L'Ordine dei Giornalisti ha un problema di credibilità
Le dimissioni di Vittorio Feltri dall'Ordine dei Giornalisti riaprono il vecchio dibattito: l'Ordine serve? Il problema vero è di credibilità. Se Feltri era passibile di azioni disciplinari per violazione della deontologia, che dire dei giornalisti coinvolti nel caso Palamara? E in quelli che usano i social come sfogatoio del loro odio politico?
Vittorio Feltri ha perso la pazienza. Dicendosi stufo dei processi disciplinari ai quali il Consiglio di disciplina dei giornalisti vorrebbe sottoporlo, getta la spugna e si dimette dall’Ordine. Non sarà più iscritto nell’elenco dei giornalisti professionisti. Potrà continuare a scrivere sui giornali come libero cittadino, ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione.
La notizia è stata ovviamente accompagnata da molte reazioni. Il Presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Verna chiarisce: «La richiesta di dimissioni di Vittorio Feltri dall’Ordine dei Giornalisti è stata presentata al Consiglio dell’Ordine della Lombardia. Avremmo preferito accompagnarlo su una strada di maggior attenzione alle norme della professione. Oltre alle numerose azioni disciplinari in corso nei suoi confronti, recentemente il Consiglio nazionale dell’Ordine ha dato mandato legale per valutare un eventuale danno di immagine all’intera categoria causato da alcune sue ripetute e circostanziate esternazioni. Una volta al di fuori della categoria Feltri potrà tranquillamente continuare ad esprimere liberamente le sue opinioni come prevede l’Articolo 21 della Costituzione. E’ ovvio che la responsabilità di quello che scriverà si sposta sui direttori responsabili delle testate che lo ospiteranno; come avviene per i tantissimi non giornalisti che ogni giorno, sulla carta stampata o in Tv, esprimono liberamente le proprie idee».
Ieri è stato Alessandro Sallusti, dalle colonne de Il Giornale, ad annunciare la decisione del suo collega, direttore editoriale del quotidiano Libero. Sallusti parla di accanimento nei riguardi di Feltri e giustifica pienamente la sua decisione di uscire da un Ordine che definisce un retaggio fascista, una sorta di soviet di sinistra per controllare la libertà d’informazione.
La vicenda Feltri, in realtà, non può essere riletta con le lenti deformanti di una ideologia ma va inquadrata nel contesto che le è proprio: quello delle presunte violazioni deontologiche che il direttore editoriale di Libero avrebbe commesso. Si può condividere o meno ciò che scrive Feltri, ma non si può negare che lui sia stato per decenni un grande giornalista, col fiuto della notizia e con una straordinaria capacità di parlare alla pancia degli italiani. I risultati gli hanno per lungo tempo dato ragione, fin dalla fine degli anni Ottanta, quando alla direzione del settimanale L’Europeo e in altre testate riuscì a realizzare veri e propri miracoli editoriali in termini di vendite. E quando prese il posto di Indro Montanelli alla guida de Il Giornale, chiamato direttamente dalla famiglia Berlusconi, seppe potenziare in modo rilevante la diffusione di quel quotidiano. Ma sul Feltri degli ultimi anni le riserve appaiono quanto meno lecite. Il linguaggio scurrile e volgare, alcuni giudizi discutibili e a volte discriminatori hanno ben presto fatto cambiare idea a molti sulla figura di quel direttore, che è presto diventato bersaglio di feroci attacchi da parte della categoria dei giornalisti. Ora l’Ordine dei giornalisti della Lombardia valuterà la sua richiesta di dimissioni.
C’è da scommettere che la vicenda rinfocolerà le polemiche sull’utilità dell’Ordine e sul suo equilibrio nel valutare le situazioni. Sicuramente le dimissioni di Feltri non sono «una vittoria del Presidente nazionale Carlo Verna, dell’Ordine della Campania, che ha presentato il primo esposto, una vittoria per l’informazione pulita, per Napoli e la Campania», come inopportunamente ha sostenuto Ottavio Lucarelli, Presidente dell'Ordine dei giornalisti della Campania sul proprio profilo Facebook. Non ci sono vincitori quando un collega si dimette. È sempre una sconfitta per i giornalisti perdere un direttore che ha a lungo dominato la scena editoriale e al quale per decenni migliaia di giornalisti e aspiranti giornalisti hanno inviato il loro curriculum, nella speranza di poter avere una chance di lavorare con lui (e per lui).
È vero che l’Ordine dei giornalisti non è nato in epoca fascista, come erroneamente ha scritto Sallusti nel suo editoriale di ieri, bensì negli anni Sessanta, come elemento di certificazione dell’informazione professionale e presidio del diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. È altrettanto innegabile, però, che quell’ente di diritto pubblico non economico (si qualifica tale nell’ordinamento giuridico) abbia nel tempo dimostrato i suoi limiti organizzativi e, nonostante i lodevoli sforzi di tanti suoi rappresentanti, non sia riuscito ad autoriformarsi compiutamente, perdendo anche molta credibilità agli occhi dei suoi stessi iscritti, che non a caso disertano le elezioni per il rinnovo dei consigli regionali e del consiglio nazionale, ritenendole irrilevanti per le sorti della categoria, e boicottano i corsi di aggiornamento (peraltro obbligatori), considerandoli spesso inadeguati e faziosi.
Con una legge del 2012 l’Ordine dei giornalisti e altri Ordini professionali hanno perso la competenza disciplinare, da quel momento affidata ai consigli di disciplina, ma non il potere di sollecitare e stimolare questi organismi ad occuparsi di iscritti che pongano in essere condotte di dubbia correttezza sul piano deontologico. Per riacquistare la credibilità perduta l’Ordine dovrebbe anzitutto essere più vigile e imparziale nella segnalazione di situazioni in grado di compromettere la dignità e il decoro della professione giornalistica. Rispetto ai contenuti di molti scritti di Vittorio Feltri sussistono fortissimi dubbi circa la loro conformità ai principi deontologici. È lecito che l’Ordine sollevi il problema ed è altrettanto lecito che il Consiglio di disciplina territoriale competente, in questo caso quello lombardo, approfondisca, anche in vista dell’eventuale applicazione delle sanzioni previste dalla legge istitutiva dell’Ordine, del 1963, che possono arrivare fino alla radiazione dell’iscritto. Ma esistono tantissime altre situazioni che meriterebbero di essere attenzionate dai vertici dell’Ordine nazionale. Ad esempio, si sta dando seguito sul piano disciplinare alle atroci scoperte di rapporti quanto meno equivoci tra importanti magistrati come Luca Palamara e firme di primo piano dei principali quotidiani nazionali? Non si tratta di condotte che, se verificate, integrerebbero gli estremi di gravi illeciti disciplinari?
E che dire dei giornalisti che apertamente assumono posizioni politiche che fanno dubitare fin da subito della loro neutralità rispetto agli eventi che raccontano? Una riflessione andrebbe anche fatta sui giornalisti che si rendono complici, quando non promotori, di veri e propri processi mediatici, trasformando in colpevoli semplici imputati ancora prima della sentenza. Esiste da undici anni un Codice di autoregolamentazione sulla rappresentazione delle vicende giudiziarie in Tv e all’art.8 del Testo unico dei doveri del giornalista si fa esplicito divieto ai giornalisti di trasformare gli studi televisivi in aule di tribunale. Eppure succede spessissimo, e l’Ordine dei giornalisti non se ne occupa.
Infine il tema dei social. Feltri sarà stato offensivo in varie sue esternazioni, ma quanti giornalisti ogni giorno usano i propri profili social come sfogatoi delle loro pulsioni individuali, senza freni inibitori, ledendo la dignità di tanti colleghi o diffamando testate nelle quali lavorano giornalisti corretti e disciplinati? Eppure l’art.2 del Testo unico dei doveri del giornalista lo vieta esplicitamente.
La coerenza deontologica deve fare la differenza tra l’informazione di qualità e l’informazione spazzatura. Ciascun giornalista, prima di giudicare gli altri, faccia un serio esame di coscienza ed eviti di cercare a tutti i costi un capro espiatorio per non mettersi in discussione.