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EUROPA

Lockdown? È Ramadan, gli islamici non ci stanno

In Francia il rettore della Grande Moschea di Parigi minaccia le vie legali se non verranno riaperte le moschee almeno per la fine del ramadan, il 24 maggio. In Germania invece sonono già arrivati alla Corte Costituzionale. E dal 29 aprile è tornata la libertà di culto.

Libertà religiosa 08_05_2020
Preghiera in moschea a Marsiglia
Con fermezza e senza mezzi termini, il rettore della Grande Moschea di Parigi, Chems-Eddine Hafiz, ha minacciato di portare il governo francese in tribunale se non tornerà in pochi giorni la libertà di culto in Francia. Da una decina di giorni per l'islam è iniziato il momento più importante dell'anno: il Ramadan. Le misure adottate dai governi di quasi tutto il mondo per via del coronavirus hanno di fatto annullato le "celebrazioni" per il mese sacro musulmano. Perché il Ramadan - uno dei cinque pilastri della fede islamica, un atto pubblico di sottomissione ad Allah con una forte valenza collettiva - vuole un digiuno dall'alba al tramonto che apre al Al-Iftar, il momento in cui si mangia e si fa festa. Se durante il giorno il digiuno è intervallato da momenti di preghiera e formazione collettiva in moschea, il pasto che segue il tramonto è da dedicare alla condivisione. Si festeggia tutti insieme, amici e parenti, a casa o al ristorante per tutto il mese.

Risulta evidente allora che le imposizioni governative che vorrebbero contenere la diffusione del virus, non collimano con le esigenze del mondo musulmano. E l'islam non ci sta e alza, così, la voce. Anche perché, nel frattempo, in Francia, il governo, che aveva disposto una riapertura dei luoghi di culto dopo metà giugno, ha promesso di poter concedere al massimo il 29 maggio come data da considerare. Quindi anche dopo l'ultimo giorno di Ramadan, che quest'anno è il 24 maggio e rappresenta comunque un giorno molto importante per il mondo islamico.

Il Maestro Hafiz ha chiesto allora con urgenza alle autorità pubbliche che la data per la ripresa del culto sia anticipata almeno alla fine del Ramadan, giorno della festa di Eid. Senza di essa, spiega il rettore -  avvocato, vicepresidente del Consiglio francese di fede musulmana (CFCM) e membro della Commissione consultiva nazionale per i diritti umani (CNCDH) - sarebbe "un fatto grave di evidente discriminazione". E ha annunciato di essere pronto "a usare tutti i mezzi legali per difendere gli interessi morali dei musulmani in Francia". Con la "possibilità di rinvio ai tribunali competenti".

Nel suo comunicato stampa, il nuovo rettore della Grande Moschea di Parigi - che ha sostituito Dalil Boubakeur all'inizio dell'anno - sceglie l'arma dell'islamofobia. La butta sul vittimismo, sulla disparità di trattamento con i cattolici, dimostra tutto l'ardore di chi si vede negata una libertà, quella di culto. La questione della persecuzione e dell'islamofobia ovviamente lascia il tempo che trova e si scontra con l'evidenza della realtà: il mondo cattolico ha rinunciato senza recriminazioni, in Francia, come ovunque, alla celebrazione della Pasqua e della Santa Messa per oltre due mesi - qualcosa che, peraltro, ha un valore escatologico differente e imparagonabile per chi crede.

La qual cosa la fa notare in un editoriale anche Mihael Tube - noto attivista di sinistra francese e fondatore de 'Opinion Internationale' - che ha puntato il dito contro il mondo musulmano rappresentato dal rettore della Grande Moschea di Parigi per sottolineare la quieta sottomissione della cristianità alle restrizioni da coronavirus e l'impossibilità evidente di aprire le moschee: "In Francia, la presenza di moschee è molto più numerosa di quella delle chiese, che attirano più turisti (tranne in questo momento) che fedeli", scrive.

È un commento che dà l'idea della situazione marginale del cristianesimo in Europa e l'importanza che invece l'islam ha ormai sul territorio nazionale e occidentale. Un peso che rivendicano senza scrupoli, come è successo in Germania. Se, infatti, in Italia nonostante gli abusi di diritto subiti, la Chiesa ha cercato solo un dialogo sottomesso con il governo, l'islam tedesco, in prossimità del Ramadan ha rivendicato tutto quel che c'era da rivendicare rivolgendosi direttamente alla Corte costituzionale, la più alta corte del Paese. E dal 29 aprile a casa Merkel è tornata la libertà di culto. 
 
Tutto nasce per iniziativa di un centro culturale islamico della Bassa Sassonia che ha voluto rivolgersi alla magistratura per tutelare la libertà di culto del venerdì in moschea, e non a casa. Le limitazioni poste al culto per ragioni sanitarie non hanno fondamento in nessuna democrazia occidentale. Per questo, i musulmani tedeschi, quando il momento più importante del loro anno religioso s'è avvicinato, non hanno perso tempo. E non arrestandosi neanche dinanzi alle sentenze dei tribunali di prima istanza - che avevano sostenuto che le restrizioni di profilassi da coronavirus non rappresentavano una grave violazione della libertà di religione, perché esisteva la possibilità di pregare online - si sono rivolti direttamente alla Corte Costituzionale.
 
Senza chiacchiere, e in pochi giorni, la più alta Corte tedesca ha statuito che, nel gioco sul quale pesi di più fra libertà religiosa e tutela della salute, è "determinante valutare il peso dell’ingerenza nella libertà religiosa connessa ai divieti imposti per motivi sanitari". Tradotto: questi ultimi non possono spingersi fino a sacrificare e mortificare quel rito nel quale si esprime, in modo essenziale, la fede. 

Senza alcuna forzatura e in piena applicazione dei diritti costituzionali, l'islam ha ottenuto di nuovo le preghiere del venerdì durante il mese sacro. E la completa chiusura dei luoghi di culto è stata considerata dall'Alta Corte come una "grave intrusione" per la libertà religiosa. Un'associazione culturale musulmana, di circa 1300 membri, ha così ottenuto quello che il mondo cattolico sta ancora elemosinando. In Germania, però, la riapertura delle moschee ha inevitabilmente significato anche quella di sinagoghe e chiese. Anche se i fuochi d'artificio non si sono visti, anzi sono spuntate nuove restrizioni in fatto di celebrazioni che per i cattolici riprenderanno, probabilmente, dal 10 maggio.

E se in Iran la diffusione del nuovo coronavirus non sembra frenare - dal momento che il governo ha mentito il primo mese -, certo non hanno inteso rinunciare al Ramadan. Le autorità iraniane hanno diviso il Paese in zone bianche, gialle e rosse, a seconda della diffusione del coronavirus e ora il presidente Hassan Rouhani sta riaprendo le moschee. "In 132 distretti a basso rischio contagio riapriranno i luoghi di culto. Le preghiere del venerdì riprenderanno nel rispetto dei protocolli sanitari", ha dichiarato il presidente. 

In Pakistan hanno annunciato, invece, da subito, che le moschee rimarranno aperte e che la popolazione potrà andare a pregare, pur rispettando le regole di allontanamento sociale e igiene per evitare la diffusione del virus. Mentre in Spagna i quasi due milioni di musulmani che vi vivono, sono in subbuglio, soprattutto in Catalogna. Anche là l'hanno buttata sull'islamofobia, ma intanto è guerra aperta tra le varie associazioni islamiche - l'islam non ha una gerarchia di riferimento - e il governo.