Lorrain. Il pittore che ispirò Corrêa de Oliveira
Viaggio nella mostra parigina dedicata al maestro seicentesco del "paesaggio ideale" che diede forma all'anelito umano alla perfezione divina.
Dal 21 aprile al 18 luglio 2011 è in corso al Louvre, a Parigi, l’esposizione Claude Lorrain. Il disegnatore davanti alla natura, organizzata insieme dal museo parigino e dal museo Teyler di Haarlem, nei Paesi Bassi. Come si ricava dal titolo, la mostra intende presentare soprattutto disegni, per comprendere la cui importanza nell’arte di Lorrain sono esposte anche alcune incisioni e dipinti. Claude Lorrain, o più esattamente Claude Gellée detto le Lorrain, "il Lorenese" (1600-1682), è ormai considerato uno dei più grandi pittori del Seicento, e ha raggiunto in Francia quel grado di gloria che corrisponde all’essere indicato in molti testi semplicemente come "Claude", così come quando in Italia si parla di "Raffaello" o di "Leonardo" non è necessario indicare il cognome per capire a chi ci si riferisca. Lorenese nato a Chamagne, presso Épinal, Claude si formò come artista a Roma, dove giunse a sedici anni. Nella Città Eterna trascorse la maggior parte della sua vita, molti dei suoi dipinti raffigurano la campagna romana, e a Roma volle essere sepolto, nella chiesa di Trinità dei Monti.
L’esposizione parigina mostra anche alcuni disegni in cui a margine della campagna romana - specialmente nella zona di Tivoli - è raffigurato qualcuno che disegna: forse un personaggio ideale, forse l’artista stesso. Ma la vera domanda è che cosa stia disegnando. Lorrain, infatti, è il maestro del paesaggio ideale, e come tale è passato alla storia. I suoi paesaggi sono disegnati prima - e dipinti poi, perché spesso a un disegno corrisponde un dipinto identico o simile - con grande ricchezza di particolari. E tuttavia non si troverà mai un paesaggio che corrisponda esattamente a un disegno di Lorrain. Sempre l’artista "migliora" il paesaggio. Non lo dipinge com’è ma come "dovrebbe" essere se corrispondesse a un’ideale di perfezione che Claude trova dentro di sé.
Non manca mai - come recita il catalogo della mostra parigina - un «ancoraggio nella realtà». E tuttavia anche gli schizzi del porto di Civitavecchia per un dipinto commissionato a Claude da Papa Urbano VIII (1568-1644) non corrispondono esattamente al porto com’era nel Seicento. Così pure, la mostra insiste sulla straordinaria capacità dell’artista di fare stagliare ogni paesaggio su una luce particolare: il mezzogiorno, l’alba, il tramonto. Ma anche queste luci non sono riproduzioni - oggi diremmo "fotografiche" - di qualche cosa che il pittore abbia potuto osservare in natura.
Quelle di Lorrain sono dunque, come recita ancora il catalogo, «dichiarazioni di poetica» e «invenzioni della mente», senza però mai essere pure fantasie. Rappresentano un ordine idealmente perfetto, che non dovrebbe essere turbato e che resta «imperturbabile» nel disegno, anche se Claude è consapevole che questo stato beato raramente s’incontra nella vita reale. Vi è qui una sorta di riaffermazione di un primato della ragione che non accetta il disordine, che pure non può impedirsi di vedere.
Pochi sanno che la pittura di Lorrain ha esercitato un’interessante influenza sulla teoria estetica - e non solo - del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), di cui ci siamo occupati in altre occasioni su La Bussola Quotidiana e che esercita una crescente influenza in Italia. Per comprendere la relazione tra Lorrain e Corrêa de Oliveira si deve partire dalla riflessione del pensatore brasiliano sul «mondo dei possibili» e su aspetti non necessariamente facili della metafisica. Ogni realtà è in potenza prima di essere in atto. Il mondo dei possibili è infinito, e solo pochi possibili passano dalla potenza all’atto. Quando si apprende a meditare sul mondo dei possibili si finisce per comprendere che solo Dio può completamente dominarlo nell’atto creatore.
Brasiliano, cioè cittadino di un Paese dove ci sono molti discendenti d’immigrati giapponesi, Corrêa de Oliveira torna per esempio spesso a meditare su quello che definisce «il cono più bello del mondo che è un cono che non esiste»: la punta del monte Fujiyama, in Giappone, che sembra mancare così che la celebre montagna sembra quasi un’opera incompiuta. «Lo charme del Fujiyama sta tutto nel non avere questa punta, che si può soltanto immaginare»: e questa zona di possibilità ci dà una lezione di metafisica, ci evoca quella zona dove le possibilità sono colte nell’atto di trasformarsi in realtà, la «zona in cui l’uomo deve dimorare mentalmente per avvicinarsi a Dio». Un discorso analogo di Corrêa de Oliveira riguarda le torri della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, rimaste incompiute e che «nessuno ha osato completare». Ma, afferma, «l’edificio ci dice qualche cosa di queste torri che non esistono perché nulla di quanto cerchiamo d’immaginare ci soddisfa, a causa di un modello che esiste notturnamente nel nostro spirito e che ci entusiasma. E l’entusiasmo per qualche cosa che possiamo conoscere solo per via negativa ci dà come una scintilla dell’Assoluto».
Parlando di Claude Lorrain, in un discorso del 1977 il pensatore brasiliano spiega che talora «egli compone una città che non esiste, giustapponendo cose che o esistono senza connessioni fra loro o non esistono del tutto». «I quadri di Claude Lorrain dicono relazione al fatto che, tra le bellezze della natura, ve ne sono alcune che sono proporzionate all’ordine naturale in cui viviamo, ma altre sono così magnifiche da avere qualche cosa di sproporzionato rispetto a quest’ordine. Sono così splendide che ci fanno pensare a un altro universo, a un mondo che può presentarsi a noi come irreale, come inesistente, ma verso il quale la nostra anima s’inclina in modo irresistibile».
«Ma la sua grande arte - afferma ancora Corrêa de Oliveira del Lorrain - consisteva nel dipingere i suoi quadri in una luce dorata proveniente da un sole dorato, che ci dà l’impressione di un’aria leggerissima, un’atmosfera irreale, tanto diversa dall’inquinamento delle megalopoli moderne Queste scene comunicano l’impressione che l’uomo lì vive in una specie di vita superiore, diafana, gradevole, tutta pervasa da un’ideale che viene dal sole o dal cielo: e la persona si sente un po’ come se abitasse nel sole. L’uomo che contempla certi quadri di Claude Lorrain non può evitare di sentire che il pittore o si trova mentalmente nelle frange del sole, nei primi raggi dorati del sole già accessibili all’uomo, oppure in una regione tanto eterea e tanto delicata che lì possono giungere alcune luci solari senza essere così esattamente dorate come quelle del sole».
Come i curatori della mostra parigina, il pensatore brasiliano notava il carattere d’imperturbabilità della natura rappresentata da Claude. «In questi quadri di Lorrain non c’è nulla di tormentato: non c’è vento, neppure una lieve brezza. I personaggi si muovono senza disordine, con maestà, con distinzione o semplicemente con naturalezza. E gli alberi se ne stanno, per così dire, ben fermi nell’aria, come se dicessero: ho raggiunto il punto perfetto del mio benessere e qui neppure il vento mi disturba o mi scuote. Vegeto, ma vegeto con una specie d’intelligenza che va al di là del vegetale. Si direbbe che l’albero senta la delizia dell’aria in cui si trova, e che l’aria circondi l’albero di piaceri cui pure esso è insensibile per natura. E in tutto questo si realizza il passaggio dell’uomo all’interno del meraviglioso».
L’ordine perfetto non potrebbe trovarsi in nessuna rappresentazione soltanto naturalistica. Non esiste più nella natura, dopo il peccato originale. A rigore, non esiste neppure nell’arte perché nessun artista è Dio. Tuttavia - come dimostrano le riflessioni che seppe ispirare a Corrêa de Oliveira - l’arte del paesaggio immaginario di Claude Lorrain rivela in modo eminente l’aspirazione dell’animo umano a questa perfezione dell’ordine, che trova solo nella sfera del possibile. In un mondo immerso nel disordine, questa aspirazione diventa ancora più importante.