterari, religiosi o di legge», ma soprattutto ha ricordato la pericolosità di chi nel mondo musulmano condanna di apostasia intellettuali e politici - come è stato il caso in Egitto dell’intellettuale Farag Foda – e non solo, ma ha anche sottolineato che la condanna dell’accusa di apostasia nella nuova Costituzione tunisina non è sufficiente per arginare il terrorismo.

Il rapporto presentato è chiaro: «Lo Stato dovrà continuare a controllare le moschee affinché non si trasformino in luoghi di reclutamento o di addestramento per terroristi o magazzini per munizioni». Si chiede inoltre allo Stato di applicare la legge contro le scuole coraniche al fine di arginare l’islam “straniero” di matrice wahhabita, ma soprattutto si ribadisce che «tutte queste misure non saranno sufficienti così come impregnarsi dell’islam moderato della scuola malechita non risolverà il problema fino a quando i religiosi non prenderanno in considerazione le riflessioni di Tahar Haddad, Mohamed Talbi e altri intellettuali su come conciliare la fede, l’uguaglianza e la libertà».

L’appello è quello di ritrovare l’islam tunisino, la memoria storica di una nazione che ha sempre trovato negli intellettuali illuminati, in una vivace società civile gli antidoti migliori a ogni estremismo. Sin dai primi mesi della transizione la Tunisia ha infatti assistito non solo il rientro e la riammissione nell’arena politica e sociale del partito Ennahdha, ideologicamente legato ai Fratelli musulmani, ma ha anche visto comparire investitori stranieri, tra cui il Qatar che negli ultimi dieci anni è stato il principale finanziatore della Fratellanza. Tutto questo ha portato a un’ondata d’islam “straniero”, d’importazione che mal si concilia con la tradizione del paese. Anche a questo riguardo il rapporto è esplicito: 

«Le dottrine dei Fratelli musulmani, del salafismo wahhabita e jihadista rappresentano la trinità fondante del terrorismo islamico globalizzato. L'attrazione di quest’ultimo è il risultato della combinazione di tre fenomeni che influenzano fortemente l'immaginario collettivo disinformato: la religione, l’ideologia e l’utopia. La religione si trasforma quindi in un’ideologia politica che mira a cambiare le società arabe e musulmane con la violenza, qualora possibile e necessario.
L’apparato "teorico" della dottrina poggia le fondamenta sulla decontestualizzazione e sull’anacronismo (applicazione delle norme emanate contro i non-musulmani in un’altra epoca), sull'assenza di sforzo interpretativo e ijtihad, sull’esclusione e sulla totale mancanza di rispetto per l'umanità. I concetti principali che compongono questa ideologia sono i seguenti: la condanna di apostasia (takfir), il jihad, il califfato (khilafa)... […] Tutte queste nozioni sono state riattivate dopo il 2011 in una recrudescenza di violenza e attrazione di adepti che impone di tornare a riflettere sulle condizioni oggettive che hanno permesso un salto qualitativo alla violenza. La Tunisia è sprofondata in questa situazione perché alcuni fattori culturali, politici, economici favoriscono la produzione e la diffusione di una cultura terrorista».

Il 12 agosto più di mille tunisini si sono impegnati ad offrire il proprio apporto al paese che il 25 luglio scorso ha varato una nuova legge anti-terrorismo che mira alla repressione più che alla prevenzione, alla politica a breve termine più che a strategie a lungo termine. Il rapporto, che rappresenta solo un atto iniziale della lunga lotta al terrorismo, presenta invece riflessioni che vogliono prosciugare il terreno fertile del terrorismo e coinvolgere la gioventù tunisina per stimolare una maggior responsabilità civile, ma soprattutto proporre nuovi curricula scolastici volti a «circondare di bellezza la gioventù» per allontanarla dall’orrore delle ideologiche terroristiche. 

Una prima risposta dal governo è giunta il giorno successivo. Il 13 agosto - festa nazionale della donna in cui si celebra anche il Codice dello Statuto personale tunisino del 1956 che, in una interpretazione aperta e riformata dell’islam, ha conferito alla donna tunisina molti diritti che sono negati nel resto del mondo islamico – il presidente Beji Caid Essebsi ha annunciato le seguenti misure che andranno a tutelare maggiormente la donna: la parità salariale tra uomini e donne, la concessione alla donna dell’affido dei figli minori, il divieto a chiunque di imporre il velo alle bambine alla scuola dell’infanzia. Non solo, il presidente ha anche nominato tre attiviste tunisine come ambasciatrici e custodi del CEDAW (Convention for the Elimination of Discrimination Against Women) delle Nazioni Unite. 

Il Congresso degli intellettuali tunisini e le decisioni di Essebsi rappresentano la migliore risposta sia agli attentati del Bardo e di Hammam Sousse, sia al partito Ennahdha che è stato più volte arginato nei suoi tentativi di mescolare islam e politica sia dalla società civile che dalle donne. L’eccezione tunisina sta lottando per mantenere la propria identità e per salvaguardare con tutti mezzi la tanto agognata libertà, ma non vuole rinunciare ai propri attori principali, ovverosia gli intellettuali e le donne. Il 12 agosto mille intellettuali hanno detto chiaramente che non vogliono tornare indietro e che non lasceranno alcuno spazio alle ideologie estremiste, da quelle più moderate a quelle jihadiste, che vogliono la morte civile e intellettuale del paese, della sua gioventù e delle sue donne. 

 - IL MANIFESTO DI TUNISI