L'opposizione a Renzi va fatta, ma nella società
Politicamente parlando, non c'è alcuna alternativa a Matteo Renzi. Due correnti della Dc si contendono il controllo dell'ex Pci. Almeno Renzi rappresenta la più moderna delle due. Dall'altra parte il centro-destra è allo sbando. Entrare nel Pd, allora, come Mario Adinolfi? No, l'opposizione serve, ma nella società, non nei partiti.
Ieri il governo Renzi ha superato l’ostacolo del primo dei tre voti di fiducia che ha deciso di porre sull’”Italicum”, la legge elettorale pensata per garantire all’attuale premier un lungo futuro politico. Gli altri due voti analoghi sono in programma oggi. Ieri 38 deputati del PD ostili alla linea di Renzi non hanno partecipato alla votazione; tra questi Bersani, Rosy Bindi, Civati, Cuperlo. Oggi dovrebbe accadere lo stesso. Grazie al “premio di maggioranza” alla Camera il PD dispone tuttavia di un numero tale di seggi che 38 assenti non bastano a metterlo in crisi. Pertanto anche oggi l’”Italicum” dovrebbe continuare a procedere verso l’approvazione definitiva. Si tratta, come già abbiamo ricordato, di una risposta cattiva, perché pericolosa per la democrazia, a un problema reale, quello della stabilità del governo. Un problema al quale si sarebbe potuto dare una risposta diversa, ma così non è stato.
Da abilissimo politico quale è Renzi ha giocato drammatizzandola la carta della fiducia ben sapendo che al momento a lui non c’è alternativa né dentro né fuori del suo schieramento. Da ottimo giocatore ha fatto finta di rischiare tutto quando sapeva di non rischiare nulla o quasi. E se oggi continuerà a vincere, come è praticamente certo, uscirà dalla vicenda ancora più insostituibile (per adesso) di quanto fosse prima.
Un fantasma si aggira nel Pd, diremo parafrasando il celebre inizio del “Manifesto del Partito Comunista” di Marx e Engels. Non è però il Pci ma la Democrazia Cristiana. All’ombra del contrasto tra Renzi e la vecchia guardia del suo partito stanno infatti facendo la loro ricomparsa, per ora dietro le quinte, Romano Prodi e Enrico Letta. Qualcuno potrebbe osservare che il primo non è più parlamentare e che il secondo ha recentemente annunciato le proprie dimissioni (anche se per il momento è ancora in carica). Non sono più i tempi tuttavia nei quali la presenza in Parlamento era per i leader politici un requisito indispensabile. Oggi anzi è il contrario: da Renzi a Berlusconi, a Grillo tutti quelli che più contano ne stanno fuori. Perciò le annunciate dimissioni di Letta da deputato significano esattamente il contrario di quanto un tempo avrebbero voluto dire. Renzi non ha fatto in tempo a essere democristiano per motivi anagrafici, ma della sinistra Dc è un evidente erede; Prodi e Letta provengono dall’esperienza avviata dentro la Democrazia Cristiana da Beniamino Andreatta, di cui il giovane Letta fu segretario.
Per uno di quei paradossi di cui la vita pubblica italiana non è avara la battaglia per il controllo del partito erede del vecchio Pci rischia ancora una volta di giocarsi tra post-democristiani. Il Partito Democratico nasce dalla confluenza tra il vecchio Partito Comunista Italiano e le correnti della sinistra democristiana. Entrate nella nuova forza politica come una componente minoritaria, sorprendentemente questi gruppi ne costituiscono ormai saldamente il vertice, al punto che possono addirittura permettersi il lusso di uno scontro interno. Con tutta la poca sintonia che abbiamo con Renzi e con il suo progetto statalista e tendenzialmente neo-autoritario, nella deprecata ipotesi di uno scontro tra Prodi e Letta da una parte e Renzi dall’altra a nostro avviso, nonostante tutto, varrebbe la pena di tifare per Renzi. Meglio infatti qualcuno che almeno è contemporaneo al tempo in cui viviamo.
Aggiungendosi allo stato di sbando generale in cui si trova l’area del centro-destra, questa mesta conclusione ci dà tuttavia molto bene l’idea della situazione nella quale ci troviamo. Nel futuro prevedibile a Renzi non c’è alcuna alternativa in sede politica, il che equivale a dire che, oggi come oggi, nella sfera delle istituzioni non c’è spazio alcuno per una presenza di qualche significato per chi abbia a cuore ciò che abbiamo a cuore noi. Tanti auguri a Mario Adinolfi e alla sua scelta di fare la sua battaglia dentro il Pd o comunque per aprirsi un varco nel Pd. Adinolfi e il suo giornale-movimento La Croce costituiscono una novità importante e positiva in quanto a chiarezza di giudizio in tante cose e in quanto a efficacia nel raggiungere e trovare ascolto in ambienti che difficilmente altri potrebbero raggiungere. Restano però una vicenda interna ad un’area che va a tutta forza da un’altra parte; che quindi ha senso solo per chi per storia passata e per collocazione presente sta in quell’area, e non può né desidera andare altrove. In tali limiti può essere una buona scelta, ma non è una scelta di validità generale.
A nostro avviso, e fino a quando le cose vanno come vanno, tutti gli altri devono lavorare solo nella società civile per costruire dei soggetti sociali forti, consapevoli e non subalterni; dei soggetti che non puntano a espugnare il Palazzo ma soltanto a stringerlo d’assedio. Dei soggetti in grado di porre a chi sta al potere delle domande forti per contenuti e per capacità di mobilitazione. Oggi in generale la vera nuova frontiera della presenza pubblica della gente di fede è questa.