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MEDIORIENTE IN FIAMME

Lo Yemen sul baratro teme l'ombra nera di al-Qa’ida

Mentre Arabia Saudita e Iran si contendono la supremazia regionale, nel laboratorio yemenita i terroristi tramano. Reclutando online.

Attualità 23_03_2011
Insire magazine

 

Lo Yemen rischia «la guerra civile», dice il presidente Ali Abdullah Saleh, che ieri ha ribadito di voler restare al potere fino al 2012. Ieri notte due militari sono morti a Mukalla nel primo scontro diretto tra soldati e membri della guardia presidenziale yemenita dall’inizio della rivolta, il 3 febbraio. Sempre ieri, il Segretario statunitense alla Difesa Robert M. Gates ha detto che l’instabilità dello Yemen favorirebbe al-Qa’ida, che nel Paese arabo ha basi importanti (Osama bin Laden è del resto figlio proprio di uno yemenita). Proprio ieri, infatti, 13 membri di al Qaida sono stati uccisi in scontri con l’esercito yemenita nella provincia meridionale di Abyane.

Del resto non tutti forse sanno che nello Yemen al-Qa’ida edita la sua bella rivista, Inspire Magazine [nella foto un numero], lanciata nel luglio 2010 e ufficialmente prodotta online e in inglese da “Al-Qaeda in the Arabian Peninsula”, l’organizzazione islamista guidata da Anwar al-Awlaki, ex imam dalla doppia cittadinanza (è nato nel Nuovo Messico) e padre spirituale di parecchi terroristi (fra cui tre attentatori dell’Undici Settembre). Un periodico sobrio, fiero di articoli per esempio intitolati “Confezionare una bomba nella cucina di mamma”.

Detto “Arabia Felix” dagli antichi romani, gioiello architettonico, terra e anche rifugio di mille movimenti islamici pure ereticali perseguitati dall’ortodossia sunnita, patria di varianti peculiari dello sciismo, lo Yemen (che in arabo significa “Il Sud”) è sempre stato strettamente legato al califfato, prima omayyade o poi abbaside, pur godendo di ampie autonomie amministrative affidate a dinastie locali. Inglobato nell’impero ottomano dal secolo XVI (che comunque non ne cancellò completamente l’autonomia soprattutto nelle provincie più interne), nel 1918 è diventato indipendente e fino al 1962 è stato governato da una monarchia locale appartenente a una delle scuole sciite, lo zaidismo. In quell’anno infatti la parte settentrionale del Paese si è mutata in repubblica e ha preso il nome di Yemen del Nord (Repubblica Araba dello Yemen), con capitale Sana'a. Nel meridione, invece, l’area attorno al porto di Aden è rimasta sotto il dominio instaurato dalla Gran Bretagna nel 1832. La rivolta anticoloniale del 1967, ispirata dall’Egitto, ha messo fine a quel regime e da qui, nel 1970, è nato lo Yemen del Sud con capitale Aden, ufficialmente Repubblica Popolare Democratica dello Yemen, comunista.

Nel 1978 nello Yemen del Nord andò al potere, fra diverse contestazioni, Ali Abdallah Saleh, espressione del Congresso Generale del Popolo, che instaurò un regime piuttosto autocratico, nemmeno esente dall’impiego della forza contro le opposizioni e di fatto filosaudita. Dopo il crollo del Muro di Berlino, nel 1990 lo Yemen del Nord e lo Yemen del Sud si sono riunificati nell’attuale Yemen, ponendo la capitale a Sana'a; e la secessione di una parte dei territori meridionali, proclamata nel 1994 da alcuni fra militari e uomini politici d’ispirazione marxista, che diede vita all’effimera Repubblica Democratica dello Yemen con capitale Aden, fu stroncata militarmente dal governo unionista in sole due settimane.

Ma l’instabilità cova da sempre sotto la cenere. Lo Yemen continua infatti a essere il Paese più povero di tutto Medioriente e il 40% della sua popolazione è disoccupata. Il 52% della popolazione musulmana (cioè più del 99% degli abitanti totali del Paese) è sunnita, ma la storia del Paese si identifica in gran parte con lo zaidismo sciita, a cui appartiene del resto anche il presidente Saleh (ma pure una delle tribù in armi contro il suo governo). Gli zaiditi abitano soprattutto le regioni del nord e del nord-ovest, mentre i sunniti dominano le provincie del sud e del sud-est.

Le spinte secessioniste del sud non si sono mai davvero sopite e oggi, in tempo di rivolta delle “piazze” arabe, sono anzi tornate a costituire una vera e propria spina militare sunnita nel fianco del governo sciita.

Il quale governo, nella provincia settentrionale di Saada, si trova parimenti a fronteggiare una seconda, diversa rivolta, quella della potente tribù zaidita Houthi, che il wahhabismo professato dal potente vicino saudita considera pericolosamente eretica. Del resto, Riad teme seriamente che la ribellione sciita degli Houthi contagi le proprie province meridionali di Najran e Jizan, che con gli Houthi confinano, le quali sono la patria di una altra minoranza sciiita, altrettanto considerata eretica dai wahhabiti sauditi, ovvero gli ismailiti. Non a caso le truppe saudite presidiano il confine fra Houthi e ismailiti dalla fine del 2009.

Insomma, una polveriera, ma anche un laboratorio.
Con tutta evidenza, infatti, sul campo yemenita si stanno fronteggiando ora le due grandi potenze regionali, cioè l’Arabia Saudita e l’Iran, rispettivamente protettori (anche quando non richiesti) di sunniti e di sciiti.
Nella stessa Arabia Saudita, retta da una dinastia sunnita di obbedienza wahhabita, vive una minoranza sciita pari al 10-15% della popolazione.

Restando sempre in zona, cioè l’area più calda del Golfo Persico, il pensiero non può del resto non correre anche all’arcipelago del Bahrein, attraversato pure esso da forti fremiti di rivolta popolare.
Composta al 40% da immigrati di origine asiatica, la popolazione musulmana del Bahrein e al 70% sciita e lamenta la forte discriminazione praticata dalla dinastia regnante - da due secoli e mezzo - che è sunnita. Dopo gli scontri di piazza e le vittime dei giorni precedenti, il 14 marzo truppe saudite e degli Emirati Arabi Uniti sono intervenute a favore della monarchia regnante per proteggere gli impianti petroliferi.

Ora, per al-Qa’ida e per le sue organizzazioni sorelle gli scenari d’instabilità politica sono sempre una manna. Offrono l’occasione per insinuarsi nelle pieghe dei regimi, per infiltrarsi nei vuoti di potere, per approfittare del malcontento. Che l’area del Golfo stia divenendo sempre più instabile è un fatto, che Riad abbia i suoi grattacapi con le basi qaediste nello Yemen pure. Per questo, nonostante il moltiplicarsi delle defezioni fra le alte sfere dell’esercito e dell’amministrazione, nonostante lo sfrangiarsi della base tribale  che - in modo non molto dissimile dalla Libia -  è la chiave del mantenimento del potere nel Paese, nonostante la forte impopolarità del governo presso le masse sciite, nello Yemen i sauditi continuano a sostenere un sempre più debole Saleh. Le forze di “Al-Qaeda in the Arabian Peninsula” non aspettano altro che di intronizzare la propria visione del mondo a Saana: attendono, soffiano sul fuoco quel tanto che basta e lasciano che le faide tribali, ideologiche e confessionali aprano strade preziose. Destinazione Riad, la quale ha pure conosciuto una sua timida “piazza” di cui però nessuno ha già più memoria.