Local Tax, colpire la casa per spennare le famiglie
Nonostante l'annuncio dell'abolizione dell'Imu sulla prima casa, il governo Renzi introduce una "local tax" municipale che accorpa tutti i tributi locali (semplificandoli), ma finirà per rimpiazzare l'Imu nella sua interezza. Si tratta, di fatto, di un altro attacco fiscale alla famiglia, considerando che il 76,6% sono famiglie proprietarie di casa.
Quando abbiamo sentito Matteo Renzi parlare di abolizione dell’imposta sulla prima casa sapevamo tutti come sarebbe andata a finire. Non per un pregiudizio verso il presidente del Consiglio, ma perché l’abolizione dell’imposta municipale sulla prima casa sarebbe stata un atto talmente rivoluzionario.
Oggi è arrivata la notizia che tutti, in fondo, ci aspettavamo: il governo avrebbe intenzione di creare una local tax, tassa unica municipale che andrà a sostituire le numerose imposte a oggi presenti. Una novità positiva, in teoria, in un Paese che muore non solo d’imposte ma anche di quei bizantinismi burocratici che – accorpando le tasse – si potrebbero almeno in teoria risolvere. Questo a livello teorico. All’atto pratico temiamo, invece, che la nuova imposta non sarà che un modo per reclamare di aver abolito la tassa sulla prima casa senza averlo davvero fatto.
Non sarebbe la prima volta che accade qualcosa di simile. Ad agosto di due anni fa Enrico Letta aveva annunciato, in pompa magna, l’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Peccato che due mesi prima il parlamento aveva già approvato la sua sostituzione con la Tasi, imposta che in parecchi casi si è rivelata ben più salata della precedente Imu di Mario Monti. Nata nel 1992 come Imposta straordinaria sugli immobili (Isi), la tassa era pensata dal governo di Giuliano Amato come misura provvisoria diventata poi, come spesso accade in Italia (il Paese dove si pagano ancora le accise sulla benzina per la guerra in Abissinia del 1935-1936), permanente. A conti fatti l’unico capo di governo ad averla abolita è stato Silvio Berlusconi nel 2008, che l’ha però rintrodotta tre anni dopo facendo votare al proprio partito il decreto Salva Italia di Monti del dicembre 2011, che introduceva l’Imu al 4 per mille sulla prima casa.
Insomma, la morale è che – nonostante gli annunci di politici dai colori più disparati - da più di vent’anni il salasso sul mattone è una vera e propria costante. Con quali risultati? Vediamo un paio di dati. Anzitutto secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, aggiornati al 31 dicembre 2012, le famiglie proprietarie di casa sono il 76,6% del totale: un numero consistente, sensibilmente più alto della media dell’Eurozona ferma al 60,1% (dato Bce). Ma neppure il restante 23,4% che vive in affitto si salva dalle tasse, per due ragioni. La prima è che una quota compresa fra il dieci e il trenta per cento della Tasi è a carico degli inquilini (che devono pagare ovviamente anche la Tari); la seconda è che l’aumento della tassazione sulle seconde case, che secondo uno studio della Cgia di Mestre è aumentato del 236% fra il 2011 e il 2014, si ripercuote sul canone di locazione: più una casa è costosa da mantenere, più il proprietario cercherà di girarne parte dell’onere sull’inquilino.
Le detrazioni per le famiglie esistono ma, come nel caso dell’Irpef, sono a dir poco insoddisfacenti. Giusto per fare un esempio a Milano è previsto uno sconto di 20 euro per ogni figlio sotto i 26 anni, fino a un massimo di 60 euro se si hanno tre o più figli. Poco più di un’elemosina che incide, ad andar bene, per il dieci per cento della somma complessiva richiesta. Eppure ancor peggio va a Roma dove sono previste solo detrazioni generiche per le rendite catastali più basse, ma nessuna specifica per famiglie con figli a carico. Ci sarebbe da fare un paragone anche qui con la ben più accomodante politica fiscale francese, ma rischieremmo di risultare ripetitivi.
La triste realtà è che né questo governo né i precedenti hanno mai avuto la reale intenzione di ridurre le imposte sul mattone. Le case sono una preda troppo ghiotta: al contrario delle attività possono essere colpite anche se non producono reddito e a differenza dei conti bancari non si possono nascondere né spostare (non per nulla si chiamano “immobili”). In un periodo di crisi garantiscono allo Stato un afflusso costante di denaro. Il guaio è che a pagare lo scotto di questa politica fiscale sono le famiglie, specie le più numerose che – con la crisi – fanno già fatica a mantenere i propri figli. Speriamo ci sia davvero l’inversione di tendenza promessa. Ma, visti i precedenti, non c’è da sperare a cuor leggero.