Lo strano silenzio del Vaticano sulla pace in Medio Oriente
C’è una non-notizia che dovrebbe far notizia. La non-notizia è la mancanza di dichiarazioni di Papa Francesco e della diplomazia vaticana sugli Accordi di Abramo, la normalizzazione dei rapporti diplomatici e commerciali fra Israele, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti. Eppure si tratta di una vera svolta storica nel Medio Oriente. Il giornale americano Crux analizza le ragioni del "no comment"
C’è una non-notizia che dovrebbe far notizia. La non-notizia è la mancanza di dichiarazioni di Papa Francesco e della diplomazia vaticana sugli Accordi di Abramo, la normalizzazione dei rapporti diplomatici e commerciali fra Israele, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti. Si tratta di una vera svolta storica nel Medio Oriente, i primi accordi fra lo Stato ebraico e dei Paesi arabi dal 1994, il terzo caso in assoluto dal 1948. Eppure in Vaticano nessuno fiata e soprattutto quasi nessuno fa notare che nessuno fiata. Silenzio tombale, dunque. Perché?
Negli Stati Uniti, solo il giornale cattolico Crux si è accorto finora di questo strano silenzio e ha provato a intuirne le ragioni. Di fatto, la notizia degli accordi ha ottenuto risalto su Vatican News e sull’Osservatore Romano, ma la diplomazia vaticana non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale. Prima di tutto occorre capire se questo è un silenzio straordinario oppure ordinaria prudenza diplomatica, per una situazione ancora molto fragile. Crux nell’articolo a firma di John Allen, giunge alla conclusione che si tratti di un silenzio straordinario. Nei casi precedenti, sia negli accordi di Oslo del 1993 che nel trattato di Camp David del 1978, il Vaticano aveva immediatamente espresso la sua opinione favorevole e il Papa regnante aveva ricevuto i capi di Stato coinvolti. Il Medio Oriente, anche in questi anni di pontificato di Francesco, sono sempre al centro dell’attenzione della Santa Sede. Questo accordo, in particolare, riguarda gli Emirati Arabi Uniti, dove l’anno scorso il Papa ha compiuto uno dei suoi più importanti viaggi apostolici concluso con la firma del Documento sulla fratellanza umana. In queste circostanze, il silenzio vaticano risulta ancora più insolito.
John Allen ipotizza due cause principali, la prima politica e la seconda diplomatica. Politica: il Papa non si esprimerebbe troppo favorevolmente all’accordo per evitare di dare un appoggio esplicito a Trump in campagna elettorale e non sostenere la leadership di Netanyahu in Israele. Si tratta però di una spiegazione che non convince fino in fondo perché, anche se Trump va via, gli Accordi di Abramo restano. Joe Biden, nel caso dovesse vincere a novembre, ha già dichiarato che manterrà intatto l’accordo. Quanto a Netanyahu, premier la cui posizione è traballante da anni (tre elezioni solo nell’ultimo anno), condivide già di fatto la sua leadership con Benny Gantz, capo della formazione centrista bianco-blu, che l’anno prossimo assumerà la guida dell’esecutivo. E assieme al governo erediterà anche la normalizzazione dei rapporti con Bahrein ed Emirati. Si tratta dunque del prodotto di una politica estera assolutamente bipartisan, sia degli Usa che di Israele. Sarebbe inutile pensare di disconoscerne il risultato per boicottare una parte politica.
La seconda causa individuata dall’articolo di Crux, invece, è più probabilmente quella principale: l’Autorità Palestinse considera l’accordo come un “tradimento” dei Paesi arabi che lo hanno accettato e per questo motivo ha abbandonato la presidenza della Lega Araba. Non solo lo considera un tradimento dei piccoli Emirati e Bahrein, ma anche dell’Egitto di al Sisi, che si è adoperato per ottenerlo, e l’Arabia Saudita, soprattutto, che è molto legata ai due Paesi firmatari e potrebbe avere spinto segretamente per la riuscita del negoziato. Considerando che la Palestina, terra di Betlemme, è ancora il principale interlocutore del Vaticano nel Medio Oriente, si capisce la difficoltà della posizione diplomatica vaticana. Con la leadership palestinese che urla e strepita per essere stata scavalcata nel negoziato e poi isolata nell’ambito della Lega Araba, il Papa e la Segreteria di Stato non possono dare la loro benedizione.
Però, a questo punto, se è veramente questa la causa del silenzio, si pone un problema di prospettiva. Se per il Vaticano la pace in Medio Oriente si traduce nella formula “due popoli in due Stati” (come da accordi di Oslo), entro confini accettati dalla leadership palestinese, quest’ultima ha sempre rifiutato tutti i piani di pace. Come si fa a tenere un interlocutore che risponde sempre “no”? Che non è mai chiaro su quali territori voglia fissare la frontiera? E che in ogni sua mappa geografica della futura Palestina disegna un territorio che comprende anche tutto Israele, dal Giordano al Mediterraneo, dal Golan al Mar Rosso? Il problema della leadership palestinese, anche dopo Oslo (1993) e ancora dopo la morte di Arafat (2004), è di non aver mai del tutto rinunciato al vecchio proposito di sostituirsi ad Israele, accettando solo sulla carta il principio “due popoli in due Stati”, ma al contempo cogliendo ogni pretesto per respingere tutte le proposte di partizione territoriale con lo Stato ebraico. Gli Accordi di Abramo sono motivati da questa continua politica del rifiuto palestinese. Israele e gli Usa hanno semplicemente scavalcato l’Autorità palestinese, la controparte araba ha preferito vantaggi di breve periodo (commercio, cooperazione tecnologica, far fronte comune contro l’Iran sciita) all’infinita lotta per la Palestina e Gerusalemme. Ma è solo così che si spingeranno i palestinesi ad accettare il prossimo accordo di pace (con un’altra leadership, probabilmente), perché, finché si sentono al centro del mondo arabo, non hanno interesse ad accettare compromessi.